venerdì 18 settembre 2020

Yuval Noha Harari : “Homo Deus”

 




In un momento storico afflitto culturalmente da un pensiero unico parecchio appesantito dal pregiudizio del politicamente corretto a tutti i costi, un scrittore come Harari, che per di più è anche accademico, sembra spesso il classico elefante in un negozio di cristalli.

Caspita se le spara grosse.

Per certe categorie di lettori come come preti,rabbini e mullah e seguaci almeno al primo impatto sarà addirittura fonte di sofferenza.

Per chi invece si riconosce in quella che lui chiama la rivoluzione scientifica, invece sarà una costante goduria.

Piano però, le sue affermazioni, anche se assolutamente appoggiate da solide evidenze, sono spesso un pugno nello stomaco, che ci fa brancolare nel buio alla ricerca di una qualche via di uscita meno sgradevole.

Ma confrontarsi con le evidenze scientifiche anche quando i nostri pregiudizi religiosi o culturali tendono a farcele rifiutare, è un lavoro al quale dobbiamo costringerci, sia che gli scenari relativi alle rivoluzioni tecnologiche in arrivo siano una realtà con quale dovranno convivere già i più giovani di noi o invece riguarderanno più avanti nel tempo i nostri figli o i nostri nipoti.

Questo libro è con tutta evidenza il seguito logico di “Sapiens, da animali a dei” , citato infatti fin dalla copertina.


L’incipit non può essere che uno e cioè appunto la rivoluzione scientifica dal ‘500 in avanti.

Le leggi del moto di Isaac Newton,il dialogo sui massimi sistemi di Galileo, Charles Darwin con l’evoluzione, via via fino a Albert Einstein e la relatività, il principio di indeterminazione di Heisemberg e la fisica quantistica, tutti citati nell’opera precedente, che non è male richiamare.

In realtà però questo libro comincia su una chiave positiva mettendo in evidenza il fatto che la rivoluzione scientifica ha consentito all’umanità di ridurre in modo drastico le precedenti carestie, di affrontare le epidemie con una efficenza una volta impensabile, e infine a ridurre le guerre all’insignificanza.

Bella la considerazione che Harari fa sulla guerra quando dice che nel nostro mondo moderno la ricchezza non è più nella terra o nelle risorse naturali,ma ormai è migrata nella conoscenza e questa non può essere acquisita tramite la guerra.


Dopo queste eclatanti vittorie l’uomo, dice Harari, è incamminato ad acquisire l’immortalità, la felicità e la divinità.

Che coraggio! Dice proprio così e in modo diretto.

Il capitolo è intitolato con estrema chiarezza “gli ultimi giorni della morte”.

La vita è sacra come è scritto nella dichiarazione di diritti umani, dice Harari, ma questo non significa che si debba continuare a credere che sarebbe sacra per un decreto di un presunto dio e che quindi la morte sarebbe nelle mani del medesimo dio, come la vita.

La scienza invece ci dice semplicemente che la morte è un problema tecnico, come tanti altri, un malfunzionamento al quale è possibile porre rimedio se solo ci decidessimo a farne parlare non preti e teologi, ma gli ingegneri.

Del resto l’aspettativa di vita è raddoppiata nel corso dell’ultimo secolo e quindi arrivare in una prima tappa a 150 anni è cosa verosimile.

Citando non a caso Epicuro Harari dice che adorare dio è una perdita di tempo, perché noi non siamo qui né per servire un dio, per servire uno stato, bensì per servire noi stessi, cioè per ricercare la nostra felicità.

E a questo punto Harari ripete una riflessione che viene fuori più volte nell’opera precedente e cioè che raccoglitori-cacciatori nel periodo lunghissimo che va da 70.000 (rivoluzione cognitiva) a 12.000 (rivoluzione agraria) anni fa vivevano più felici di noi anche se godevano di enormemente meno risorse.

Harari cita studi che dimostrano per esempio che il livello di benessere degli anni ‘90 non è migliorato rispetto a quello degli anni ‘50 per mettere in evidenza che è dimostrato che il livello di felicità dell’umanità non è legato al semplice disporre di più risorse.

La felicità dipende dalle aspettative piuttosto che da condizioni obiettive.

Come aumenta il progresso le nostre aspettative si moltiplicano, ma le sensazioni piacevoli durano notoriamente poco.

Funzioniamo così per un errore intrinseco del meccanismo dell’evoluzione che ci spinge ad aumentare le possibilità di sopravvivenza e di riproduzione, ma non ad aumentare la felicità.

Come possiamo venirne fuori?

Attenzione perché il tentativo di risposta che fornisce Harari a questa domanda è la chiave di lettura di tutto il libro: rivolgendoci agli ingegneri dice Harari (pensando evidentemente all’ingegneria genetica) che sono in grado di manipolare la biochimica umana, corpo e mente.

Per godere di un godimento duraturo, l’Homo Sapiens deve re-ingegnerizzarsi.

Infatti tutti gli immensi progressi che l’umanità ha fatto sopratutto negli ultimi 500 anni li ha fatti scoprendo e perfezionando strumenti sempre più sofisticati, ma ora è venuto il momento di mettere le mani sul nostro corpo e sopratutto sulla nostra mente per aumentarne le capacità oppure per “mescolare” il nostro corpo con attrezzi tecnologici esterni non organici.

Secondo Harari infatti non c’è ragione di pensare che il Sapiens sia l’ultima stazione, si può andare oltre.


Quando l’intelligenza artificiale supererà le capacità umane, la specie Sapiens verrà sostituita da una altra specie.

Deuteronomio 11: 13-17 : “se obbedirete diligentemente ai comandi che oggi vi do...io darò al vostro paese la pioggia…...il frumento….”

Ma gli scienziati oggi sanno fare molto meglio del dio biblico, dice Harari, basterebbe andare a vedere gli impianti di desalinizzazione dell’acqua di mare in uso proprio nella terra di Israele,che hanno reso quel paese indipendente dalla pioggia; questi umani hanno anche inventati fertilizzanti e antiparassitario che hanno reso indipendente la coltivazione dei cereali dal regime così detto “naturale”.

E’ curioso che il termine “naturale” ,che va tanto di moda e che viene continuamente citato da chi vuole presentarsi come acculturato e moderno, non abbia alcuna base scientifica, anzi per la scienza proprio non ha alcun senso, perché tutto il reale è un flusso in permanente evoluzione, e quindi il riferimento a presunti archetipi fissi definiti naturali è una categoria di pensiero delle religioni, ma non certo della scienza.

Harari dice poi che tentare una definizione di naturale diventa impossibile anche perché ognuno crede in una gruppo diverso di leggi naturali in quanto sarebbero state scoperte e rivelate da gruppi diversi di profeti.

Le chiese non si azzardano a contestare Darwin frontalmente (salvo le sette creazioniste dell’intelligent design) perché sanno che ne uscirebbero perdenti, ma sono ancora fortissime nel far coltivare i loro pregiudizi, come questo del presunto naturale, che dovrebbe uscire non si sa come dalla ineluttabile legge dell’evoluzione.


Harari riconosce che la maggior parte di noi non riesce più a raccapezzarsi di fronte a un mondo che cambia così velocemente ma afferma categoricamente che non c’è alcun modo di tirare il freno quand’anche lo volessimo, perché se ci provassimo ad esempio e fermare l’economia, andrebbe tutto in pezzi.

Questa spinta inarrestabile verso un futuro ultra-umano, secondo Harari sembra sfruttare la capacità della nostra mente, del nostro inconscio a raccontarci le storie proponendocele in modo da rendercele accettabili.

Allora per esempio se ci spaventa la facoltà di intervenire sul nostro corpo e sulla mostra mente per incrementare le nostre facoltà, ci raccontiamo la medesima cosa proponendocela solo come strumento per superare le malattie e le disabilità.

Infatti ci rallegriamo per la possibilità di consentire a un paraplegico di riprendere a camminare con un esoscheletro o con arti artificiali, ma comandati dal pensiero, (cioè tramite impulsi elettrici del nostro cervello come avviene con un arto naturale) ,per non costringerci a parlare direttamente di usare quegli stessi mezzi sui sani per incrementarne le capacità.

Come ci rallegriamo per la scoperta dei mezzi per arrestare la perdita di memoria degli anziani, per non costringerci a parlare direttamente della possibilità di incrementare la memoria di chiunque.

Allo stesso modo ci rallegriamo della possibilità di manipolare i geni per stoppare una malattia genetica per non costringerci a parlare direttamente della possibilità di disegnare a tavolino un Sapiens talmente incrementato da passare a una specie diversa e superiore.

Esultiamo della possibilità di curare la schizofrenia “mescolando” la mente del paziente con dati provenienti da un computer, per non costringerci a dover parlare direttamente di incrementare il nostro cervello con la enorme potenza di calcolo e di data base che può fornirci un computer collegato o addirittura mescolato al nostro corpo.

E’ una forma di furbizia della nostra mente che ci consente di metabolizzare il concetto diversamente scioccante che siamo sulla via di superare la ferrea e inesorabile legge dell’evoluzione, non, raccontandoci le solite narrazioni religiose

Su questo argomento Harari ha scritto nella precedente opera usando un’immagine decisamente forte, quando dice che dovremmo mettendoci noi al tavolo da disegno di dio per superare i limiti biochimici dell’uomo, anche estendendo la vita dall’organico all’inorganico.

In questa prospettiva, Harari, che di professione è storico accademico, afferma che la missione della storia non è quella di predire il futuro, ma quello di aiutarci a liberarci dal passato e di immaginare alternative, ricordandoci sempre che la più grande costante della storia è il constatare che tutto cambia.


Per spaventarci un po’ meno in questa scioccante prospettiva di dare vita anche all’inorganico,Harari cerca di spiegare cos’è un algoritmo, che è un po il concetto chiave in questa prospettiva di una nuova umanità, che prossimamente potrebbe soppiantarci.

Perchè gli algoritmi sono importanti e quindi è importante capire cosa sono?

Perchè sono un pò il punto di possibile saldatura fra l’organico e l’inorganico in quanto vengono usati quotidianamente in tutti e due i campi, dato che gli organismi sono anche loro algoritmi.

Un algoritmo è una metodica serie di passi che si può usare per fare calcoli, risolvere problemi e arrivare a decisioni.

L’algoritmo non è un calcolo particolare, ma il metodo seguito quando si fanno i calcoli.

Per esempio, spiega Harari, se volete calcolare una media fra due numeri dovete sommarli e dividere per due il risultato.

Questa operazione è un algoritmo.

Come un algoritmo è una ricetta di cucina che vi indica i passi da fare in successione per creare una particolare piatto.

Un algoritmo è la macchinetta distributrice di caffè e bibite del nostro ufficio.

Gli umani sono algoritmi che producono non tazzine di caffè, ma copie di loro stessi.

Quelle che noi chiamiamo sensazioni emozioni e desideri , sono nei fatti degli algoritmi che non sono nulla di diverso che processi di calcolo.

Il processo di riproduzione anche umano, afferma brutalmente Harari è basato su un mero calcolo di probabilità che fa in automatico la nostra mente sulla base di sensazioni favorevoli o sfavorevoli in relazione ai nostri potenziali partners.

Povero romanticismo, che brutta fine, ma tant’è ,quello che dice Harari è documentato dalle moderne neuroscienze, non è una sua fantasia e quindi almeno prendiamone atto.


Superare l’idea che ha radicato in noi la tradizione biblica seconda la quale la caratteristica peculiare dell’uomo sarebbe il possesso di un’anima unica ed eterna.

Harari dice che la scienza moderna ha fatto saltare questo dogma prima con le scoperte di Darwin sull’evoluzione e sulla sopravvivenza del più adatto; poi con la teoria della relatività che sostiene chi spazio e tempo si possono torcere, piegare; la meccanica quantistica che sostiene che qualcosa può apparire dal nulla e che un gatto può essere vivo o morto nel medesimo tempo.

Tutte affermazioni che si prendono gioco del nostro senso comune, dice Harari.

Non è possibile possedere un’eterna essenza individuale che rimarrebbe immutabile nella vita per sopravvivere dopo la morte, per la semplice ragione che qualcosa di non divisibile e non mutabile non può sopravvivere al meccanismo della evoluzione.

Non può esistere un’entità olistica che non sia un assemblaggio di più parti, mentre l’anima per definizione non ha parti, mentre l’evoluzione per definizione significa cambiamento, flusso continuo.

Per l’evoluzione la cosa che abbiamo di più simile a un’anima è il DNA, che però è proprio un veicolo di mutazioni.


Superare il terrore verso cose intelligenti ma senza autocoscienza, (come robot e computer)

L’altra storia che la tradizione culturale biblica ha radicato in noi per giustificare la presunta superiorità umana è il fatto che il Sapiens ha una mente cosciente.

L’autocoscienza sarebbe una collezione di esperienze che diverrebbero un flusso di coscienza, di sensibilità.

Robot e computers non hanno coscienza perché non ostante le loro abilità non sentono nulla e non desiderano nulla.

E’ vero ,però non dimentichiamoci il fatto che in noi umani molti circuiti che processano sensazioni ed emozioni nella nostra mente producono azioni completamente inconsce.

Questo è certo, anche se, afferma Harari sappiamo ancora troppo poco sui processi mentali e in particolare nessuno ha realmente un’idea su come una congerie di reazioni biochimiche e correnti elettriche nel cervello producono soggettive sensazioni di pena, rabbia o amore.

O di come il movimento di elettroni da un punto all’altro del cervello ci porta ad una sensazione soggettiva di odio o amore.

L’unica cosa evidente è che si tratta di processi molto complicati.

Perchè il 99% dei processi del nostro corpo inclusi i movimenti dei muscoli e le secrezioni ormonali hanno luogo senza alcun bisogno di sensazioni coscienti.

Si è scoperto che parecchie specie animali sono senzienti.

Hanno coscienza, ma non autocoscienza si dice.

Solo gli uomini hanno la cognizione di un passato e di un futuro, forse perché solo gli uomini dispongono di un linguaggio capace di comunicare concetti astratti o di fantasia.

Usando di questa abilità il Sapiens è divenuta l’unica specie capace di flessibilità nella cooperazione anche fra un enorme numero di persone.

Queste abilità portarono a formare capacità di organizzazione, portando al successo i gruppi più organizzati.

In più gli umani hanno forme di moralità innate che ad esempio portano alla ricerca dell‘uguaglianza che appare quindi come il valore di consenso universale.

Tanto che le società meno egualitarie sono quelle che funzionano peggio.

Harari insiste sul concetto che aveva ampliamene sviluppato nell’opera precedente quando ha parlato della rivoluzione cognitiva che 70.000 anni fa ha consentito al Sapiens di fare un salto di qualità concependo entità inesistenti nella realtà e quindi di pura fantasia, portando il Sapiens medesimo a concepire forme di religione e di arte, sopravanzando così radicalmente le abilità delle altre specie.

Perchè questa capacità di creare entità fittizie ha dato loro la capacità di comunicare anche in numeri elevati di persone e di organizzarsi nel modo più funzionale possibile.


Da allora la storia è diventata per l’uomo un singolare equilibrio fra realtà e finzione, essendosi dimostrata la finzione essenziale e funzionale ad ogni forma di organizzazione sociale.

Le religioni ribadisce Harari sono state con le loro narrazioni mitiche fondamentali per fornire credenze che cementassero comunità di credenti intornio a fantasie condivise.

Le religioni, come da decenni ha documentato l’antropologia religiosa sono state inventate dall’uomo proprio per uno scopo sociale-politico e sono per loro natura distinte dalla spiritualità che è altra cosa.

La religione è un patto, un contratto con presunte divinità.

La spiritualità è invece una ricerca, è un viaggio.

Le religioni mirano a cementare un ordine sociale politico, mentre le spiritualità mirano ad allontanarsene.

Questa è la ragione per la quale la spiritualità per la religione è una pericolosa minaccia.

La scienza è basata sui fatti, le religioni sui dogmi, che non sono solo giudizi etici, ma anche “pretese fattuali”.

Le religioni mescolano tre cose :

-giudizi etici

-affermazioni fattuali

-una mescolanza di giudizi etici e affermazioni fattuali

Un esempio è il divieto di aborto che rende chiaro quanto l’affermazione fattuale sia arbitraria.

Affermazione fattuale è stata la famosa “donazione di Costantino” cioè il documento papale sul quale si era basata per secoli la pretesa del potere temporale del papato sulla parte occidentale dell’impero romano, che faceva risalire la presunta “donazione di Costantino” a una specie di contratto appunto fra Costantino e Silvestro I datato 30 marzo 315.

Fino a quanto il prete linguista Lorenzo Valla nel 1441 ha dimostrato che quel pezzo di carta invece di risalire al quarto secolo era un evidente falso elaborato 400 anni dopo da prelati curiali.

Harari pur denunciando le intrinseche debolezze delle religioni sostiene che è comunque necessario che sopravviva qualcosa dello stesso tipo per mantenere l’ordine sociale.

La stessa democrazia dice Harari funziona solo se i cittadini condividono dei comuni obiettivi e questo ha di fatto spesso significato condividere credi religiosi.

Il lettore tenga presente che Harari non distingue volutamente fra religioni e ideologie e quindi fra i credi religiosi comprende socialismo e liberalismo.

Come avviene che uno sia liberale e l’altro socialista?

Harari come al solito va giù piatto affermando che di fatto le mie visioni politiche non riflettono il mio autentico io.

Sono piuttosto il modo col quale sono stato allevato, le mie frequentazioni sociali e il lavaggio del cervello che ho subito fin dalla nascita.

Il comunismo è stato sconfitto dalla storia a causa del modo come è stato applicato in paesi concreti, ma il liberalismo che ha vinto lo ha fatto perché ha saputo pragmaticamente fare proprie le istituzioni sociali inventate dal socialismo come l’educazione la sanità e il lavoro per tutti con le stesse condizioni di partenza e il welfare.

Le religioni sono diventate insignificanti, ma come farà l’uomo a trovare un equilibrio di fronte alla

destabilizzazione del nostro senso comune provocato dalle scoperte scientifiche ?


Harari dice : La contraddizione fra il libero arbitrio e la scienza contemporanea è l’elefante nel laboratorio

I nostri geni,ormoni e neuroni possono agire in modo deterministico , a caso o con una combinazione dei due, ma non sono mai liberi.

Del resto se gli umani fossero liberi, come avrebbe fatto l’evoluzione a modellarli?

Sembrano liberi come gli scimpanzè nel senso che possono scegliere cosa desiderano, ma la domanda di fondo è se sono in grado di scegliere i loro desideri veramente e non a seguito di un processo biochimico che avviene nel loro cervello.

La realtà è che io non scelgo i miei desideri, io solo li avverto ed agisco di conseguenza.

Ma se gli organismi mancano di libero arbitrio, questo implica che noi possiamo manipolare ed anche controllare i nostri desideri usando farmaci, ingegneria genetica o diretta stimolazione del cervello.

Esperimenti dimostrano che è possibile intervenire anche su complessi sentimenti come amore ed odio tramite stimolazioni nel punto appropriato, per esempio si può paralizzare l’area che provoca la depressione, senza doversi fare infilare elettrodi, ma solo indossando un particolare casco tecnologico.

In conclusione l’anima eterna è reale come Santa Claus, perché in realtà gli umani non sono individui, ma sono dice Harari solo “dividui”.

Per lo meno noi abbiamo due entità in conflitto , il sé che fa esperienza ed il sé che ci compone narrazioni e che non ci narra tutto quello che succede, ma solo una media, fa da censore su momenti di orrore e mette in archivio preferibilmente storie che hanno buon fine, perché abbiamo un disperato bisogno di trovare un significato ai nostri sforzi ed alle nostre sofferenze.

Addirittura il nostro subconscio agendo in modo contro- intuitivo segue un sistema sofisticato per farci preferire la continuazione di sicure sofferenze in futuro, pur di non costringerci ad ammettere che alcune nostre sofferenze passate sono state del tutto inutili.

Nel mondo dell’umanità futura gran parte di essa vedrà persa la propria capacità di essere utile alla società.

Allora il sistema continuerà a trovare valore nell’umanità nel suo complesso ma non nei singoli individui.

Troverà valore solo in in un numero ridotto di super-umani, un a élite di umani che hanno incrementato le proprie abilità e facoltà.


Gli umani sono in pericolo di perdere il loro valore economico perché l’intelligenza si sta separando dalla coscienza

Nuovi tipi di intelligenza non cosciente saranno presto in grado di eseguire i loro compiti meglio degli umani.

Per eserciti e imprese sarà inevitabile riconoscere che l’intelligenza è essenziale,ma la coscienza è opzionale, e non avranno più bisogno di coscienza ed esperienza soggettiva.

Si veda ad esempio l’auto senza guidatore.


Impietosamente Harari cita il corposo elenco di professioni sul viale del tramonto.

Non solo quindi gli autisti di tutti i tipi.

Ma avvocati,giudici, poliziotti, quando si useranno su vasta scala le misurazioni che già esistono per verificare se l’interrogato dice la verità.

Non avrà scampo perché la verità viene processata in un’area del cervello diversa da quella che processa la menzogna, quindi basta mettersi davanti a un monitor adatto, già esistente che riproduca l’attività del cervello nelle varie aree.

E quale medico potrà mai competere con un data base che contenga assolutamente tutti i casi clinici, sintomi, diagnosi e relative terapie?

Idem coi farmacisti, Harari cita già esistenti esempi di farmacie gestite da robot.


Quando algoritmi senza mente saranno capaci di insegnare, diagnosticare e disegnare meglio di noi, noi cosa faremo?

Anche gli organismi sono algoritmi, cioè sono un assemblaggio di algoritmi organici messi insieme dalla selezione naturale.


I calcoli algoritmici non sono influenzati dal materiale col quale il calcolatore è costruito.

Quindi non c’è ragione di pensare che un algoritmo naturale possa fare cose che un algoritmo inorganico non potrà mai fare.

Niente da fare, si creerà una classe non solo di disoccupati, ma di persone non occupabili.

Il problema quindi è quello di creare nuovi lavori che gli umani sappiano portare avanti meglio degli algoritmi.


Per stare al passo l’unica via percorribile dagli umani è allora quella di imparare studiando durante tutta la vita e di reinventarsi più volte.

Gli algoritmi potranno deprivare l’umanità della sua autorità e libertà, perchè la tecnologia del ventunesimo secolo può abilitare algoritmi esterni a “hackerare” l’umanità in modo da conoscere mè stesso meglio di come mi conosco io, lavorando sui dati.

A questo punto gli umani non si sentiranno più autonomi perché il loro sistema biochimico sarà destrutturato e monitorato da un onnipresente sistema di sensori.


La nuova religione sarà il dataismo

L’arma che consentirà ai nuovi umani di conquistarsi la loro parte sarà l’informazione.

Il fatto che le medesime leggi matematiche si applicano sia agli algoritmi biochimici,sia a quelli elettronici, ha fatto cadere la separazione fra organico ed inorganico, animali e macchine.

Giraffe, pomodori ed esseri umani, dice Harari sono solo metodi differenti di processare i dati.

In un mondo così fatto dove è andato a finire il potere? si interroga Harari.

Il potere è di chi riesce a processare i dati più velocemente per usarli ai suoi fini.

Dl resto abbiamo visto che anche durante la rivoluzione cognitiva di 70.000 anni fa il Sapiens seppe assumere nel mondo una posizione dominante proprio usando il suo vantaggio competitivo nel saper processare i dati facendo cooperare larghi gruppi umani.

Bellissimo il ricorso che Harari fa all’antichissima cultura hindù che possiamo trovare nei Veda e nelle Upanishad che suggerisce agli umani di unirsi all’anima universale del cosmo, il proprio Atman si può unire all’Atman universale.

Quando verrà il momento che gli scienziati hanno denominato della “Singularity”, l’umanità sarà sopravanzata dalle macchine.

Bisognerà allora essere collegati con tutto il sistema, perché in questo si troverà la ricerca di senso per l’uomo, essere parte del flusso divenendo così parte di qualcosa superiore a noi stessi.

Ricordate l’Atman indù?

Possiamo tentare di incrementare il sistema umano di processare i dati, ma potrebbe non essere abbastanza.


Conosci tè stesso diceva la filosofia classica.

Quando tu ascolti le tue sensazioni, i tuoi sentimenti, segui un algoritmo che l’evoluzione ha sviluppato per milioni di anni e che ha superato il test della selezione naturale. I tuoi sentimenti, le tue sensazioni sono allora la voce di milioni di antenati.

Ascolta i tuoi algoritmi, essi sanno come tu ti senti.

Si può dubitare che la vita sia riducibile a un flusso di dati.

Come i dati possano produrre coscienza e esperienze soggettive, ad oggi non sappiamo come avvenga, come potremmo anche scoprire che dopo tutto gli organismi non sono algoritmi.

Il conosci tè stesso può voler dire : prendi coscienza di quello che ignori.


Harari ci lascia in eredità tre domande chiave :

1-gli organismi sono algoritmi e la vita è proprio processare dati?

2-cosa ha più valore l’intelligenza o la coscienza?

3-cosa succederà alla società nel momento della singularity quando una intelligenza non cosciente conoscerà noi meglio di noi stessi?

Questa è l’ultima sferzata di Harari, il libro finisce con tre domande, anche se ovviamente l’autore ha cercato di suggerire possibili risposte, in tutte le pagine precedenti, fra le quali richiamerei quella a mio parere più pesante :

sostituire preti rabbini e mullah con ingegneri e re-ingenizzare il nostro corpo e la nostra mente. Osare!





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