sabato 5 settembre 2020

Yuval Noah Harari : Sapiens breve storia dell’Umanità

 



Chi scrive si è a suo tempo laureato con una tesi di storia economica, che è pur sempre storia, però non ha avuto il piacere di apprendere nemmeno le nozioni più elementari della storia dell’universo e della storia umana antica né nel corso curricolare della scuola italiana, né in seguito.

Casualmente ho avuto la fortuna di essere introdotto a queste nozioni in età adulta da una brillantissima conferenza di Margherita Hack.

Come può succedere una cosa così incongruente?

Dalla lettura di questo libro si deduce che il mio caso personale è estremamente diffuso perché c’è da secoli un pregiudizio che nel migliore dei casi snobba i così detti uomini preistorici con la qualifica di “uomini delle caverne” facendone oggetto di scherno ,in attesa dell’apparizione della presunta civiltà, illuminata dalle religioni universali.

In ogni caso l’uomo della strada non ha la minima nozione dell’arco di tempo nel quale questi nostri antenati sono vissuti, nè di come sono vissuti.

Il problema è che questo lasso di storia è sostanzialmente riportato dai testi di storia sulla falsariga della narrazione che ne danno i testi biblici, condivisi dalle tre religioni abramitiche, legate al mito della creazione dell’universo da parte di un dio personale che avrebbe fatto tutto dal nulla.

La scienza moderna dalla scoperta di Charles Darwin in poi ha dimostrato da un pezzo che non c’è mai stata alcuna creazione da parte di nessun architetto, che avrebbe perseguito un disegno intelligente.

Non fosse per altro, per la semplice ragione, sotto gli occhi di tutti ,che sono tali e tante le storture di questa presunta creazione (oltre ovviamente alle bellezze e grandezze) che se fosse mai esistito questo grande Architetto costui sarebbe stato tutt’altro che intelligente.

Ma il pregiudizio dovuto a migliaia di anni di indottrinamento clericale permane, anche perché fino a non troppo tempo fa chi non dava a vedere di condividere la visione del mondo di quelle chiese era perseguitato per lo più fino alla morte, non dimentichiamocene.

Grande è quindi il merito di Harari di aver saputo scrivere un libro corposo e spesso duro da accademico ben accreditato, in modo leggibile e intrigante, capace di ristabilire lo stato delle cose.

Ho volutamente inserito accanto al titolo anche l’immagine della copertina nella traduzione inglese (l’orginale è uscito in ebraico dato che Harari tiene la cattedra di storia alla Hebrew University di Gerusalemme) perché si vedesse che non stiamo parlando di un opera per addetti ai lavori ma di un libro che ha già venduto milioni di copie.

Cominciamo quindi dando i riferimenti fondamentali che in storia sono le date.


- Secondo la scienza moderna l’universo è nato dal Big Bang 13 miliardi e mezzo di anni fa

- fra i 4 ed i 3 miliardi di anni fa si è verificato il fenomeno della nascita della vita organica da materiale inorganico

- 2,5 milioni di anni fa dai Primati hanno cominciato a staccarsi esseri umani a noi simili

- 300.000 anni fa è comparsa la specie Homo Sapiens, cioè noi

- 150.000 anni fa i Sapiens hanno popolato l’Africa Orientale

- 120.000 anni fa si è verificata la prima migrazione fuori dall’Africa Orientale

- 70.000 anni fa si è verificata la seconda migrazione fuori dall’Africa e per tutte le parti del pianeta


Fermiamoci qui per il momento.

Osservare epoche di tale ampiezza dà un immediato senso di smarrimento, come quando ci si immerge nelle immensità dello spazio per esempio osservando la Via Lattea in una notte d’estate.

Come si passa attraverso queste epoche, difficili perfino da concepire nelle loro dimensioni temporali?

Si passa lentamente passo per passo come è noto per via di evoluzione casuale.

Il Sapiens si è trovato a convivere più che lungamente con specie che gli assomigliavano come il Neanderthal, che l’evoluzione ha bloccato, favorendo la nostra specie, anche se si è appreso che i Neanderthal erano più forti e più intelligenti di noi.

Come mai? Come ha potuto accadere una cosa così contro-intuitiva?

L’estrema utilità di questo lavoro di Harari sta proprio nell’aver saputo fornire le chiavi di lettura a interrogativi fondamentali come questo.


La rivoluzione cognitiva

Eravamo più deboli e meno intelligenti dei Neanderthal, ma circa 70.000 anni fa abbiamo cominciato a fare cose veramente speciali dice Harari.

Cominciammo la seconda migrazione dall’Africa per andare in Europa e in Oriente inventando imbarcazioni,lampade ad olio, archi e frecce, e gli aghi fondamentali per cucirci vestiti atti a farci sopportare il freddo, espressioni artistiche, gioielli, abbiamo inventato la religione, il commercio e la specializzazione sociale.

Quindi nuove abilità, tecnologia, solo questo?

No questo è il risultato di un salto di qualità ben più profondo che Harari definisce la “rivoluzione cognitiva” che il Sapiens ha costruito dentro a sé stesso.

Ecco il campo nel quale il Sapiens ha distanziato tutte le altre specie : la capacità di astrazione che consente sopratutto di usare la fantasia, la creatività,la finzione per arrivare alla creazione artistica ed all’invenzione dei miti religiosi.

Non a caso Harari inserisce in questo capitolo l’immagine della statuetta dell’uomo-leone di Holenstein Stadel,come di assoluto valore iconico.

Si tratta di una scultura in avorio preistorico scoperta in una grotta tedesca negli anni ‘30 datato a circa 32.000 anni fa, riproducente l’immagine di una figura umana, ritenuta dagli studiosi femminile, con la testa di un leone, dimostrazione evidente della capacità di inventare, di immaginarsi cose non esistenti nella realtà.

E’ questo il punto di forza della nostra specie, vedere rappresentare e comunicare quello che non c’è nel mondo reale.

Ma non basta, forse non sarebbe bastato quanto sopra descritto per condurci alla rivoluzione cognitiva se non fosse stato coniugato con la abilità-capacità di comunicare le nostre invenzioni-fantastiche o solo astratte ad una collettività in modo tale che le nostre idee, creazioni e miti divenissero condivisi da una collettività di Sapiens anche molto vasta, consentendo a questa di lavorare appunto a scopi comuni e condivisi.

La psicologia cognitiva indica il così detto “limite del gossip” , cioè la capacità di ciascuno di noi di comunicare una cosa agli altri ad un ambito non superiore ai 150 individui.

Ma questo limite viene superato con la condivisione delle creazioni artistiche e sopratutto dei miti.

I babbuini questo non lo sanno fare e non lo seppero fare nemmeno le specie più vicine a noi come i Neanderthal.

Non a caso Harari cita il potere delle religioni universali e delle ideologie come ad esempio il nazionalismo, oggi declinato come sovranismo di indurre alla cooperazione fornendo un illusione identitaria estremamente potente.

Il linguaggio è un midium fondamentale per diffondere le idee, ma più fondamentale ancora è stata la capacità di immaginarsi e comunicare le fantasie, le cose che non esistono, ma alle quali possiamo fare riferimento con estrema utilità.

Nell’universo dice Harari non esistono, non sono mai esistiti dei,nazioni, denaro, diritti umani, leggi, giustizia, che non siano nell’immaginazione della mente umana.

I così detti primitivi cementavano la loro unione con le loro fantasie animiste danzando intorno al fuoco e immaginandosi fantasmi e spiriti.

Le nostre istituzioni funzionano esattamente sulla stessa base.

Harari per fare assimilare questa concezione storica piuttosto scioccante, racconta quello che chiama “il mito della Peugeot, nata come piccola azienda familiare ,intorno alla figura reale del fondatore.

Che però anche dopo la morte della persona fisica del fondatore andò avanti a prosperare fino a diventare una grande industria, ovviamente non più più riconducibile e identificabile con la persona umana del suo fondatore, né in quella dei suoi operai e dei suoi manager e azionisti.

La Peugeot è un’astrazione, se vogliamo seguire il discorso di Harari una pura invenzione umana consistente nel concetto astratto di società per azioni, che non ha consistenza nel mondo fisico ma in quello del diritto e dell’economia.

La società a responsabilità limitata è concepita in modo che la proprietà diviene indipendente rispetto a persone e famiglie e si riferisce solo a titoli di credito denominate azioni.

Singolarmente questa finzione ha scelto come logo dell’azienda la figura iconica della testa di leone, chi richiama direttamente la statuetta preistorica della quale si è parlato sopra.

Questa società, dice Harari è stata creata col medesimo meccanismo mentale col quale stregoni e sacerdoti hanno creato demoni e dei.

Tutto consiste nel fatto di creare storie e convincere altri a crederci.

Risulta più efficace un abile prete che cento soldati, rileva a un certo punto Harari.

Fra la “fede” religiosa e la “fiducia” nel valore del denaro al fondo non c’è alcuna differenza, il procedimento mentale è identico.

La difficoltà non sta nel raccontare una storia, ma nel convincere gli altri a crederci.

Deve essere percepito un vantaggio reciproco, come è avvenuto per l’appunto con la creazione fantastica del denaro, delle valute, basate oggi su nulla di reale e concreto se non nella fiducia in esse, fiducia legata a uno scambio o un’utilità.

Non a caso nota Harari il commercio basato su uno scambio avviene solo fra i Sapiens.

Così come la religione e l’espressione artistica, si potrebbe aggiungere.

Capacità di fantasticare, ma insieme a capacità di condividere,di cooperare.

Uno dei vantaggi competitivi fondamentali dei Sapiens è stato, rileva Harari, l’applicazione di questa nuova abilità nelle tecniche di caccia.

Per affrontare animali enormi come i Mammut e dalla loro caccia procurarsi altrettanti enormi riserve di carne occorreva saper cooperare, dividendosi in squadre anche numerose, con compiti diversi per spingere, per lo più incendiando erba, animali o branchi di animali in stretti passaggi o in buche per affrontarli da posizioni più favorevoli.

Harari dice: la scienza ci dice che siamo simili in maniera imbarazzante agli scimpanzè, ma le cose cambiano se superiamo la soglia dei 150 individui perché a quel punto per gli scimpanzè si presenterebbe il caos e invece per i Sapiens non è un problema perché hanno saputo inventare i miti usandoli come collante indispensabile per fare cooperare migliaia di persone.

Dalla rivoluzione culturale in poi, cioè da 70.000 anni fa in poi, le capacità fisiche emotive e intellettuali dell’uomo sono rimaste le stesse e ce lo rivela il mondo del subcosciente.

Perchè le neuroscienze hanno rivelato che di fronte a un pericolo imminente il cervello ci dà in automatico una prima risposta basata sulla così detta sindrome del mammut, né più né meno di come succedeva allora.

Perchè oggi in un epoca di enorme abbondanza rispetto a 70.000 anni fa tendiamo per istinto a mangiare oltre alle reali necessità, né più né meno di come si faceva allora?

Perchè il Sapiens evolve molto ma molto lentamente e quindi la distanza fra questi Sapiens e noi è molto più tenue di quello che pensa la vulgata una volta corrente.


Fra la rivoluzione cognitiva 70.000 anni fa e la rivoluzione agricola 12.000 anni fa in quel lunghissimo periodi di 58.000 anni

Focalizziamo allora la nostra attenzione a quel lungo periodo di storia che va dalla rivoluzione cognitiva di 70.000 fa, alla rivoluzione agricola di 12.000 anni fa.

Ecco questo periodo che nella vulgata precedente degli storici quasi neppure esisteva, perché evidentemente lo stato delle discipline di allora non prendeva quasi nemmeno in considerazione

“l’uomo preistorico” è enormemente rivalutato dalla lettura che ne dà Harari ed ovviamente non solo lui.

Citerei sulle stessa medesima linea di pensiero ad esempio il lavoro dal titolo significativo “Against the Grain, a Deep History of The Earlier States” di James C. Scott della Yale University.

Cerchiamo di immaginare la vita dei raccoglitori cacciatori di questo lunghissimo periodo, quando vigeva una forma di più o meno relativo nomadismo, prima dell’avvento della rivoluzione agricola che portò con sé con gli stanziamenti fissi legati appunto alla necessità di coltivare terreni.


- Non c’era se non nella forma limitatissima di pochi oggetti personali ,la proprietà privata, tanto meno della terra.

- Non c’era alcuno stato e tanto meno impero e quindi non c’era proprio nessuno a cui pagare alcun tributo.

- Non c’era alcun esercito che ti imponesse di andare a combattere per interessi molto spesso del tutto diversi dai tuoi.

- Non c’era alcun padrone di terre che ti imponesse di versargli una parte di raccolto più o meno ad libitum, cioè a suo giudizio e non in base a criteri obiettivi.

- Non c’erano sacerdoti di religioni universali che ti imponessero di credere in una sola visione del mondo, potevi credere in quello che ti pareva e quindi nessuno imponeva il ricorso all’autorità di un dio esterno per interpretare il mondo, bastava guardarsi intono e se volevi potevi seguire la spiritualità animista, che tendeva a vedere spiriti animati in ogni cosa reale.

Non è cosa da poco godere della libertà dalla concezione teista che ti impone l’autorità esterna di un presunto dio creatore, con il codazzo dei suoi immancabili sacerdoti e interpreti che sarebbero seguiti in realtà per mettersi a servizio della stabilità del potere civile.

- Non c’erano padroni che ti imponessero alcun orario o modo di lavoro.

Anzi confronto le condizioni di vita di quel periodi con quello dell’epoca successiva della rivoluzione agricola il lavoro era molto più leggero.

Harari dice che per la caccia bastava dedicare un giorno su tre.

Per la raccolta non più di tre sei ore al giorno e la dieta era varia, con notevoli conseguenze positive sullo stato di salute.

- Non c’era l’ossessione della competizione, della rincorsa del successo o della ricchezza.

- C’era generosità, cooperazione e solide amicizie.

- La demografia era al minimo e quindi l’influenza della presenza del Sapiens sull’eco-sistema era estremamente limitata, prima della rivoluzione agricola.


Harari finisce per dichiarare che i raccoglitori cacciatori son stati la specie di uomini più avveduti ed abili di tutti tempi, che godevano di un esistenza più confortevole e grata in misura molto maggiore di chi è venuto dopo di loro.

Perchè la rivoluzione agricola ha comportato alla fin fine la necessità di accollarsi lavoro e preoccupazioni sempre maggiori ai vantaggi ricevuti.

Dalla rivoluzione cognitiva a quella agricola passano grosso modo 50.000 anni, un periodo enorme di storia che ci era praticamente del tutto ignoto.

Oggi apprendiamo che quei nostri progenitori sono vissuti più felici di chi ne è seguito.

E’ veramente un dato sorprendente che sconvolge le nostre cognizioni tradizionali, pesantemente condizionate non da evidenze scientifiche ma dai pregiudizi religiosi installati dalle narrazione biblica imposta per secoli non dalla forza di una visione del mondo, ma dalla spada.

La narrazione biblica è stata messa per iscritto come è noto dallo scriba del re Giosia intorno al 600 a.C. e le tre religioni abramitiche universali che a questi testi si rifanno fanno partire la civiltà umana dalle loro narrazioni.

Prima, nella descrizione storica della bibbia l’uomo era assimilato più meno agli animali, fino a quando non ha stipulato un patto con il dio appunto dei racconti biblici.

Ecco perché è nato il concetto di preistoria.

Quel prefisso pre è in realtà un arbitrario giudizio di valore , come dire che prima di Abramo non ci sarebbe stata alcuna storia.

E invece ai soli 2/3.000 anni di interpretazione della storia della civiltà che sarebbe nata nei tempi della narrazione biblica si contrappongono decine di migliaia di anni della storia come è andata veramente e cioè , sulla base delle evidenze storiche, non nella fantasia degli autori biblici ,assemblati da quello scriba di re Giosia, a sostegno del mito del Regno della Grande Israele, che tra l’altro secondo le evidenze storiche non è mai realmente esistito, dal momento che il regno di Israele non è mai riuscito ad andare oltre a un ridottissimo ambito territoriale.

Entusiasmante quindi recuperare la realtà storica e riscoprire antenati del tutto ignoti che hanno vissuto un periodo lunghissimo a quanto pare più felici di quanto siamo noi moderni.

Facendo un calcolo se pure a spanne 70.000 anni meno i 12.000 dell’inizio della rivoluzione agricola fanno 58.000 anni, un periodo di lunghezza enorme, che l’arroganza delle fedi istituzionali di Ebrei,Cattolici e Musulmani hanno voluto sottrarre dalla nostra stessa conoscenza, evidentemente per non oscurare e ridimensionare drasticamente l’influenza sulla storia umana delle loro mitologie, che rimangono comunque relegate a un ben piccolo periodo, comunque lo si voglia giudicare, anche senza ricorrere all’evidenza della quasi completa irrilevanza raggiunta da quelle fedi.

58 diviso tre fa circa 20 e quindi il mito biblico rappresenta un ventesimo della storia umana, ricordiamocene.


La rivoluzione agricola o la più grande impostura della storia

Detto tutto questo si capisce come mai Harari ha intitolato il capitolo della rivoluzione agricola, venuta dopo la vita felice dei raccoglitori-cacciatori durata ben 58.000 anni esplicitamente :”la più grande impostura della storia”.

Evidentemente perché la vulgata precedente degli storici ci presentava la rivoluzione agricola come la nascita della vera civiltà dopo un oscuro periodo abitato da poveri cavernicoli.

La nascita dell’agricoltura nella famosa mezzaluna fertile della Mesopotamia grosso modo fra Tigri ed Eufrate, vendutaci culturalmente per secoli come l’icona del paradiso terrestre o comunque come luogo di nascita della civiltà moderna da Harari viene bollata come pura fantasia se si intende che da allora le persone sarebbero diventate più intelligenti e tanto meno più felici.

La rivoluzione agricola ha portato con sé

-l’esplosione demografica,

-più lavoro,

-dieta più ristretta se non ridotta al solo frumento,

-condizioni sanitarie peggiori,

-guerre frequenti,

-sottomissione ad èlite arbitrarie ed esose,

-in poche parole qualità della vita peggiore se non molto peggiore.

-Con la rivoluzione agricola è venuto l’inizio della aggressione dell’eco-sistema.

Per gli animali domesticati è stato l’inizio di una vera catastrofe per le loro condizioni di vita.

-L’attaccamento per una casa ha comportato l’inizio della separatezza nei confronti dei vicini con conseguenze anche psicologiche notevolissime, spingendo l’uomo all’individualismo, prima sconosciuto.

I raccoglitori-cacciatori vivevano alla giornata non avevano una vera nozione di futuro perché del futuro non avevano alcuna paura, non come i contadini che se qualcosa faceva andar male il raccolto si trovavano in miseria e perseguitati dalle élites al potere se non avevano quel famoso “surplus” per pagare i tributi.

Dalla pratica della cooperazione fra amici si passò allo sfruttamento ed all’oppressione.

- Con la rivoluzione agricola arriva oltre al concetto di proprietà privata, quello ancor più invasivo di gerarchia e di autorità e con questi la divisione in classi sociali.

- Cominciano le leggi, pensiamo al codice di Hammurabi del 1776 a.C.

Il forte aumento della produzione di frumento derivante dalla rivoluzione agricola porta alla necessità di gestire le scorte sopratutto da parte dei poteri pubblici.

E’ stata quindi la banale necessità di ricorrere alla contabilità che ha indotto i Sumeri nella Mesopotamia a inventarsi prima i numeri e poi un primo alfabeto.

Le prime testimonianze di scrittura che abbiamo sono infatti tavolette sulle quali sono inscritti dati contabili di transazioni o di scorte di magazzino, debiti e crediti.

Intanto però la scoperta della scrittura fa fare un passo avanti incredibile alle capacità di comunicazione e di cooperazione.

Le religioni e i miti fondanti degli imperi vanno di pari passo.

Quelli che noi chiamiamo i valori sono chiaramente variati da epoca ad epoca e spesso di li trovarono in contraddizione fra loro.

Il pio benestante medioevale andava in chiesa a sentire il discorso della montagna e poi da cavaliere si riteneva in dovere di andare a squartare i nemici del suo signore.

Nell’epoca moderna dice Harari si esaltano insieme la libertà e l’uguaglianza che non stanno insieme perché la mia libertà si basa sulla decurtazione della libertà di chi sta meglio di me.

Ma precisa Harari sono proprio queste contraddizioni fra i nostri riferimenti ideali, che sono i motori della cultura, della creatività e del dinamismo della nostra specie, perché le culture umane sono in costante flusso.

Questo flusso è accidentale o la storia ha una direzione?

Harari afferma che c’è una tendenza all’unità perché le culture dialogano e si influenzano.

Di tutte le invenzioni umane quella del denaro ha surclassato quella degli dei in quanto a penetrazione universale e durata nel tempo, l’invenzione del denaro è il sistema di mutua fiducia più efficiente e universale che sia mai esistito a cominciare da una misura d’orzo dei Sumeri, la fiducia condivisa scavalca ogni divario culturale e non fa discriminazioni.

Con la rivoluzione agricola sono sorti gli imperi,che sono stati l’istituzione politica più comune al mondo a cominciare da quello di Sargon il grande formatosi in Mesopotamia nel 2.250 a.C.

L’ideologia imperiale è inclusiva e onnicomprensiva, vede l’umanità come la grande famiglia.

Un’altra formidabile contraddizione fra i riferimenti culturali è il fatto che le guerre contro le potenze coloniali nel secolo scorso sono state combattute prendendo a bandiera gli stessi principi di libertà, uguaglianza propri di che quegli imperi che quei territori avevano occupati.

Bisogna riconoscere che tutte le culture umane sono il retaggio di imperi, semplicemente perché così detta la storia.

Harari sembra voler dire che è sciocco il senso di disgusto col quale si parla oggi degli imperi coloniali perché furono gli imperi

- a unificare mosaici di regni,

- a creare una coscienza nazionale significativa

- a costruire per la prima volta una rete di infrastrutture efficiente

- a creare le basi di sistemi giudiziari e amministrativi efficenti

Agli schifati detrattori a priori degli imperialismi europei probabilmente troppo poco informati dei fatti, Harari cita per esempio il fatto più che significativo che la cultura del thè è stata introdotta in Indi dagli Inglesi, così come lo studio del sanscrito la cui precedente non conoscenza impediva di capire la storia di quel paese,

Il denaro, gli imperi e le religioni sono stati gli elementi unificanti dell’umanità dal primo millennio a.c.


La rivoluzione scientifica

L’analisi di Harari arriva quindi a delineare la terza fondamentale rivoluzione della storia (dopo quella cognitiva e quella agricola), che l’autore indica chiaramente come la più importante di tutte, quella scientifica che avviene intorno al 1.500.

E’ infatti negli ultimi 500 anni che l’umanità ha assistito a uno sviluppo incomparabile della capacità umane.

Qual’è il punto di forza che ha consentito il salto?

Secondo Harari il principio sul quale si basa la scienza, che è la disponibilità ad ammettere l’ignoranza.

E’ un salto culturale enorme rispetto alla soggezione ai pregiudizi religiosi che imponevano di credere in una visione del mondo completa definitiva e veritiera per definizione perché avuta dall’autorità di un presunto dio esterno al mondo.

E quindi il nuovo dogma basato sulla scienza moderna è che non esistono dogmi, non esiste alcuna verità definitiva., le nostre conoscenze sono sempre provvisorie, non esiste la verità, ma la migliore probabilità, fino a prova contraria.

Sembra contro-intuitivo ma la base della rivoluzione scientifica sta nella acquisita consapevolezza che gli umani non conoscevano le risposte alle questioni più importanti, al contrario di quello che indottrinavano le religioni almeno quelle abramitiche.

Se l’uomo ha enormemente espanso le sue capacità di capire il mondo è proprio perché è riuscito a superare quei pregiudizi.

Prima della rivoluzione scientifica le culture umane non credevano nel progresso ed al contrario facevano riferimento ad una mitica età dell’oro da ricercare nel passato.

Si moriva perché così avevano decretato gli dei.

La scienza moderna dice che si muore a causa di volgari deficienze tecniche che almeno in parte si possono quindi aggiustare.

Le conseguenze di questa assunzione aprono all’umanità scenari imprevisti da fantascienza, ma per approfondire l’argomento il lettore dovrà pazientare e trasferirsi sul successivo lavoro di Harari intitolato significativamente Homo Deus.

Sarà politicamente scorretto, ma Harari non nasconde l’evidenza e cioè il fatto che la scienza moderna con tutto quello che ha generato è nata da menti occidentali (Galileo,Newton, Darwin, Einstein etc.).

E probabilmente è per questo che l’imperialismo europeo andrebbe rivisitato in modo più obiettivo e vicino alla realtà.

Rivoluzione scientifica e colonialismo andarono a braccetto, perché senza quel bagaglio di conoscenze sarebbe stato impossibile a pochi europei conquistare il mondo.

Altra cosa forse sgradevole ma obiettiva rivelata da Harari è che la scienza non avrebbe mai fatto gli enormi progressi che ha fatto se non ci fossero stati i capitalisti che ci scommettevano sopra finanziando ricerche e progetti, per guadagnarci, ovviamente.

Fantastica un’altra enorme contraddizione sottolineata da Harari è che la scoperta dell’America è di fatto l’emblema e la sorgente della rivoluzione scientifica, ma Colombo non ha mai riconosciuto di avere commesso un errore di valutazione galattico sostenendo fino alla morte che quella terra che aveva scoperto doveva essere l’India perché non voleva assolutamente ammettere che la Bibbia fosse errata in quanto non aveva conoscenza dell’esistenza del continente americano, quando avrebbe dovuto contenere tutta la verità sul mondo.

Harari in un certo senso sostiene che modernità e rivoluzione scientifica sono andati a braccetto con il capitalismo, definito nel suo meccanismo essenziale da Adam Smith nel 1776 quando “scopre” il fenomeno del “sovrappiù”.

Il sistema capitalista nasce e comincia a girare quando il produttore inizia a produrre qualche bene in sovrappiù rispetto a quello che serve a mantenere la propria famiglia, perché avendo a disposizione questo sovrappiù comincia ad assumere aiutanti per aumentare la produzione e guadagnare sempre di più.

Questa di Adam Smith, dice Harari è stata un’idea rivoluzionaria ,anche da un punto di vista filosofico-morale perché contiene in sé l’ammissione implicita che l’egoismo genera altruismo, in quanto la molla che fa girare il meccanismo capitalista è la ricerca del guadagno personale, che però genera automaticamente ricchezza a favore degli altri.

Purchè però il famoso sovrappiù venga reinvestito, non sperperato.

Cioè tutto funziona se il capitale viene investito non accumulato come ricchezza improduttiva.

Harari insiste sul carattere poco conosciuto dell’imperialismo europeo che nacque per opera di imprese private, come la famosissima Compagnia delle Indie.

Le conquiste coloniali con quello che ne è derivato non lo hanno fatto ,almeno all’inizio imperatori, re e soldati, pagati raccogliendo tasse, ma da imprenditori privati raccogliendo credito, che poi restituirono.

Lo stesso Harari però contemporaneamente afferma che quei ferventi sacerdoti del capitalismo che predicano la necessità di tenere lontana la politica dalla imprese dovrebbero sapere che la fede assoluta nel libero mercato ha lo stesso valore razionale della credenza in Babbo Natale, perchè nella realtà non esiste una forma di mercato del tutto libero dalla politica.

Anzi Harari non nasconde che la rivoluzione capitalista moderna non è detto che si riveli un colossale imbroglio come è stata la rivoluzione agricola nel senso che il mito della crescita continua potrebbe costringere una parte dell’umanità e vivere nella fame e nel bisogno.

La crescita continua sembra oggi fondata su un nuovo tipo di surplus, il consumismo di cose delle quali non abbiamo realmente bisogno. Durerà?

Quelle che Harari definisce “comunità immaginate”, cioè basate sulla nostra immaginazione, ma potentissime come gli imperi e le chiese avevano il compito di mantenere l’ordine sociale.

Oggi le nuove comunità immaginate non sono più statiche, sono un flusso continuo, eppure dopo il 1945 si è verificato il periodo più lungo e duraturo di pace che si sia mai visto nella storia, con la violenza al minimo storico, ma siamo più felici?

Si è arrivati all’eliminazione delle carestie su vasta scala ed all’allungamento della vita, ma siamo sicuri che chi è più ricco e sta meglio è anche più felice?

E l’alienazione e la mancanza di senso della vita, dove li mettiamo?

E’ dimostrato che le persone che godono di forti legami familiari e che vivono in comunità coese sono più felici degli altri.

Ma lo stato degli individui è sempre più solitario e le famiglie sono in crisi.

Gli antichi con la loro filosofia ci hanno dimostrato che è più felice chi si accontenta di quello che ha.

Lo scontento del Terzo Mondo è fomentato più da una reale povertà o dalla semplice esposizione agli standard del primo mondo?

Harari non ci risparmia considerazioni spaventosamente spiacevoli come questa : da un punto di vista strettamente scientifico la vita umana è assolutamente priva di senso perché gli umani sono il risultato di ciechi processi evoluzionistici , senza alcuna finalità e senza scopo.

E allora la felicità risponde solo ad un autoinganno?

Harari, significativamente come non pochi teologi eterodossi guarda con interesse alla spiritualità buddista che constata il fatto che le nostre mutevoli sensazioni sono vibrazioni effimere in continuo cambiamento, e che quindi non ci si può fidare di loto perché non danno mai sollievo a turbamenti.

Ci si libera dalla sofferenza non quando si insiste su questa o quella sensazione, sempre passeggera, ma quando si scopre la natura impermanente delle sensazioni e si smette di cercarle, questo è il fine delle meditazioni buddiste.

Accettare le sensazioni per quelle che sono , cioè vivere nel presente

Torniamo al “nosce te ipsum” o “gnosi sauton” se lo volete nell’originale che era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi.

Capire chi realmente siamo non significa rincorrere le sensazioni, pensieri, apprezzamenti e antipatie.


Arriva l’Homo deus

Arrivato a condividere col lettore queste riflessioni, a volte cupamente pessimiste ,Harari comincia a condurre il lettore nei pascoli verdi che contraddistingueranno il suo successivo lavoro sull’Homo Deus e infatti comincia a parlare dell’Homo Sapiens che all’alba del ventunesimo secolo sta per valicare i propri limiti.

Comincia a spezzare i vincoli della selezione naturale, sistituendole con quelle della progettazione intelligente.

Nel 2.000 un bio artista brasiliano ha prodotto con l’ingegneria genetica un coniglio verde fosforescente.


La progettazione intelligente può avvenire

-tramite l’ingegneria genetica

-la cyberingegneria combinando parti organiche con parti non organiche

-l’ingegneria della vita inorganica

Harari dice : perché non risalire al tavolo da disegno di Dio e progettare un Sapiens migliore?

Incidendo anche nelle nostre capacità intellettuali ed emozionali.

Il massimo sembra la possibilità di leggere nel pensiero altrui, si cambierebbe veramente il mondo.

E il cervello che può accedere ad una banca dati collettiva della memoria umana?

Il Sapiens ormai può liberarsi dai ceppi della biologia e riprogettarsi fino ad arrivare alla sostituzione dell’Homo Sapiens con una specie del tutto differente sia per caratteristiche fisiche ma anche di diversi modi cognitivi ed emozionali.

Harari dice che questo è un grosso problema culturale e psicologico, perché l’essere umano ritiene lo spirito intoccabile.

Difficoltà superabile però dal fatto che i primi super umani essendo progettati dai precedenti Sapiens conserverebbero di questi le concezioni culturali.

Cosa è proibito fare dal punto di vista etico?

La domanda è corretto porla, senza dimenticare però che non si può disinventare quello che si è già inventato.

Settanta mila anni fa l’uomo non era altro che un animale insignificante in un angolo dell’Africa, poi coi millenni è divenuto anche troppo il padrone del pianeta fino a portarlo vicino al disastro ecologico.

Oggi è sul punto di diventare un dio dotato dell’eterna giovinezza e della capacità di creare e di distruggere.

Ma abbiamo forse diminuito le sofferenze del mondo? Non sappiamo rispondere,riconosce Harari.


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