lunedì 23 dicembre 2024

Cecilia Sala : L’incendio Reportage su una generazione tra Iran Ucraina e Afganistan - Mondadori edizioni – recensione

 




Ho letto questo libro dopo aver visto la sua presentazione da parte dell’autrice (insieme ad Alessandro Aresu ) su Youtube, e ,lo confesso, ero più attirato dalla garanzia che mi dava il ben noto analista geopolitico che non l’autrice, che non conoscevo, se non dalle brevi note che mi apparivano su Instagram dal suo podcast Stories di Chora News.

Quando ho visto poi che scrive sul Foglio, che non rappresenta proprio il mio riferimento preferito, nicchiavo ancora di più.

La faccio breve, temevo di dovermi aspettare un libro costruito col solito assemblamento di reportage sulle “rivoluzioni colorate” ,in salsa più o meno ultra-atlantista ,come vuole il main -stream dei media nostrani e purtroppo anche non nostrani.

I lettori che hanno avuto la pazienza di seguire le decine di recensioni che ho fatto ormai da anni dei saggi degli analisti geopolitici, che provengano dalla scuola di Limes o da quella di Domino, sanno in quale basso conto siano tenute ,da questa scuola di pensiero, le “rivoluzioni colorate”, che ,anche analizzandole con criteri banali, se tutte ,politicamente, sono finite nel nulla, qualche ragione ci sarà, per dubitare sulla loro consistenza.

Letto il libro però, devo dire, che mi sono ricreduto per la gran parte.

Ho molto apprezzato l’abilità dell’autrice nello sforzo di presentare non solo la parte che lei ,come noi, sapeva destinata a raccogliere il culmine di interesse nei lettori ,cioè l’obbligo dell’ hijab o addirittura del burka ,per la popolazione femminile dell’Iran e dell’Afganistan ,ma inserendo questo problema in un contesto più vasto e in certi casi, molto più vasto, che ne riduce il peso specifico.

Bisogna riconosce che ci vuole coraggio a presentare i propri reportage in contesti di analisi più ampi del problema delle donne perseguitate dalla “polizia morale per favorire la virtù e contrastare il vizio”, quando i lettori si sa che sono stati abituati da anni di informazione approssimativa e ideologicamente a senso unico a vedere solo quella parte del problema.

Cecilia Sala non lo dice, ma fa ricorso più volte ai parametri di analisi tipici della geopolitica, fondati sullo studio dei movimenti di fondo delle culture e delle spiritualità dei popoli, che vanno molto oltre all’immagine che ci da la nostra lente di lettura, basata sulla classificazione : democrazia e quindi buoni, autocrazia e quindi cattivi.

Questi parametri sono eticamente corretti per carità, ma sono di matrice solo occidentale e quindi ci portano a equivocare spesso completamente il punto di vista del “Sud del mondo” o dei “Brics allargati” ,che per tanto che la cosa non ci piaccia o ci spaventi, costituisco la stragrande maggioranza del mondo.

Questo sud del mondo mira a recuperare le proprie posizione di “grandezza” ,rinchiuse nella loro storia e non mira affatto a copiare i nostri modi di vita ,le nostre culture, e i nostri assetti politici.

Questa è la filosofia della geopolitica ,che nel libro della Sala costituisce l’ispirazione della parte più corposa e riuscita, che a mio parere è quella dedicata all’Iran, ma che non viene mai teorizzata in modo esplicito ,come è logico che sia, dato, che l’autrice è una giornalista e non un analista di geopolitica.

Ho voluto mettere il dito su questo fatto, per dimostrare che per acquisire questo metro di giudizio, l’autrice deve aver studiato seriamente, diversamente, non sarebbe riuscita ad arrivare alla profondità di giudizio che emerge in gran parte del libro.

Accenno solo ad alcune situazioni che emergono dalla lettura.

Per carità, non mancano racconti delle “rivoluzioni” ,che coraggiosamente le donne iraniane hanno messo in atto, rischiando tantissimo e ci mancherebbe.

Ma da li si va oltre e nel caso dell’Iran molto oltre, perché è sicuramente una enorme sorpresa per i lettori italiano apprendere da questo libro, per esempio, che il peso delle donne in Iran è in diversi campi molto più corposo e pesante di quello delle donne nel nostro paese.

I numeri cantano, e sono quelli riferiti alle donne iraniane ingegnere, medico, informatico, matematiche,fisiche nucleari e spaziali eccetera eccetera.

E’ una contraddizione evidente, ma se ignoriamo questa realtà,non siamo in grado di capire il senso delle cose.

E’ una contraddizione senza dubbio che gli uomini col turbante, sul lavoro ,debbano essere molto cortesi con lo staff femminile di qualsiasi istituzione, se non di dover molto spesso digerire il, fatto di esserne dipendenti, quando poi, fuori dall’ufficio, le medesime dirigenti si trovano a precipitare al rispetto di usanze da medioevo , studiate per indicare una subordinazione al genere maschile. ma questo non toglie il fatto che sul lavoro la situazione è capovolta.

Ed anzi, la contraddizione è così assurda, da far ritenere verosimile il fatto che quel regime abbia i giorni contati, ma non per sostituirlo con un regime all’occidentale, perché pare che il fascino del glorioso passato dell’impero persiano abbia più attrazione sulla gioventù iraniana che non il nostro modo di vita occidentale.

Pare proprio che preferiscano Ciro il Grande a Voltaire e Montesquieu e peggio che peggio se conditi in salsa americana.

Nei due altri capitoli sull’Ucraina e sull’Afganistan ,l’analsi mi sembra meno profonda, ma non viene meno ugualmente l’interesse per i casi umani raccontati.







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