Due giganti
dell’industria vissuti in tempi tanto diversi da far giudicare
avventato il confronto fra le loro esperienze.
Però in uno dei
mille “coccodrilli” pubblicati in questi giorni una cosa mi ha
colpito e mi ha costretto a fare immediatamente l’accostamento,
quando l’articolista diceva che
le
condizioni della Fiat all’arrivo di Marchionne erano così
disastrose che il ruolo reale del
nuovo amministratore delegato in
quel momento era quello del “commissario liquidatore”,
perché nessun esperto del settore era tanto sognatore da prendere
seriamente in considerazione la reale possibilità di un salvataggio
del gruppo Fiat ridotto a quel modo con concorrenti irraggiungibili.
E’ quindi
probabile che il primo Marchionne fosse stato costretto a fare il
giro delle sette chiese dai suoi azionisti per cercare di convincerli
che secondo lui avrebbe valso la pena di rimanere nell’investimento
senza liquidare e magari di metterci ancora un po di soldi, perché
qualcosa di buono si sarebbe potuto fare ancora, cercando di non
essere preso per pazzo.
Proprio come
Enrico Mattei , anche lui ufficialmente commissario liquidatore
dell’Eni, che al primo giro di colloqui con gli uomini del potere
di allora doveva prima di tutto cercare di dissuaderli dall’idea
della liquidazione.
E’ chiaro che se
non era stato buttato fuori dalla porta subito era solo perché non
era pensabile che il primo governo dopo la liberazione buttasse
fuori dalla porta uno dei più noti comandanti partigiani.
Oltre tutto Mattei
aveva smesso di girare armato, ma non aveva certo dismesso il
carattere che tutti conoscevano.
Mattei era già
un personaggio e Marchionne no, ma è’ chiaro che
invece il compito di Mattei era molto ma molto più difficile di
quello che si sarebbe assunto Marchionne
qualche decennio dopo, perché
come Mussolini aveva suggerito al Professor Ardito Desio di bersi lui
la fiaschetta di petrolio libico che quel geologo illustre gli aveva
portato a Palazzo Venezia, come un prezioso trofeo, perché proprio
non riusciva a capire l’enorme potenzialità che c’era un quella
fiaschetta, la prima classe dirigente post fascista, anzi,
anti-fascista non è che avesse allora vedute molto più lungimiranti
di quelle del duce in materia di politica energetica.
Se Mattei è
diventato quello che è diventato, cioè addirittura l’odiatissimo
concorrente delle “sette sorelle” incontrastate regine del
cartello del petrolio, che coi primi contratti “fifty – fifty”
con lo Shià dell’Iran e con i satrapi della penisola arabica
abituati a subire dagli americani contratti tipo tutto a noi (sete
sorelle) e un bel regalino a voi ed alle vostre numerose signore, è
perché per anni ha dovuto usare di tutto il suo coriacissimo
carattere per contrastare forze enormemente più potenti della sua
Eni.
Per capire
cosa ha fatto Marchionne occorre necessariamente fare uno sforzo di
memoria e cercare di visualizzare i modelli che la Fiat avrebbe
dovuto piazzare quando è arrivato lui.
Erano
invendibili, prima di tutto perché erano inguardabili.
Lasciamo perdere il
confronto dei dati tecnici e diamo per scontato che quelle macchine
almeno andassero.
Ma cosa poteva fare
La Fiat con quei modelli vecchi di progettazione, di tecnica ed ancor
più di estetica in concorrenza con Toyota e Volkswagen ?
Quelli erano dieci
anni avanti e la Fiat era dieci anni indietro.
Il Marchionne
laureato prima di tutto in filosofia è probabile che per forma
mentis prima di accettare si fosse già messo in mente la filosofia
di un piano industriale radicalmente nuovo.
La Fiat lo sappiamo
bene era quello che era perché aveva avuto la capacità di dare una
macchina decente ma con la dovuta efficienza che consentisse
all’ampio ceto medio italiano di allora di mettersi in macchina
firmando cambiali per due o tre anni, negli anni del boom economico
cioè nei primi anni ‘60.
La 500, la 600 fino
alla 1100 per chi poteva permettersela.
Ma è con le prime
due che la Fiat è diventata la Fiat a Mirafiori, stabilimento allora
avveniristico con la pista di collaudo sul tetto.
In altre
parole il core business della Fiat è sempre stata la produzione di
utilitarie a prezzo basso per allora.
Tutte le rare volte
che la Fiat ha tentato di mettere fuori un modello di fascia alta è
sempre incorsa in fiaschi clamorosi, producendo macchine
assolutamente non competitive rispetto alla concorrenza.
Ed allora cosa
avrebbe dovuto fare Marchione a partire dal 2004?
Teniamo conto che
l’uomo oltre che alla pur preziosa laurea in filosofia aveva
acquisito anche quella in economia (e un’altra in giurisprudenza) e
questo gli è di sicuro servito per realizzare che
l’Italia non
era la Cina e che quindi non era definitivamente più il paese adatto
per produrre utilitarie a basso costo, perché la manodopera in
Italia non poteva essere pagata con i salari del Guandong nemmeno
moltiplicandoli per 10.
Credo sia evidente
che questa sola osservazione essenziale era tale da essere alla base
di una rivoluzione.
La grandezza
di Marchionne sta tutta qui, avere capito ed essere riuscito a
realizzare una rivoluzione copernicana nella filosofia industriale
del gruppo Fiat, da fabbrica di utilitarie a basso prezzo a
produttore a vocazione nel e verso il lusso, cioè quella produzione
che oggi viene indicata col settore “Premium”, cioè prodotti ad
alto valore aggiunto.
Inutile dire che
realizzare una tale rivoluzione significava cambiare se pure
gradualmente tutti i modelli e sostituire produzione e linee su
tutt’altri articoli.
E’ un lavoro
immane eppure c’è riuscito.
Confrontare
Mattei e Marchionne sul piano sociale è pressochè impossibile per
la differenza delle condizioni.
Mattei si è potuto
permettere di introdurre contratti talmente innovativi che hanno
fatto la storia del diritto del lavoro, costringendo Confindustria a
seguirlo da lontano anni dopo.
Marchionne aveva in
confronto vincoli insuperabili.
E’ però riuscito
a far ragionare il sindacato sull’opportunità di dare il dovuto
peso alla contrattazione locale, in materie difficilmente
assimilabili alle prescrizioni del contratto nazionale.
Nei rapporti
con la politica, Marchionne non è mai arrivato alla quasi spudorata
e ben nota dichiarazione di Mattei che diceva nella sostanza : i
politici sono per me come i taxi, quando li ho bisogno li prendo
faccio la corsa insieme, pago e me ne vado.
Ma non ostante la
ora evidente estrema riservatezza di Marchionne non penso abbia
praticato strade molto diverse.
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