venerdì 13 dicembre 2019

Vito Mancuso : la forza di essere migliori






Straordinaria l’avventura intellettuale di Vito Mancuso.
Ex prete, con un rapporto privilegiato con quel gigante di Carlo Maria Martini, poi laico aspirante teologo del tutto contro corrente ha avuto la fortuna di essere riconosciuto nel suo geniaccio da quel genio bizzarro che fu il fondatore del San Raffaele che lo ha chiamato a tenere una cattedra dell’Università Vita e Salute nella medesima facoltà di filosofia nella quale insegnavano Roberta DeMonticelli e Massimo Cacciari.
Teniamo conto che siamo uno e due papi fa, con un Ratzingher prima al Sant’Uffizio e poi sul Soglio.
Acqua passata, ma rimane il fatto che la allora la vita di un teologo del tutto contro corrente che per di più aveva vestito la veste nera non poteva essere certo delle più liete, perché sappiamo bene quanto sia vendicativo l’atteggiamento della chiesa istituzionale verso chi quella veste la lascia.
L’allora presidente della Società Italiana di Teologia, in quel tempo, ma forse ancora oggi, sotto lo stretto controllo del medesimo Sant’Uffizio aveva provvisto a bollare pesantemente e sprezzantemente il lavoro di Mancuso come affetto di eresia gnostica.
Da un punto di vista accademico accusa risibile e completamente campata in aria, ma più che sufficiente per chiudere all’interessato tutte le porte istituzionali di quella chiesa.
Fatto sta che il giovane teologo si direbbe non turbato più di tanto ,nel corso degli anni ha sfornato ponderose opere l’una dopo l’altra con titoli apparentemente neutri e accattivanti, per ovvie ragioni editoriali, ma che di fatto erano trattati di teologia sistematica.
Mancuso facendo finta di niente prima ha elegantemente riscritta tutta la teologia cattolica e poi col passare degli anni e dei papi è pervenuto non solo a chiudere il cerchio degli argomenti della teologia sistematica, ma ha inevitabilmente avuto il coraggio di fare il salto al di là e al di sopra del cattolicesimo istituzionale.
Infatti con questa ultima opera della quale stiamo parlando, Mancuso tratta sì come sempre in modo sistematico i medesimi argomenti che riporterebbe nell’indice un trattato di teologia morale, però con una differenza di impostazione più che notevole, perché nella maturazione acquisita in decenni di lavoro, il nostro autore arriva a superare totalmente il disastroso limite-pregiudizio dogmatico al quale era inchiodato San Tommaso che si può riassumere nella formula della “Philosophia ancilla Theologiae”.
Ora il pensiero di Mancuso rovescia completamente quell’assioma ispirandosi al principio che la teologia è accettabile solo e unicamente fino a quando è sottomessa alla ragione critica ed all’obbligo insuperabile di sottostare alla verifica di una prova almeno logica.
In altre parole prima la ragione poi la filosofia e poi la teologia, punto.
Le cose stanno così, ma se uno si aspettasse argomentazioni polemiche verso il cattolicesimo tradizionale e istituzionale da uno che pure di sassolini nella scarpa da levarsi ne avrebbe un sacco,vuol dire che non conosce Mancuso e i suo lavoro.
L’argomentare di Mancuso fluisce come acqua limpida e pura.
E’ l’acqua purissima che proviene da Platone, dalla filosofia stoica e da Kant.
Mancuso non lo dice mai, ma finito il libro io mi sono chiesto, pensando di essere coerente con la logica argomentativa che ne scaturiva : ma che bisogno c’è stato o c’è di ricorrere alla narrazione della mitologia narrata dalla Bibbia , comune nella sostanza alle tre religioni abramatiche e di quella cattolica in particolare, che per di più è stata appesantita dalle interpretazioni spesso tutt’altro che consequenziali della montagna dogmatica inventata e costruitaci sopra se quella grandissima filosofia aveva già fornito all’uomo moderno tutto quanto ha bisogno per soddisfare il suo bisogno di conoscenza e di ricerca di senso?
Mancuso rifiuta esplicitamente l’idea di fondare la morale su una presunta rivelazione e su una dottrina dogmatica da essa derivata per di più solo secondo l’interpretazione della chiesa istituzionale.
Il cielo stellato fuori di mè e la legge morale dentro di mè.
La celeberrima frasi di Immanuel Kant nella Critica della Ragion Pratica viene riproposta da Mancuso in tutto il suo splendore intellettuale e umano.


La legge morale va cercata in interiore homini e non fuori nelle presunte esternazioni dello spesso inumano e arbitrario dio di Abramo.
La moralità dell’agire umano non va ricercata nella sottomissione cieca alle tavole del Sinai arricchite dall’universo dei richiami etici contenuti nei libri biblici.
Va invece ricercata con forza e fatica nel discernimento che interroga la coscienza iscritta nella nostra interiorità.
Chi segue la sottomissione a una legge rivelata che presume di tutto sapere e che tutto sia già scritto
ha solo appunto da seguire il codicillo di un codice.
Chi decide invece di essere diventato adulto si accolla la fatica di fare appello alla propria ricerca ed alla propria responsabilità.
Non vado oltre perché mi sembrerebbe irrispettoso produrre un riassuntino di un’opera di questo livello e profondità.
Ci sono letture che non sono passatempi di intrattenimento per nostra fortuna.


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