Straordinaria l’avventura intellettuale di Vito Mancuso.
Ex prete, con un
rapporto privilegiato con quel gigante di Carlo Maria Martini, poi
laico aspirante teologo del tutto contro corrente ha avuto la fortuna
di essere riconosciuto nel suo geniaccio da quel genio bizzarro che
fu il fondatore del San Raffaele che lo ha chiamato a tenere una
cattedra dell’Università Vita e Salute nella medesima facoltà di
filosofia nella quale insegnavano Roberta DeMonticelli e Massimo
Cacciari.
Teniamo conto che
siamo uno e due papi fa, con un Ratzingher prima al Sant’Uffizio e
poi sul Soglio.
Acqua passata, ma
rimane il fatto che la allora la vita di un teologo del tutto contro
corrente che per di più aveva vestito la veste nera non poteva
essere certo delle più liete, perché sappiamo bene quanto sia
vendicativo l’atteggiamento della chiesa istituzionale verso chi
quella veste la lascia.
L’allora
presidente della Società Italiana di Teologia, in quel tempo, ma
forse ancora oggi, sotto lo stretto controllo del medesimo
Sant’Uffizio aveva provvisto a bollare pesantemente e
sprezzantemente il lavoro di Mancuso come affetto di eresia gnostica.
Da un punto di vista
accademico accusa risibile e completamente campata in aria, ma più
che sufficiente per chiudere all’interessato tutte le porte
istituzionali di quella chiesa.
Fatto sta che il
giovane teologo si direbbe non turbato più di tanto ,nel corso degli
anni ha sfornato ponderose opere l’una dopo l’altra con titoli
apparentemente neutri e accattivanti, per ovvie ragioni editoriali,
ma che di fatto erano trattati di teologia sistematica.
Mancuso facendo
finta di niente prima ha elegantemente riscritta tutta la teologia
cattolica e poi col passare degli anni e dei papi è pervenuto non
solo a chiudere il cerchio degli argomenti della teologia
sistematica, ma ha inevitabilmente avuto il coraggio di fare il salto
al di là e al di sopra del cattolicesimo istituzionale.
Infatti con questa
ultima opera della quale stiamo parlando, Mancuso tratta sì come
sempre in modo sistematico i medesimi argomenti che riporterebbe
nell’indice un trattato di teologia morale, però con una
differenza di impostazione più che notevole, perché nella
maturazione acquisita in decenni di lavoro, il nostro autore arriva a
superare totalmente il disastroso limite-pregiudizio dogmatico al
quale era inchiodato San Tommaso che si può riassumere nella formula
della “Philosophia ancilla Theologiae”.
Ora il pensiero di
Mancuso rovescia completamente quell’assioma ispirandosi al
principio che la teologia è accettabile solo e unicamente fino a
quando è sottomessa alla ragione critica ed all’obbligo
insuperabile di sottostare alla verifica di una prova almeno logica.
In altre parole
prima la ragione poi la filosofia e poi la teologia, punto.
Le cose stanno così,
ma se uno si aspettasse argomentazioni polemiche verso il
cattolicesimo tradizionale e istituzionale da uno che pure di
sassolini nella scarpa da levarsi ne avrebbe un sacco,vuol dire che
non conosce Mancuso e i suo lavoro.
L’argomentare di
Mancuso fluisce come acqua limpida e pura.
E’ l’acqua
purissima che proviene da Platone, dalla filosofia stoica e da Kant.
Mancuso non lo dice
mai, ma finito il libro io mi sono chiesto, pensando di essere
coerente con la logica argomentativa che ne scaturiva : ma che
bisogno c’è stato o c’è di ricorrere alla narrazione della
mitologia narrata dalla Bibbia , comune nella sostanza alle tre
religioni abramatiche e di quella cattolica in particolare, che per
di più è stata appesantita dalle interpretazioni spesso tutt’altro
che consequenziali della montagna dogmatica inventata e costruitaci
sopra se quella grandissima filosofia aveva già fornito all’uomo
moderno tutto quanto ha bisogno per soddisfare il suo bisogno di
conoscenza e di ricerca di senso?
Mancuso rifiuta
esplicitamente l’idea di fondare la morale su una presunta
rivelazione e su una dottrina dogmatica da essa derivata per di più
solo secondo l’interpretazione della chiesa istituzionale.
Il cielo stellato
fuori di mè e la legge morale dentro di mè.
La celeberrima frasi
di Immanuel Kant nella Critica della Ragion Pratica viene riproposta
da Mancuso in tutto il suo splendore intellettuale e umano.
La legge morale va
cercata in interiore homini e non fuori nelle presunte esternazioni
dello spesso inumano e arbitrario dio di Abramo.
La moralità
dell’agire umano non va ricercata nella sottomissione cieca alle
tavole del Sinai arricchite dall’universo dei richiami etici
contenuti nei libri biblici.
Va invece ricercata
con forza e fatica nel discernimento che interroga la coscienza
iscritta nella nostra interiorità.
Chi segue la
sottomissione a una legge rivelata che presume di tutto sapere e che
tutto sia già scritto
ha solo appunto da
seguire il codicillo di un codice.
Chi decide invece di
essere diventato adulto si accolla la fatica di fare appello alla
propria ricerca ed alla propria responsabilità.
Non vado oltre
perché mi sembrerebbe irrispettoso produrre un riassuntino di
un’opera di questo livello e profondità.
Ci sono letture che
non sono passatempi di intrattenimento per nostra fortuna.
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