Mentre in Italia
impazza il dibattito tutto ideologico su o meglio contro il “reddito
di cittadinanza”, ho avuto la fortuna di leggere un libro
acquisibile sono come e-book che in veramente poche pagine e molte
tabelle di dati descrive in modo essenziale, ma sufficiente il
mercato del lavoro tedesco.
Il saggio non è
recentissimo, ma fornisce gli elementi essenziali, tuttora
fondamentali.
Conoscevo nella
sostanza le linee di fondo di quel mercato, ma dato l’attuale clima
politico, sono stato incredibilmente sorpreso di dover verificare con
mano le solite incongruenze politiche italiane, amplificate da un
sistema di media tutt’altro che obiettivo e praticamente tutto
schierato contro il governo giallo-verde.
Mi ha infatti
scioccato vedere che di fatto la filosofia (ma anche la prassi) del
reddito di cittadinanza, portato a bandiera dal movimento grillino
,nato quantomeno euroscettico, se non proprio anti Euro, è la copia
del sistema in vigore in Germania da 10/15 anni.
E permettetemi,
sciocca un po vedere che un movimento parecchio euro-scettico copia
il paese guida, mente e braccio dell’Unione Europea.
D’accordo i
tedeschi sono precisi e ordinati e quindi il loro sistema è meno
incasinato di quello costruito per ora sulla carta dai grillini, ma i
difetti che si sono evidenziati negli anni in quello reale e
collaudato della Germania ,sono gli stessi che quei marpioni degli
editorialisti dei giornaloni italiani ripetono da settimane per
demolire la riforma grillina.
Chissà che non
abbiano copiato dalla stampa tedesca.
Solo che il sistema
tedesco è più che lecito che venga criticato ,perché ha già
dispiegato i suoi effetti per oltre dieci anni.
Mentre in Italia si
critica un sistema che non è ancora nato, quindi lavorando su pure
ipotesi e speculazioni.
Incredibile ma vero,
lo stato confusionale nel quale versa la chiesa ha portato il suo
vertice italiano a criticare duramente in sede istituzionale e cioè
in una audizione parlamentare il reddito di cittadinanza, con le
stesse argomentazioni di Confindustria! Complimenti l’ispirazione
evangelica della gerarchia ecclesiastica così diventa sempre più
credibile.
Facciamola breve,
l’ultimo governo a guida socialdemocratica della Germania ha
adottato il così detto sistema Hartz.
Il libro
opportunamente inizia elencando i dati che fanno capire perché la
Germania è il paese a cui guardare se non proprio da
copiare.
Tanto per
cominciare ,il livello della disoccupazione dei Laendern che tirano
di più : Baviera 3,6%, Baden Wuertenberg 3,9%, quando in
economia si ritiene che il livello di disoccupazione ritenuto
fisiologico si aggira sul 5% (dati 2012) mentre lo stato che su
questo settore sta peggio, la Spagna ha in Andalusia un livello di
disoccupazione addirittura del 30% , da noi la disoccupazione
giovanile è a livelli abnormi sopratutto al Sud.
Per di più in
Germania non solo c’è lavoro, ma gli stipendi sono nettamente più
alti.
I Tedeschi
hanno fatto per tempo le riforme che gli altri non hanno fatto
(tasse, lavoro,pensioni).
Virtuosi, ma fino a
un certo punto, se si pensa che nel 2012 avevano ancora un debito
pubblico all’80%, e quindi sforavano parecchio il tetto stabilito
dai trattati nel 60%, ma proprio questo è il punto : loro la spesa
in deficit l’hanno usata per fare le riforme di struttura, gli
altri tanto per tirare avanti alla giornata.
Come è noto il
punto di forza dell’economia tedesca sta nella straordinaria forza
del suo sistema manifatturiero proiettato verso le esportazioni,
negli anni recenti particolarmente verso i mercati asiatici.
Il problema è che
la Germania esporta “troppo” nel senso che esporta troppo di più
degli altri paesi partner dell’UE che nel frattempo invece
importano molto dall’estero, contribuendo così a mantenere bassa
la quotazione dell’Euro, perché importando dall’estero comprano
dollari e vendono euro.
Così la Germania si
ritrova con un forte surplus della sua bilancia commerciale.
Il libro della
Lucchini chiarisce che se la Germania fosse rimasta al marco oggi i
prodotti tedeschi all’estero costerebbero di più del 20/30% e
quindi per la Germania l’entrata nell’Euro è stato un grosso
affare.
Diciamolo
sommessamente anche a scapito e a spese di chi invece di esportare
come lei ,importa molto di più mantenendo basso il valore dell’Euro.
In altre parole il
successo della Germania dipende anche dall’insuccesso degli altri
paesi .
La Lucchini afferma
senza mezzi termini che l’Euro così com’è una follia perché
non si possono mettere sullo stesso piano sistemi come quello tedesco
che campa sull’esportazione di macchine ad alta tecnologia con una
Grecia che campa su porti e turismo.
Cioè un tasso di
interesse uguale per paesi così diversi avvantaggia gli uni e
schiaccia gli altri.
Con tutto questo la
Germania quando ha lasciato il marco per l’euro ha fatto un grosso
favore agli altri, perché è come se avesse garantito per loro.
Sono gli altri che
invece di approfittare della stabilità della moneta per ridurre il
debito non ne hanno fatto nulla.
Facciamo mente
locale, è proprio quando l’Italia girava a vuoto nel ventennio
berlusconiano, che in Germania i socialdemocratici di Gerhard
Schroeder hanno fatto delle riforme radicali, che hanno fatto perdere
loro definitivamente il potere nel 2005, ma che sono state
fondamentali per ammodernare l’economia tedesca.
Sono state
abbassate le tasse dal 20% al 16% e dal 48,8 al 45%.
Sopratutto la
Germania allora ha rivoluzionato il mondo del lavoro con la
commissione Hartz e i Job Center.
Hanno fatto
scalpore i mini Jobs da 450 € al mese, con i pro e contro annessi e
connessi a questo strumento che comunque lo si guardi ha dato
comunque una dignità a tutti.
Giustamente la
Lucchini sottolinea il fatto che la misura non ha senso che sia vista
come uno strumento diretto sopratutto a ridurre il costo del lavoro,
perché il tipo di esportazioni tedesche, essendo di alta fascia
tecnologica ,vedono l’incidenza del costo del lavoro ridotta a un
mero 6/7%.
I mini contratti
piuttosto hanno fatto emergere i lavori in
nero, hanno fatto uscire dalla disoccupazione chiunque ed hanno anche
aumentata la domanda interna.
Ricordo
il dibattito feroce in Italia quando è stata istituita la scuola
media unica perché si diceva che non era possibile lasciare la
scelta del tipo di studi e quindi l’età di entrata nel mondo del
lavoro
a
11 anni, ma in Germania di fatto gran parte dei giovani comincia ad
andare in azienda a 12 anni
mentre
frequenta la scuola e nessuno si scandalizza.
La riforma
Hartz era basata sulla ristrutturazione degli uffici di collocamento.
Guarda caso
l’assegno sociale di disoccupazione (Arbeitlosengeld II) era
calcolato in 380€ + 370 per l’affitto per un single.
Cioè siamo
sul medesimo livello del nostro tanto disprezzato reddito di
cittadinanza.
Con
maggiore chiarezza rispetto a noi chi non può lavorare e quindi ha
bisogno di pura assistenza riceve un assegno definito Sozialgeld.
Chi
riceve il primo tipo di assegno deve dimostrare di essere in
costante ricerca di una occupazione.
Il
Job Center offre anche corsi di formazione a chi dimostri di poterne
fare buon uso.
Le
cifre sono impressionanti se si pensa che la platea dei mini jobber è
di oltre 7 milioni di tedeschi.
E
quindi anche nella ricca Germania c’è un grosso problema di
disuguaglianza : il 10% più ricco controlla il 55% delle proprietà
(era il 40% nel 1993).
A
consultivo è considerato indiscutibile che la riforma abbia
funzionato nel senso di diminuire i disoccupati, ma l’altra faccia
della medaglia si è rivelata essere il fatto che le persone che
necessitano del sussidio dello stato non sono diminuite.
Va poi bene
sottolineato che in Germania vige un diverso costume politico-sociale
in base al quale il sindacato segue una politica di collaborazione
,che non gli ha affatto tolto credibilità, ma ha consentito di
seguire la filosofia del” lavorare meno per lavorare tutti”
almeno nei periodi di stagnazione.
Sia
chiaro però ,sottolineano gli autori, che i mini job hanno ridato
dignità a chi era fuori dal circuito lavorativo, ma che se parliamo
dei metalmeccanici della Volkswagen o della BMV siamo nel campo dei
contratti strappati duramente con tutele all’italiana.
Stando
ai numeri la Lucchini giustamente non omette di citare il livello
siderale di esportazioni che la Germania è riuscita a piazzare in
Cina con addirittura 65 miliardi nel 2011, proprio quando l’Italia
di Berlusconi stava rischiando il fallimento.
E
qui ovviamente i mini job non c’entrano nulla, non è merito loro.
I sindacati
tedeschi hanno tra l’altro fatto la scelta saggia di distinguere
bene fra Est e Ovest con salari diversi essendo diverso il costo
della vita.
Vogliamo
copiare?
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