mercoledì 9 marzo 2016

Ci stiamo preparando a un intervento militare in Libia, gravoso, costoso e pericolosissimo



Quanto ne sentiremo parlare di Libia nei mesi a venire.
Peccato che oggi ne sappiamo così poco, pur essendo le coste libiche così vicine alle nostre ed essendo quelle terre state addirittura una nostra colonia.
L'occupazione della Libia negli anni 1911-12 da parte del governo Giolitti si studia nelle scuole di diplomazia come un esempio proprio di grande abilità politico-diplomatica di quello statista nel preparare l'operazione militare in modo che le potenze dell'epoca, nostre alleate o meno non avessero avuto praticamente nulla da ridire.
Renzi saprà emulare Giolitti?
Sarà tuttt'altro che facile e a differenza di allora ci sarà un balletto mediatico- diplomatico nel quale nessuno dirà quello che vuole e che pensa veramente.
Ci saranno probabilmente dei prezzi altissimi da pagare perché l'Italia diventerà immediatamente bersaglio dei folli assassini dell'Isis.
Ci saranno nostri militari inviati in una missione difficilissima, perché si troveranno a dover evitare pallottole, granate e missili riuscendo difficilmente a capire chi sparerà e perché sparerà a loro.
Non posseggo alcuna preparazione militare ma presumo che la prima regola di un'azione militare sia quella di individuare il nemico e mettersi nelle condizioni di prendergli le misure nel modo più accurato possibile : quanti sono, come sono armati, dove sono, quali sono le loro linee di approvvigionamento, come sono i loro rapporti con la popolazione civile di quella zona, quali sono i loro alleati ed i loro nemici eccetera.
La missione sarà difficilissima perché rispondere alle domande elementari sopra riportate sarà un bel problema.
Belli i tempi di Napoleone con due schieramenti ben definiti.
Occorreva individuare il prima possibile dove erano schierati i diversi reggimenti di fanteria, dove erano piazzati i cannoni ,da che parte sarebbe comparsa la cavalleria.
Era un'equazione a diverse incognite, ma abbastanza ripetitive e limitate.
In Libia quali sono gli amici e quali sono i nemici ?
Cominciamo dagli amici.
La Libia non è uno stato, ma non perché a causa dell'insipienza politica di Sarkosy e soci improvvisati nel 2011 si è fatto fuori Gheddafi sostituendolo col caos, ma perché Gheddafi uno stato volutamente non lo ha mai costruito.
Il ragazzo sarà stato un dittatore anche sanguinario, con manie di grandezza e vezzi folkloristici, ma non era affatto scemo e conosceva benissimo il suo paese e il mondo arabo.
Aveva quindi realizzato che fare della Libia una sola entità mettendo insieme tre realtà regionali già molto grandi e diverse :Tripolitania e Cirenaica sulla costa col Fezzan nell'interno era un'impresa, ma l'impresa maggiore era trovare un equilibrio fra le ben 150 tribù principali che costituiscono la vera articolazione del paese.
Aveva capito, a differenza di noi europei, che fra le tribù si poteva appunto trovare un equilibrio, ma che era vano cercare di metterle insieme in una sovra-nazione, che non c'era mai stata, perché queste tribù non ritenevano di avere alcun interesse a ricercarla.
Quando andremo in Libia ci troveremo sicuramente a picchiare la prima testata proprio contro questa realtà che ci è completamente estranea per storia e cultura e che quindi per istinto ci rifiutiamo di capire.
Perchè siamo portati a interpretare le cose usando i canoni della nostra cultura e della nostra storia e per questa ragione andiamo a cercare lo stato, dove uno stato, come noi l'intendiamo, non c'è mai stato.
La Libia è una società tribale sulla quale noi europei ci siamo intestarditi nel periodo coloniale a sovrapporre uno stato nell'unico senso che conosciamo, come abbiamo fatto nel resto del Medio Oriente.
Ma è stata una finzione che nascondeva la realtà locale vera di tipo tribale, che poi Gheddafi si è guardato bene dal contrastare.
Chi saranno allora i nostri amici,che formalmente per rispettare la, a volte, perfino ridicola etichetta dell'Onu, dovranno essere un regolare governo locale uscito da elezioni che ci chiamerà in loro aiuto.
Tutti sanno che quel governo sarà una finzione giuridica perche in realtà sarà espressione di parlamentari rappresentanti dei capi tribù ,che hanno ritenuto di partecipare alle elezioni.
Capi tribù che in assenza di un sostituto di Gheddafi stanno dimostrando, come era prevedibile, di non avere nessuna intenzione di dare disco verde a qualcuno di loro che si metta sopra gli altri, diminuendo così il loro potere.
Esiste già un possibile sostituto di Gheddafi, che non a caso è un ex suo generale, ed è il generale Aftar, con studi e amicizie militari in America, capo delle forze armate del governo di Tobruk e alleato di ferro del generale Al Sissi, presidentissimo dell'Egitto.
Ma quelli della Tripolitania non hanno alcuna intenzione di sottomettersi a lui.
Idem come sopra quelli del Fezzan.
E quindi i nostri amici saranno una accozzaglia di tribù, che momentaneamente e per interessi immediati ,per loro ben definiti , decideranno che vada loro bene che arrivino a casa loro i nostri militari ed gli altri di una coalizione in fieri ,per togliere loro le castagne dal fuoco, dato che loro non ci riescono.
Purché noi si faccia appunto quello che loro considerano il loro interesse in questo momento, cosa che è tutt'altro che facile da definire sopratutto in presenza di un numero elevato di tribù con relative milizie, alcune delle quali sono bande di fuori legge e trafficanti di tutti i tipi.
Che ci sia o che non ci sia a nostra formale copertura la foglia di fico del consenso al nostro intervento dei governi di Tobruk e di Tripoli, poco cambia ,perché il potere reale non è lì, ma è distribuito nel territorio fra le tribù.
Gli studiosi più accreditati della materia dicono che il paragone più vicino ai nostri canoni culturali per cercare di immaginarci la struttura del potere effettivo in Libia è quella di una galassia di città-stato.
Quindi individuare chi saranno i nostri amici sarà un bel problema.
Per non andare a navigare completamente nella nebbia dovremmo però, come cittadini, che saranno messi gravemente a repentaglio nella nostra sicurezza quotidiana, pretendere che almeno si individuino e si spacchettino gli interessi che andremo a proteggere o a conseguire.
Che ce lo dicano e che ce lo dicano chiaramente.
Si presume che questi interessi siano la difesa di alcuni pozzi petroliferi, di alcune piattaforme in mare e del gasdotto.
Tutta roba dell'Eni, una società oggi in gran parte privata.
Niente da scandalizzarci, dato l'interesse strategico del procurarci l'energia, ma lo si dica apertamente, senza nascondersi dietro a sciocchezze tipo la difesa di presunti interessi umanitari.
Subito dopo il secondo interesse prioritario dovrebbe essere il controllo delle coste per impedire il traffico dei migranti su-sahariani.
Anche qui è auspicabile che si finisca con pietismi penosi, quando è evidente a tutte le persone di buon senso, che il traffico dei migranti e sopratutto di quelli così detti economici, va se non stoppato, perché appare tecnicamente impossibile farlo, ma almeno controllato militarmente e regolamentato, istituendo campi profughi in Libia, Tunisia, Egitto, non a Lampedusa o in Sicilia o in Puglia.
Dette due parole sui momentanei amici, che andremmo ad aiutare, ma sopratutto sugli interessi che andremmo a difendere, passiamo ai nemici.
Qui il discorso diventa forse più semplice, almeno a livello di comprensione ideologica.
I nemici sono l'Islam fondamentalista di al Baghdadi ,il Califfo.
In tutto il nostro Occidente si tenta di esorcizzare le efferatezze quotidiane operate dal tagliagole di Raqqa, usando locuzioni tipo “il sedicente stato islamico” o “il sedicente Califfo”.
Ma queste sottigliezze semantiche fanno ridere, rispetto ai danni che il Calffo è ormai in grado di fare usando una macchina di propaganda aggiornatissima e raffinata sul Web tramite i social media, che padroneggia disinvoltamente.
Come al solito, un po', per pigrizia ,un po' a causa della modestia delle leadership dei nostri stati, il Califfo è stato vergognosamente sottovalutato.
Un anno fa si parlava di bande di ragazzotti senza arte né parte, poche centinaia, poi poche migliaia.
Oggi i governanti del Kurdistan iracheno, che sono gli unici che hanno dimostrato la capacità di tenere testa e sconfiggere i Jihadisti di Al Baghdadi, parlano di un esercito di 200.000 uomini.
Ora Al Baghdadi fa paura davvero perché è diventato una minaccia orribile per tutti noi.
Al Baghdadi ,leggiamo, ad esempio, negli ottimi e documentatissimi libri ,che ha dedicato al Califfato Maurizio Molinari, a lungo inviato speciale in Medio Oriente della Stampa e oggi divenuto direttore di quel giornale, non è un personaggio da prendere sottogamba, è un colto giureconsulto islamico, che ha conseguito tutti i titoli accademici attinenti alla religione e cultura islamica.
Con quel bagaglio culturale alle spalle è stato capace di proporre alle masse arabe un obiettivo per loro alto ed esaltante : la Jihad per conseguire la “umma” l'unificazione di tutti i musulmani sotto l'autorità di un unico Califfo, legittimo discendente di Maometto.
Chi ha interesse per le storia medioevale e della Chiesa cattolica non potrà non rilevare le similitudini impressionanti che ci sono con la ricerca praticata anche con la forza delle armi per secoli di mettere insieme cosa una unica “Cristianità”, predicata anche recentemente fino a Pio XII nel primo dopoguerra col motto : “omnia instaurare in Christo”.
Come nel cristianesimo medioevale (ma non solo) l'ideale della commistione fra religione e politica per conseguire obiettivi religiosi da imporre totalitariamente a tutto il mondo è stato un ideale estremamente forte, così occorre rendersi conto che questo richiamo del Califfo alla umma attraverso la Jihad, cioè la lotta per estendere la fede, che noi abbiamo chiamato per secoli missionaria, rappresenta un valore alto per le masse musulmane.
Il fatto che gran parte dei musulmani in Occidente, ma anche nei paesi, dove gli islamici sono maggioranza, una volta arrivati allo status di ceto medio, tendono a secolarizzarsi né più né meno di come è capitato e capita ai cristiani, non deve fare sottovalutare l'enorme attrazione ideologica che può provocare l'ideale della umma per tutti i musulmani da raggiungersi con la stretta osservanza della shaharia, la legge islamica, da praticarsi purificandosi col rifiuto di ogni contaminazione occidentale e moderna, e promuovendo il ritorno agli usi e costumi rigidamente uguali a quelli in uso ai tempi di Maometto e dei primi Califfi, suoi successori.
Da questa visione rigida e fondamentalista dell'Islam, al Bagdadi fa derivare come logica e importantissima conseguenza la lotta senza quartiere non solo agli infedeli , cioè ai non musulmani, ma prima di tutto agli apostati, come sono considerati i musulmani non sunniti.
I primi condannati sono quindi tutti i musulmani shiiti (Iran, Iraq, Siria ecc.).
Altra conseguenza pratica di prima grandezza della visione di Al Baghdadi consiste nel rifiuto sistematico del concetto di stato in Medio Oriente, perché la umma non conosce confini.
Le tribù arabe nella loro storia non hanno mai dato peso ai confini.
Da qui la messa in discussione dei confini artificialmente tracciati da noi occidentali alla fine delle guerre mondiali in Medio Oriente, dopo la dissoluzione del Califfato Ottomano (diretto discendente delle dinastie dei Califfi successori di Maometto : Ommaidi, Abbassidi e infine Ottomani).
Al Baghdadi non parla a vanvera, perpetra i crimini più orrendi ,che si sono visti dopo il nazismo, ma è un dotto musulmano che sa bene riproporre in modo corretto i simboli e gli obiettivi della storia islamica.
Per lui, la Libia è un'altra possibile provincia del Califfato e non gli mancano né gli argomenti né i mezzi materiali per attrarre seguaci.
Sarà un nemico durissimo determinato e difficile.
E la guerra durerà non si sa quanto né a quale prezzo.
Non è una bella prospettiva ma è bene saperlo prima di partire.


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