venerdì 18 maggio 2012

La politica che si arrende alla tecnocrazia finanziaria è un non senso

In Europa l’unica cosa che cresce è il panico scrive oggi il titolo di apertura del Secolo XIX. E’ un titolo ad effetto, ma mi sembra azzeccato. La gente è sconcertata dal fatto che la politica, in tutti i paesi non solo da noi, da’ a vedere di non essere capace di affrontare la crisi e quindi si sente impotente, perché non può farci niente, se non disprezzare ancora di più la classe politica e castigarla nel voto, ma spesso a disastro già fatto e quindi ricavandoci solo una amara soddisfazione. Poi quando si arriva alla corsa agli sportelli bancari come sta succedendo in Grecia e pare anche in Spagna, allora è veramente dura, perché il cittadino si sente tradito dallo stato che non è più in grado di garantirgli il rispetto dei patti sui quali si regge il “contratto sociale”. Siamo già a questo? Non ancora, ma siamo avviati male, anche se è possibile e verosimile che sul bordo del burrone ci si decida a stipulare un compromesso che eviti di far saltare il banco. Le premesse però sono pessime. E come sempre di questi tempi quelli messi peggio fra i “grandi” siamo noi. Monti ha riportato in gioco una Italia che il berlusconismo aveva ridotto a oggetto di scherno e questo è un merito non da poco ma ora non basta più. Questa nostra classe politica da dimenticare anche in questi ultimi mesi ha fatto errori politici molto pesanti che vanno rimediati al più presto. Il trattato europeo sulla stabilità, conosciuto come “fiscal compact”, è stato incautamente firmato, ma non ha valore se non ratificato dai singoli parlamenti nazionali e quindi si è ancora in tempo a stopparlo per rinegoziarlo o cambiarlo con altri artifici, come ha chiesto Hollande in campagna elettorale. L’introduzione nell’art 81 della nostra Costituzione della clausola che vieta di fare debito è una bufala gigantesca, che da sola squalifica a vita l’attuale classe politica italiana, che con quel gesto, non a caso fatto in sordina e senza praticamente che il paese ne fosse informato, impedisce ai governi italiani di fare politica economica se non seguendo pedissequamente il pensiero unico liberista della tecnocrazia economica globalizzata, che ovviamente nessuno ha eletto come proprio governo ombra. Che significa il fiscal compact e la proibizione di fare debito, messa in Costituzione tradotti in soldoni? Significa che il gran parlare che si fa di sviluppo è solamente una gigantesca presa per fondelli, perché quegli atti hanno sancito la priorità del problema del debito e non dello sviluppo, mentre sempre più, se pure in ritardo, ci si rende conto che il problema prioritario non è il debito ma lo sviluppo, la produzione, fare qualcosa da esportare per garantire al primo posto la piena occupazione. Noi abbiamo un debito del 120% del Pil e questa è la penosa eredità sempre della stessa classe politica al potere da decenni, non è un vanto e va ridotto, d’accordissimo, ma il Giappone ha un debito del 200% e gli Usa andranno al 160. Né i giapponesi, né gli americani mostrano preoccupazione per il loro debito, tutti deficienti? Evidentemente sia gli uni che gli altri pur non essendo affatto contenti del loro debito pubblico, sono convintissimi che il problema prioritario è lo sviluppo : produrre, vendere, consumare. Cioè ripetiamo : prima si favorisce con tutti i mezzi lo sviluppo cioè produzione vendite, consumo, poi con i soldi provenienti dall’aumento del Pil si riduce il debito. Diavolo, questa non è una difficile formula matematica, è una cosa assolutamente elementare : con quali soldi si ripaga e si riduce il debito, se di soldi non se ne guadagnano di più? Ma la nostra classe politica sembra non avere ancora le idee chiare in proposito. anche perché è occupata da altro. I berluscones avevano come priorità assoluta evitare con tutti i mezzi la galera al loro prode condottiero e quindi non avevano tempo per occuparsi di politica economica . Finito il berlusconismo i finti tecnici devono navigare a vista con i voti di un parlamento di inquisiti, di pregiudicati e di corrotti che sarebbe considerato indecente forse anche nel Congo. Sono partiti sull’orlo della bancarotta e con l’handicap pesante di avere la necessità prioritaria di riacquistare la dignità perduta nel consesso europeo, che rideva di noi. e quindi non potevano proprio contraddire l’allora tandem Sarkosy-Merkel. Ora però la situazione si è mossa. Monti ha riportato l’Italia al posto che le compete, anzi è perfino coccolato dall’imperatore dell’occidente, che è il presidente americano; dalla commissione europea, che lo riconosce come uno dei loro; dai leader europei, che di economia e finanza, per tanto che studino i dossier, ne masticano certamente meno di un prestigioso economista di mestiere. Non so se Monti saprà sostenere un ruolo tanto gravoso che è politico e non è accademico. Qualcosa istintivamente mi portava ad avere fiducia di lui e mi sono accorto che questo qualcosa è la singolare somiglianza sia fisica, sia di stile fra Monti e De Gasperi, lo statista della ricostruzione. Sarebbe bello se Monti avesse la capacità di ricollegarvisi. Il tempo però è sempre meno e questa estate sarà decisiva. Si tolga la foglia di fico del tecnico, alla quale non crede nessuno e “salga” in politica alla De Gasperi. Anche De Gasperi aveva avuto il compito ingrato di andare come primo presidente dopo il fascismo a cercare di fare dimenticare Mussolini e quindi male accolto nel consesso internazionale. De Gasperi era un cattolico che ha saputo dire di no addirittura a un Pio XII, pagandone le conseguenze. De Gasperi era il capo di un maxi partito, la DC, che era da sola a un passo dalla maggioranza assoluta e che quindi avrebbe potuto fare ciò che voleva, ma che ha sempre tenacemente ricercato e ottenuto, per principio, il consenso delle altre forze politiche e ideali non comuniste e non fasciste. Non ha mai fatto politica per perseguire ragioni di bottega, era uno che volava alto per sua formazione. Era leader europeo e occidentale, allora si diceva atlantico, perché c’era la guerra fredda , c’erano i blocchi est-ovest. Oggi c’è la globalizzazione e chi come Monti ha una formazione internazionalista è avvantaggiato. Ce la potrebbe fare se sapesse ricollegarsi a quella tradizione, alla quale, del resto, non mi sembra lontano. Monti come riferimento di liste civiche che si richiamino al degasperiano variegato e plurale “centro che guarda a sinistra” potrebbe farcela.

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