domenica 29 luglio 2018

La parabola professionale di Sergio Marchionne mi fa pensare a quella di Enrico Mattei






Due giganti dell’industria vissuti in tempi tanto diversi da far giudicare avventato il confronto fra le loro esperienze.
Però in uno dei mille “coccodrilli” pubblicati in questi giorni una cosa mi ha colpito e mi ha costretto a fare immediatamente l’accostamento, quando l’articolista diceva che

le condizioni della Fiat all’arrivo di Marchionne erano così disastrose che il ruolo reale del nuovo amministratore delegato in quel momento era quello del “commissario liquidatore”, perché nessun esperto del settore era tanto sognatore da prendere seriamente in considerazione la reale possibilità di un salvataggio del gruppo Fiat ridotto a quel modo con concorrenti irraggiungibili.
E’ quindi probabile che il primo Marchionne fosse stato costretto a fare il giro delle sette chiese dai suoi azionisti per cercare di convincerli che secondo lui avrebbe valso la pena di rimanere nell’investimento senza liquidare e magari di metterci ancora un po di soldi, perché qualcosa di buono si sarebbe potuto fare ancora, cercando di non essere preso per pazzo.

Proprio come Enrico Mattei , anche lui ufficialmente commissario liquidatore dell’Eni, che al primo giro di colloqui con gli uomini del potere di allora doveva prima di tutto cercare di dissuaderli dall’idea della liquidazione.
E’ chiaro che se non era stato buttato fuori dalla porta subito era solo perché non era pensabile che il primo governo dopo la liberazione buttasse fuori dalla porta uno dei più noti comandanti partigiani.
Oltre tutto Mattei aveva smesso di girare armato, ma non aveva certo dismesso il carattere che tutti conoscevano.

Mattei era già un personaggio e Marchionne no, ma è’ chiaro che invece il compito di Mattei era molto ma molto più difficile di quello che si sarebbe assunto Marchionne qualche decennio dopo, perché come Mussolini aveva suggerito al Professor Ardito Desio di bersi lui la fiaschetta di petrolio libico che quel geologo illustre gli aveva portato a Palazzo Venezia, come un prezioso trofeo, perché proprio non riusciva a capire l’enorme potenzialità che c’era un quella fiaschetta, la prima classe dirigente post fascista, anzi, anti-fascista non è che avesse allora vedute molto più lungimiranti di quelle del duce in materia di politica energetica.
Se Mattei è diventato quello che è diventato, cioè addirittura l’odiatissimo concorrente delle “sette sorelle” incontrastate regine del cartello del petrolio, che coi primi contratti “fifty – fifty” con lo Shià dell’Iran e con i satrapi della penisola arabica abituati a subire dagli americani contratti tipo tutto a noi (sete sorelle) e un bel regalino a voi ed alle vostre numerose signore, è perché per anni ha dovuto usare di tutto il suo coriacissimo carattere per contrastare forze enormemente più potenti della sua Eni.

Per capire cosa ha fatto Marchionne occorre necessariamente fare uno sforzo di memoria e cercare di visualizzare i modelli che la Fiat avrebbe dovuto piazzare quando è arrivato lui.
Erano invendibili, prima di tutto perché erano inguardabili.
Lasciamo perdere il confronto dei dati tecnici e diamo per scontato che quelle macchine almeno andassero.
Ma cosa poteva fare La Fiat con quei modelli vecchi di progettazione, di tecnica ed ancor più di estetica in concorrenza con Toyota e Volkswagen ?
Quelli erano dieci anni avanti e la Fiat era dieci anni indietro.
Il Marchionne laureato prima di tutto in filosofia è probabile che per forma mentis prima di accettare si fosse già messo in mente la filosofia di un piano industriale radicalmente nuovo.
La Fiat lo sappiamo bene era quello che era perché aveva avuto la capacità di dare una macchina decente ma con la dovuta efficienza che consentisse all’ampio ceto medio italiano di allora di mettersi in macchina firmando cambiali per due o tre anni, negli anni del boom economico cioè nei primi anni ‘60.
La 500, la 600 fino alla 1100 per chi poteva permettersela.
Ma è con le prime due che la Fiat è diventata la Fiat a Mirafiori, stabilimento allora avveniristico con la pista di collaudo sul tetto.

In altre parole il core business della Fiat è sempre stata la produzione di utilitarie a prezzo basso per allora.
Tutte le rare volte che la Fiat ha tentato di mettere fuori un modello di fascia alta è sempre incorsa in fiaschi clamorosi, producendo macchine assolutamente non competitive rispetto alla concorrenza.
Ed allora cosa avrebbe dovuto fare Marchione a partire dal 2004?
Teniamo conto che l’uomo oltre che alla pur preziosa laurea in filosofia aveva acquisito anche quella in economia (e un’altra in giurisprudenza) e questo gli è di sicuro servito per realizzare che

l’Italia non era la Cina e che quindi non era definitivamente più il paese adatto per produrre utilitarie a basso costo, perché la manodopera in Italia non poteva essere pagata con i salari del Guandong nemmeno moltiplicandoli per 10.
Credo sia evidente che questa sola osservazione essenziale era tale da essere alla base di una rivoluzione.

La grandezza di Marchionne sta tutta qui, avere capito ed essere riuscito a realizzare una rivoluzione copernicana nella filosofia industriale del gruppo Fiat, da fabbrica di utilitarie a basso prezzo a produttore a vocazione nel e verso il lusso, cioè quella produzione che oggi viene indicata col settore “Premium”, cioè prodotti ad alto valore aggiunto.
Inutile dire che realizzare una tale rivoluzione significava cambiare se pure gradualmente tutti i modelli e sostituire produzione e linee su tutt’altri articoli.
E’ un lavoro immane eppure c’è riuscito.

Confrontare Mattei e Marchionne sul piano sociale è pressochè impossibile per la differenza delle condizioni.
Mattei si è potuto permettere di introdurre contratti talmente innovativi che hanno fatto la storia del diritto del lavoro, costringendo Confindustria a seguirlo da lontano anni dopo.
Marchionne aveva in confronto vincoli insuperabili.
E’ però riuscito a far ragionare il sindacato sull’opportunità di dare il dovuto peso alla contrattazione locale, in materie difficilmente assimilabili alle prescrizioni del contratto nazionale.

Nei rapporti con la politica, Marchionne non è mai arrivato alla quasi spudorata e ben nota dichiarazione di Mattei che diceva nella sostanza : i politici sono per me come i taxi, quando li ho bisogno li prendo faccio la corsa insieme, pago e me ne vado.
Ma non ostante la ora evidente estrema riservatezza di Marchionne non penso abbia praticato strade molto diverse.


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