mercoledì 8 gennaio 2025

Alfonso Lucifredi :Troppi .Conversazoni sulla sovrappopolazione umana e sul futuro del pianeta - Codice Edizioni – recensione

 




Nel sito dell’autore vediamo che si definisce : naturalista,giornalista scientifico ,fotografo, videomaker,scrittore e traduttore, musicista genovese.

In termini sintetici, ci troviamo di fronte a un giovane ma qualificato divulgatore scientifico, che lavora servendosi di diversi media, compresi anche i tradizionali libri veri e propri.

Devo dire che sono stato colpito dalla foto di copertina di questo libro ,che riporta ,credo, una scena consueta della metropolitana di Tokyio, dove ,nelle ore di punta, compaiono dei singolari “butta-dentro” che prestano il loro servizio per stipare come sardine i passeggeri ,al fine di permettere la chiusura delle porte.

Certo l’autore non poteva scegliere un immagine migliore per dare una visione iconica della sua analisi.

Appena ho visto il titolo e l’immagine di copertina mi sono subito ripromesso di leggere questo libro, quanto prima, perché ho sempre avuto il sospetto ,che abbiamo sovrappopolato il mondo.

Ma non si può dirlo, è un tabù, è politicamente scorretto e per di più, essendo l‘esatto contrario del precetto biblico risultante in Genesi 9:1-17, una volta ,se questa opinione veniva espressa in pubblico, avrebbe aperto al malcapitato libero pensatore le porte della santa Inquisizione.

Ma anche oggi i professionisti dei media si auto -censurano sull’argomento.

Non bastasse, il pregiudizio che alberga in ciascuno di noi probabilmente acquisizione dalla cultura cattolica, che sull’argomento si è mutata ben poco, è rinforzato e molto da un pregiudizio parallelo sostenuto dall’altro gigante egemone nel pensiero dominante : il capitalismo.

Ma, purtroppo per Lucifredi ,non basta ancora ,perchè se ragionate in termini di “troppi non va bene”, farete sobbalzare sulla sedia i guru della geo-politica, che siano Lucio Caracciolo o Dario Fabbri.

Ne consegue che usare il pensiero critico contro questi pesi massimi è un’impresa obiettivamente difficile.

Lucifredi ci prova e direi che ci riesce, argomentando con garbo e con rispetto verso chi la pensa diversamente da lui.

Letto il libro, mi sembra che la posizione dell’autore rimanga equilibrata, non aspettatevi quindi un fondamentalista del Malthusianesimo.

Uno con le idee chiare per difendere la posizione però si.

Parliamo di questo : siamo oggi 8 miliardi e ci avviamo, secondo le proiezioni degli esperti, ad arrivare ai 10 miliardi, prima che il trend di crescita rallenti e giri, con un tasso di fertilità del 2,3 figli per donna.

Contemporaneamente, si registra un prodotto interno lordo a livello mondiale di 100 trilioni di $.

Di fronte a queste cifre grezze ,Lucifredi argomenta giustamente, che la prima osservazione che viene spontanea è che l’umanità non è mai stata meglio nella storia ,perché queste cifre significano anche accesso a cure mediche,cibo,acqua eccetera,come mai era stato prima.

Bene, rallegriamoci, ma subito dopo prendiamo ad analizzare l’altra faccia della medaglia e cioè che per sfamare 8 miliardi di persone tendenti a 10 ,occorre coltivare un disastro di terreni, disboscando eccetera.

Lucifredi ci dice che oggi, sempre per la prima volta nella storia, metà delle aree abitabili è destinata all’agricoltura e che addirittura il 94% dei mammiferi non umani sono animali da allevamento.

Che il consumo di suolo sia ormai oltre i limiti è quindi una constatazione abbastanza pacifica.

L’equazione dell’abate Malthus, come è noto, era sostanzialmente questa : le esigenze di mano d’opera, generate dalla rivoluzione industriale, fanno si che la popolazione aumenti in proporzione geometrica, mentre le risorse per alimentare la medesima popolazione, aumentano in proporzione aritmetica.

Di conseguenza, se si procedesse con questo passo, argomentava Malthus, si andrebbe al disastro.

E’ vero che il medesimo Malthus non aveva preso in considerazione la possibilità del forte progresso nelle tecnologie applicate all’agricoltura, che in realtà è avvenuto nel frattempo, progresso straordinario che ha consentito di raggiungere una situazione di equilibrio usando : mezzi meccanici, fitofarmaci, fertilizzanti, uso programmato delle risorse idriche eccetera, come ai tempi di Malthus non era facile immaginare.

Visto che il mondo non si è suicidato ma anzi è di molto progredito usando quei nuovi metodi, molto bene ha fatto Lucifredi, ad usare la sua competenza specifica per sottolineare il fatto inconfutabile, che per evitare che il disastro previsto dall’equazione malthusiana si verificasse, si sono usati e in abbondanza , anche quei mezzi “chimici” biologici,genetici etc. che oggi sono demonizzati in modo acritico da un approccio non corretto di una parte almeno dell’ambientalismo, che fa di ogni erba un fascio e trascura l’estrema diversità delle situazioni nelle diverse aree del pianeta.

Per esempio demonizzare l’uso di agenti chimici nei paesi dell’Africa ,dove da decenni esistono addirittura appositi ministeri dedicati al “Locust control” ,cioè per limitare i danni degli sciami di cavallette,è indice semplicemente di non conoscenza del problema.

Ma il danno maggiore per l’ambiente e la salute umana, è il consumo abnorme della carne, sopratutto rossa, infatti negli Usa si consumano ben 150 kg per capite e in Europa 70 Kg per capite.

E’ evidente a tutti che non è pensabile che una volta che si verificheranno sempre migliori condizioni di vita nei paesi ora in sviluppo, le popolazioni ivi residenti possano pretendere di adottare i medesimi libelli di alimentazione di carne.

Perchè questo non è sostenibile? Perchè ,forse non ci facciamo caso ,ma i nostri campi non sono pieni di colture per arrivare direttamente sulle nostre tavole, ma sono dirette per la gran parte a coltivare mangimi per gli animali che divoriamo.

Quindi dei mezzi per evitare che la natura ci si rivolti contro frenando e diminuendo i consumi più impattanti di risorse ci sono e consistono sopratutto in un più equilibrato consumo di carni rosse.

Ma, come abbiamo visto riflettendo sui consumi di carne il problema demografico non è sensato che venga oscurato, ma va comunque affrontato anche direttamente.

Siamo troppi per le risorse disponibili.

Come venirne fuori?

Mi sembra che Lucifredi, alla fin fine, dica che la soluzione vera, risieda principalmente nel perseguire ovunque un deciso miglioramento della condizione femminile a livello di istruzione e di lavoro, perché il problema demografico è essenzialmente culturale.

Lascio la trattazione di questo argomento di base alla lettura del libro.







giovedì 2 gennaio 2025

Domino rivista sul mondo che cambia n 12 2024L’ultimo giubileo. Tra scismi non dichiarati,assenza di missione, assalto dei protestanti,il prossimo potrebbe essere l’ultimo anno santo della Chiesa per come la conosciamo.

 




Non mi perdo praticamente un numero di Domino da quando è nato, ma quando ho visto l’argomento dell’ultimo sulle sorti del Vaticano mi sono chiesto se il team di Dario Fabbri fosse in grado di avventurarsi in quell’universo singolarissimo.

Forse perché siamo stati abituati per decenni a considerare i “vaticanisti” dei vari quotidiani se non gli unici autorizzati a scrivere di Vaticano, quasi.

Le abitudini mentali sono dure da superare.

Ma la ben nota verve di Fabbri, ha bucato il muro dei pregiudizi ancora una volta, producendo un numero fra i più brillanti della rivista da lui diretta.

E in effetti riflettendoci anche solo un momento non si può non rilevare che l’approccio tipico della geopolitica è particolarmente adatto ad analizzare le mosse e lo stato del Vaticano.

La disciplina, non disciplina, direbbe Fabbri, che si occupa in controtendenza al mainstream mediatico con particolare attitudine allo studio degli “imperi” passati e presenti senza il minimo scrupolo, sembra fatta apposta per occuparsi dell’ultima istituzione che addirittura si veste con paramenti imperiali per sottolineare la sua continuità con la prima Roma.

Il ritratto della Chiesa oggi, ma sopratutto quello del vivente romano Pontefice è lucidissima.

D’accoro che l’analisi di Domino ci parla di un fenomeno sotto gli occhi di tutti, ma se c’è un argomento che imbarazza la capacità di giudicare serenamente e in modo critico, questo è quello della “fede”, anche perché ,se un intervistatore ,dopo aver chiesto all’interlocutore se è o no fedele di una religione, avesse la sfrontataggine di andare un filino oltre e chiedesse in cosa crede ,allora sono guai.

Per la semplice ragione che come ha appurato da tempo la sociologia religiosa, per una singolare contraddizione, la religione, che come quella cattolica, è fondata su una montagna di dogmi non generici ma rigorosamente scritti e definiti ,dai documenti che li hanno sanciti ,ha generato una fede ,vissuta oggi, ma forse non soltanto oggi ,molto “a la carte”, nel senso che ogni fedele rimasto se li ridefinisce e se li adatta a suo criterio.

Questa semplice constatazione da sola fa capire come siano gravosi il compito e la pretesa di governare quasi un miliardo e mezzo di cattolici, da parte del romano pontefice.

Ma Papa Francesco non è persona avvezza a perdersi d’animo, anzi ha un carattere anche troppo forte, si legge nel fascicolo di Domino.

Credo che ognuno di noi sia abituato a considerare papa Woytila come il pontefice contemporaneo dotato di più carattere, ma non risulta che quel papa, del quale tra l’altro non ci dimenticheremo mai il piglio, che ha tirato fuori per pronunciare quella storica invettiva contro i mafiosi, degna di una tragedia greca, non ha mai “destituito” un cardinale, togliendoli ogni privilegio come ha fatto Francesco col potentissimo Cardinale statunitense Raymond Burke .

Né ha scomunicato il Nunzio ,sempre negli Stati Uniti, come ha fatto Francesco con l’Arcivescovo Carlo Maria Viganò.

Nè ha mai dimostrato platealmente il poco peso ,da lui accordato, a due delle più importanti diocesi del mondo come Milano e Parigi, che tutt’oggi sono guidate da un Arcivescovo e non da un Cardinale, perche avrebbero il solo peccato di trovarsi geograficamente in Europa.

Francesco, se deve amministrare paternamente delle legnate ai suoi sottoposti, non si turba più di tanto, vedesi anche l’aver spedito il povero Arcivescovo Georg Gaenswein (ben noto segretario di papa Ratzinger ) a fare il nunzio fra le renne della Lapponia, per pagare la sua poca sintonia per la linea del papa attuale.

Ecco dunque, la capacità di papa Francesco di azzoppare il potere della Curia romana è ormai comprovata da fatti perfino clamorosi e con pochi esempi nel passato.

Un punto ,e che punto a suo favore quindi, ma l’acuta analisi di Fabbri ,si spinge a chiedersi, se a volte il forte carattere non spinga Francesco all’avventatezza o alla non sufficiente ponderazione.

Nel senso che ,va bene perché coerente alla sua strategia, imbrigliare e diminuire il potere della, una volta onnipotente, Segreteria di Stato, ma attenzione a sottovalutare le capacità e le competenze delle tonache colte, preparate ed esperienziate, che dei faldoni della diplomazia vaticana sanno tutto, per sostituirle con i servizi di “commissari ad hoc” ,che hanno nella sua fiducia l’elemento più forte del curriculum.

Come è capitato col tentativo di proporre una mediazione con Putin, inviando a Mosca il volenteroso Card Zuppi, che a suo tempo aveva partecipato al migliore successo diplomatico del Sant’Egidio in Mozambico, ma del tutto privo degli elementi tecnici necessari in un incarico così delicato, che infatti ha praticamente fallito, anche se qualche porta l’avrà lasciata utilmente aperta per il futuro.

Rimanendo sulla Russia, il solo fatto che tutta la narrazione didattica e propagandistica di uno che dà grandissima importanza alla storia, come Putin e che mira a presentare il suo paese come vocato a rappresentare la Terza Roma, fa da solo capire che il Vaticano ha tuttora un prestigio unico e tutt’altro che trascurabile nella geopolitica.

Non facciamoci ingannare nel giudizio generale ,dalla valutazione che porta a ritenere ormai”ininfluente” il cattolicesimo nei principali paesi d’Europa,, che una volta ne erano la culla.

Il Vaticano e sopratutto il Vaticano di Papa Francesco va ben oltre la vecchia Europa.

Sono il Papa che viene dall’altra parte del mondo aveva dichiarato Francesco dal balcone di San Pietro ,dopo l’elezione avvenuta ormai undici anni fa.

Allora poteva sembrare una notazione quasi di colore.

Ma si è rivelata invece una costante strategia politica, portata avanti con tutta la cocciutaggine che incarna Papa Francesco.

Basti vedere a come ha orientato i numerosi concistori che ha fatto per formare un Sacro Collegio a sua immagine e somiglianza.

Non guarda all’Europa scristianizzata e in crisi demografica, ma al resto del mondo, che non scherza con l’espansione demografica, sopratutto in Africa e qui i numeri dei nuovi fedeli e dei nuovi preti gli danno assoluta ragione.

Francesco guarda con l’acutezza sottile dei Gesuiti a quella Cina che corteggia da sempre anche se produce un gregge cattolico da guardare col microscopio ma che offre un terreno di cultura semplicemente immenso.

Guarda all’America del Sud, che prometteva bene, ma che è stata colonizzata da un sempre più invadente protestantesimo, spinto politicamente, culturalmente e finanziariamente dagli egemoni Stati Uniti, che con la loro teologia dell’abbondanza e della ricchezza, come segno visibile della benedizione divina, sono evidentemente apparsi più attrattivi del più austero cattolicesimo.

Qual’è allora la visione strategica di Francesco ?

Lui guarda prima di tutto al “pueblo” con tutto quello che significa.

Mentre l’Occidente guarda invece all’individuo e bolla come populista chi guarda al pueblo.

Sono due visioni che non stanno insieme.

Francesco si ritiene un papa progressista aperto alle riforme non di facciata (e cioè almeno diaconato femminile come passo verso l’ordinazione estesa alle donne, eccetera eccetera) e ci ha anche provato a portare avanti queste riforme nel Sinodo da poco concluso, ma proprio in quel Sinodo ,l’unione delle conferenze episcopali africane si è messa di traverso, minacciando addirittura lo scisma.

Uguale e contraria l’azione portata avanti della conferenza episcopale tedesca, che tiene aperto “sine die” un suo sinodo al quale ha attribuito con prerogative deliberative ,che per la sua stessa esistenza in quella forma è prodromo di una Chiesa autocefala, staccata da Roma, e quindi anche qui minaccia di scisma per affermare valori filo occidentali.

In questa situazione il papa ha ovvie difficoltà di manovra.

Fabbri giustamente però, pur riconoscendo, anzi sottolineando tutto quello sopra ricordato afferma che Francesco per andare avanti dovrebbe indicare chiaramente delle mete da indicare a un gregge confuso e scoraggiato e che per di più viene sfidato nelle terre oggi ancora aperte al cattolicesimo da un proselitismo muscolare mai visto prima da parte delle varie confessioni protestanti dotate di mezzi sovrabbondanti.

E dovrebbe altresì chiedersi se non sia giunto il momento, dopo avere quasi umiliato il potere della Curia dimostrando urbi et orbi chi comanda, di discernere meglio e di avvalersi delle competenze che in quella Curia ci sono e che potrebbero essergli molto utili.

Fabbri con la solita arguzia chiosa proprio su questo termine, invitando il papa a non illudersi di poter capovolgere l’Urbi et orbi in orbi et urbe.








sabato 28 dicembre 2024

Alessandro Volpi : i padroni del mondo. Come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia – Editori Laterza – recensione

 




L’autore insegna storia contemporanea all’Università di Pisa, ma si occupa da sempre di storia economica, con riferimento particolare agli aspetti finanziari ed infatti ha spesso affrontato nei suoi saggi il problema del debito pubblico.

Ha avuto esperienza politica ,come sindaco di Massa ,ed è fra i fondatori di “Altreconomia”, centro studi economici, di decisa impronta di sinistra come è ovvio, dato il suo titolo.

Il libro l’ho trovato di particolare interesse ,perché riesce a dare al lettore un’idea precisa di cosa significhi la finanziarizzazione dell’economia, in un saggio agile, ma abbastanza completo e documentato.

In un paese come il nostro, nel quale in campo finanziario prevale un generale analfabetismo, che sembra non impensierire nessuno, libri come questi sono di particolare valore.

Oh, lo dico subito, non pensiate che il tenore del titolo scelto dall’editore, che come tutti i titoli, per ragioni ovvie di mercato, tende a estremizzare le cose, presentandole come semi-apocalittiche ,rispecchi pienamente il contenuto del libro, che conduce invece un’onesta analisi della situazione, lasciando al lettore l’onere di farsi un’idea anche sui possibili rimedi.

Chi segue l’andamento dell’economia e della finanza ,anche solo per la semplice ragione, che terrebbe a non buttare nel cestino i propri risparmi, ha bisogno di sapere come girano le cose dell’economia e della finanza e, se possibile, chi c’è nella stanza dei bottoni, per valutarne l’attendibilità.

A queste esigenze il libro cerca di venire incontro.

Per farla breve, i nomi e cognomi di coloro che tirano i fili l’autore ce li dice, ma contemporaneamente ci racconta quanto sia complessa e contraddittoria la situazione.

Negli anni del boom italiano erano diventate famose “le sette sorelle” del petrolio, oggi è cambiato tutto e il mondo della finanza è nelle mani delle magnifiche società di gestione patrimoniale ,che ragionano e lavorano, usando come unità di misura i “trilioni” cioè le migliaia di miliardi : Black Rock;Vanguard;State Street; Fidelity;JP Morgan;Allianz;Capital;Goldman Sachs; Amundi;Ubs etc.

E’ finito il tempo delle grandi compagnie energetiche e manifatturiere a cominciare dall’automotive.

Adesso ,se andate a vedere lo Standard Poor 500, cioè l’indice di borsa azionario più grande al mondo, vi trovate ai primi posti, come è noto, le “magnifiche sette” della tecnologia : Apple;Amazon;Alphabet;Meta;Microsoft;Nvidia;Tesla, che ,da sole ,rappresentano il 30% appunto dello S&P 500.

E allora, come fanno i pochi colossi delle gestioni patrimoniali ,ad essere definiti “i padroni del mondo”?

La ragione è che costoro detengono, se non proprio i pacchetti di azioni di riferimento di quelle aziende, ne detengono però abbastanza ,da essere determinanti nei loro consigli di amministrazione, anche perché, avendo partecipazioni incrociate fra di loro, in pratica ,aumentano ulteriormente il loro peso.

Beh, situazioni di particolare peso ci sono sempre state, cosa c’è di nuovo nella situazione di oggi?

C’è il fatto del gigantismo della posizione dominante dei colossi dei gestori, al punto che la scala gerarchica dei poteri ,che ognuno di noi ha in testa ,sembra essere sul punto di crollare.

Proprio oggi, ho visto una vignetta che mostrava un Trump ,in uniforme da cameriere, che serviva al tavolo Elon Musk ,e la cosa, quasi nemmeno mi faceva ridere, dato che sembrava ormai verosimile.

Ecco questo è il problema, se i padroni possono diventare loro, gli oligarchi della tecnologia e delle gestioni finanziarie, la democrazia non avrebbe più spazio, e questo, non credo che ci vada bene.

Ma c’è dell’altro.

Per esempio ,il meccanismo instaurato dai grandi gestori, privilegia in modo assoluto la creazione continua di ricavi, per generare dividendi a favore degli azionisti.

Va bene, può dire qualcuno, ma che novità è questa, nel regime capitalista o un’azienda fa utile o chiude.

Ok, ma andiamo un filino più a fondo, qui non si parla di fare utile, ma di subordinare tutto, compreso il meccanismo del mercato, al raggiungimento dell’utile, anche se questo può essere raggiunto licenziando o pagando in modo insufficiente il lavoro, oppure senza lasciare quote sufficienti per innovazione e investimenti, o senza preoccuparsi minimamente di fare debito eccessivo,non parliamo poi del rispetto dell’ambiente e del costo dei servizi.

Fatto sta che sembra che sia stato instaurato dai magnifici grandi gestori un meccanismo a spese dello stato sociale cioè del wellfare per consentire di fare profitti alla sanità privata unitamente alle assicurazioni, con una spinta alla privatizzazione di tutto.

Se dobbiamo smantellare lo stato sociale, è ovvio che a gran parte di noi questo non sta bene.

Un ulteriore punto critico, per il quale il potere politico sembra non avere alcuna capacità di interdizione è questo : ma costoro,cioè i nuovi paperoni, almeno le tasse le pagano?

Pare che in realtà mentre noi,se ci identifichiamo con il ceto medio, paghiamo fra il 20 e il 30%, loro paghino mediamente dieci volte meno cioè il 3%.

Ci va bene pagare anche per loro? Probabilmente no.

Oddio! Arrivati a questo punto cerchiamo di vedere se c’è ,anche in questo campo, la famosa altra faccia della medaglia.

In parte c’è, nel senso, che se il rincorrere anche smodato del profitto crea dividendi questi non vanno a finire solo nelle loro tasche ma anche nelle nostre,ovviamente se possediamo quote dei loro strumenti finanziari e questo non credo ci faccia schifo.

Poi se la logica è quella di fare assolutamente utili, questo è anche un meccanismo che spinge le aziende a conseguire il massimo dell’efficienza e anche questo è un elemento positivo.

Ecco a questo punto, ognuno di noi dovrà fare mentalmente un bilancio, basato sul sano principio dell’analisi costi-benefici.

Siamo disposti a sacrificare sull’altare del dividendo, il più elevato possibile, tutti gli aspetti negativi sopra accennati ?

E poi facciamoci pure la domanda del diavolo : ma siamo sicuri che puntare a guadagnare sempre, basato sul presupposto che la crescita dell’economia debba essere eterna , non sia un miraggio senza basi reali ?









lunedì 23 dicembre 2024

Cecilia Sala : L’incendio Reportage su una generazione tra Iran Ucraina e Afganistan - Mondadori edizioni – recensione

 




Ho letto questo libro dopo aver visto la sua presentazione da parte dell’autrice (insieme ad Alessandro Aresu ) su Youtube, e ,lo confesso, ero più attirato dalla garanzia che mi dava il ben noto analista geopolitico che non l’autrice, che non conoscevo, se non dalle brevi note che mi apparivano su Instagram dal suo podcast Stories di Chora News.

Quando ho visto poi che scrive sul Foglio, che non rappresenta proprio il mio riferimento preferito, nicchiavo ancora di più.

La faccio breve, temevo di dovermi aspettare un libro costruito col solito assemblamento di reportage sulle “rivoluzioni colorate” ,in salsa più o meno ultra-atlantista ,come vuole il main -stream dei media nostrani e purtroppo anche non nostrani.

I lettori che hanno avuto la pazienza di seguire le decine di recensioni che ho fatto ormai da anni dei saggi degli analisti geopolitici, che provengano dalla scuola di Limes o da quella di Domino, sanno in quale basso conto siano tenute ,da questa scuola di pensiero, le “rivoluzioni colorate”, che ,anche analizzandole con criteri banali, se tutte ,politicamente, sono finite nel nulla, qualche ragione ci sarà, per dubitare sulla loro consistenza.

Letto il libro però, devo dire, che mi sono ricreduto per la gran parte.

Ho molto apprezzato l’abilità dell’autrice nello sforzo di presentare non solo la parte che lei ,come noi, sapeva destinata a raccogliere il culmine di interesse nei lettori ,cioè l’obbligo dell’ hijab o addirittura del burka ,per la popolazione femminile dell’Iran e dell’Afganistan ,ma inserendo questo problema in un contesto più vasto e in certi casi, molto più vasto, che ne riduce il peso specifico.

Bisogna riconosce che ci vuole coraggio a presentare i propri reportage in contesti di analisi più ampi del problema delle donne perseguitate dalla “polizia morale per favorire la virtù e contrastare il vizio”, quando i lettori si sa che sono stati abituati da anni di informazione approssimativa e ideologicamente a senso unico a vedere solo quella parte del problema.

Cecilia Sala non lo dice, ma fa ricorso più volte ai parametri di analisi tipici della geopolitica, fondati sullo studio dei movimenti di fondo delle culture e delle spiritualità dei popoli, che vanno molto oltre all’immagine che ci da la nostra lente di lettura, basata sulla classificazione : democrazia e quindi buoni, autocrazia e quindi cattivi.

Questi parametri sono eticamente corretti per carità, ma sono di matrice solo occidentale e quindi ci portano a equivocare spesso completamente il punto di vista del “Sud del mondo” o dei “Brics allargati” ,che per tanto che la cosa non ci piaccia o ci spaventi, costituisco la stragrande maggioranza del mondo.

Questo sud del mondo mira a recuperare le proprie posizione di “grandezza” ,rinchiuse nella loro storia e non mira affatto a copiare i nostri modi di vita ,le nostre culture, e i nostri assetti politici.

Questa è la filosofia della geopolitica ,che nel libro della Sala costituisce l’ispirazione della parte più corposa e riuscita, che a mio parere è quella dedicata all’Iran, ma che non viene mai teorizzata in modo esplicito ,come è logico che sia, dato, che l’autrice è una giornalista e non un analista di geopolitica.

Ho voluto mettere il dito su questo fatto, per dimostrare che per acquisire questo metro di giudizio, l’autrice deve aver studiato seriamente, diversamente, non sarebbe riuscita ad arrivare alla profondità di giudizio che emerge in gran parte del libro.

Accenno solo ad alcune situazioni che emergono dalla lettura.

Per carità, non mancano racconti delle “rivoluzioni” ,che coraggiosamente le donne iraniane hanno messo in atto, rischiando tantissimo e ci mancherebbe.

Ma da li si va oltre e nel caso dell’Iran molto oltre, perché è sicuramente una enorme sorpresa per i lettori italiano apprendere da questo libro, per esempio, che il peso delle donne in Iran è in diversi campi molto più corposo e pesante di quello delle donne nel nostro paese.

I numeri cantano, e sono quelli riferiti alle donne iraniane ingegnere, medico, informatico, matematiche,fisiche nucleari e spaziali eccetera eccetera.

E’ una contraddizione evidente, ma se ignoriamo questa realtà,non siamo in grado di capire il senso delle cose.

E’ una contraddizione senza dubbio che gli uomini col turbante, sul lavoro ,debbano essere molto cortesi con lo staff femminile di qualsiasi istituzione, se non di dover molto spesso digerire il, fatto di esserne dipendenti, quando poi, fuori dall’ufficio, le medesime dirigenti si trovano a precipitare al rispetto di usanze da medioevo , studiate per indicare una subordinazione al genere maschile. ma questo non toglie il fatto che sul lavoro la situazione è capovolta.

Ed anzi, la contraddizione è così assurda, da far ritenere verosimile il fatto che quel regime abbia i giorni contati, ma non per sostituirlo con un regime all’occidentale, perché pare che il fascino del glorioso passato dell’impero persiano abbia più attrazione sulla gioventù iraniana che non il nostro modo di vita occidentale.

Pare proprio che preferiscano Ciro il Grande a Voltaire e Montesquieu e peggio che peggio se conditi in salsa americana.

Nei due altri capitoli sull’Ucraina e sull’Afganistan ,l’analsi mi sembra meno profonda, ma non viene meno ugualmente l’interesse per i casi umani raccontati.







lunedì 9 dicembre 2024

Alessandro Aresu : Geopolitica dell’intelligenza artificiale -Feltrinelli Editore - recensione

 




Non posso nascondere che trovandomi di fronte a un volume di 555 pagine e per di più su un argomento altamente tecnico, pensavo che affrontarne la letture mi avrebbe messo in difficoltà e avrebbe richiesto grande pazienza e fatica, ma sinceramente non è stato così.

Per grande merito dell’autore, che è incredibilmente giovane, per essere così colto e capace di gestire da esperto un tale argomento.

Non finirò mai di stupirmi di come Lucio Caracciolo, fondatore e direttore di Limes ,sia riuscito a mettere insieme un team di analisti di livello incredibilmente elevato, tale comunque e devo dire anche purtroppo, ha semplicemente oscurare l’accademia, le università e le facoltà di scienze politiche, rimaste a lavorare con ferri vecchi e teorie inutili per decifrare il mondo di oggi.

Ma per fortuna gli Aresu ci sono.

La lettura di questo libro ,è ovvio, richiede un certo impegno, ma è resa agevole ed attraente dalla capacità dell’autore di introdurre le varie acquisizioni dell’AI ,entrando anche nella vita privata delle singolari figure delle menti geniali, che l’hanno inventata e costruita passo passo.

Credo che questo approccio sia la via giusta per umanizzare questa tecnologia, che non pochi hanno definito come fonte per varcare la soglia del “transumanesimo”.

Altri sono arrivati adirittura alla più che discutibile conclusione ,che il futuro prossimo vedrà l’uomo nelle condizioni del cagnolino, tenuto al guinzaglio dal robot guidato dall’AI ,arrivata a superare le facoltà umane in tutti i campi, compreso quello della coscienza.

Aresu ci guida per la lunga via percorsa dall’AI per arrivare allo sviluppo impressionante al quale oggi assistiamo, via tortuosa e accidentata, come è sempre capitato per raggiungere nuove acquisizioni tecnologiche, ma tenendo bene i piedi per terra.

Forse questa sua capacità di relativizzare e umanizzare questa potentissima tecnologia, temuta da molti, è il fatto da lui citato con orgoglio, di essere allievo del filosofo Massimo Cacciari.

Non è un caso.

Solo l’uso della filosofia può addomesticare lo strapotere della tecnica.

Ma leggetelo questo libro e vi troverete per qualche giorno in compagnia di portentose menti elette : del famosissimo “uomo col giubbotto di pelle” Jensen Huang, il mitico fondatore di Nvidia; Morris Chang fondatore di TSMC; Bill Dally altra mente eccelsa e numero due di Nvidia; Peter Thiel fondatore di Pay Pal gestore di ventur capital fondamentali; Ilya Sutskever, co fondatore e Chief Scientist di Open AI; Shane Legg,cofondatore di Deep Mind ora di Google e l’incredibile ruolo di primo piano di Angelo Dalle Molle, che dopo aver inventato il Cynar, si proprio quello “contro il logorio della vita moderna”, con la Fondazione che porta il suo nome a Lugano crea una delle prime fucine di studio dell’AI; e alcuni altri.