Dicono gli statistici che il vero dominus nella
nostra vita è il caso.
Ieri ho impiegato diverso tempo a montare una
scrivania appena comprata e conseguentemente a smontare quella che doveva
andare in discarica.
Provare per credere.
Come mai oggi è possibile comprare nei grandi
magazzini a 100 mobili che una volta costavano 200 o più?
Ovvio, in buona parte perché dovete caricarveli
voi in macchina voi, portarveli in casa e poi montarveli voi.
Quante viti ho dovuto avvitare e svitare? All’incirca
150.
Dopo di che il caso ha voluto che mi mettessi a
leggere la presentazione del libro scritto dal sindacalista Giorgio Airaudo ,grande
esperto di metalmeccanici e soprattutto di Fiat intitolato “la solitudine dei
lavoratori”.
La presentazione era firmata dal sociologo del
lavoro dell’Università di Torino Luciano Gallino e quindi persona più che
qualificata.
Pur essendomi sempre ritenuto “persona informata
dei fatti” ,come si dice in gergo giudiziario, sia sul piano dello studio del
mondo del lavoro sia per la frequentazione sul piano professionale della
logistica aziendale sono rimasto veramente scosso dal dover constatare per l’ennesima
volta di come questo mondo, tutto basato sull’immagine e sull’apparire riesca a
manipolare la nostra percezione delle cose, perché quello che scrive Airaudo è
verissimo : il lavoratore è scomparso, non è più a fuoco per i mezzi di
comunicazione e quindi ha cessato di esistere, non conta più niente.
Oggi sui giornali c’è Marchionne coi suoi fatti e
misfatti, ma di cosa sia la realtà quotidiana di chi le macchine le fa veramente
in Fiat la gente, noi, non sappiamo niente.
Ricordo che ancora ai tempi dell’ultimo Gianni
Agnelli ci avevano raccontato la favoletta della fabbrica a misura d’uomo, con
i robot che alleviavano la fatica manuale, la linea formata da gruppi lavorativi di piccole
dimensioni quasi una famigliola artigiana che prendeva il sopravvento sulla cieca
tecnologia della catena.
Ci avevano decantato le virtù dell’importazione in
Italia di quanto sopra riassunto e pomposamente denominato “il metodo Toyota”:
una rivoluzione epocale si era detto, che avrebbe combinato la funzionalità
della catena di montaggio con l’inventiva e la creatività dei singoli operatori,
si sarebbe tornati nella grande industria a ricreare il metodo di lavoro della
bottega artigianale del rinascimento.
Era talmente bello che ci avevamo creduto.
Oggi finalmente qualcuno, raccontando non delle
favole, ma la vita reale di alcuni operai Fiat ci riporta alla dura celeberrima
immagine di Charlot in “Tempi moderni”, che passa la giornata a girare bulloni
con la chiave inglese, immerso in ingranaggi enormemente più grandi di lui, che
non può controllare in alcun modo.
Pensavamo fosse una vecchia immagine da lasciare
alla storia della rivoluzione industriale del così detto “fordismo”, ma pare
che invece sia ancora la realtà quotidiana, benedetta improvvidamente anche da una parte del mondo sindacale
italiano, disposta a svendere la dignità del lavoro per una presunta sicurezza
del posto che nessuno può più garantire.
Ci viene descritta la vita di un operaio addetto
al montaggio sulla scocca sempre della stessa portiera, sempre nella stessa
posizione, sempre dallo stesso lato.
Quattro viti di sopra, quattro viti di sotto da
sistemare esattamente in tre minuti per un totale di 1.000 viti posizionate al
giorno.
Il “metodo Marchionne”, che tanti tromboni hanno
lodato sui giornali italiani di suo ci ha messo solo un ulteriore peggioramento
delle condizioni di lavoro di quell’operaio
diminuendo i tempi di pausa e togliendo ogni potere ai delegati sindacali sui
tempi di movimento della catena.
E poi gli stessi tromboni ci ripetono sino alla
noia che il segreto nella globalizzazione, la vera parola magica è
flessibilità, elasticità, o meglio ancora in inglese “resilience”.
Peccato che il ragionamento sia solo a senso
unico, la flessibilità solo per l’imprenditore.
Per l’operaio che gira il cacciavite siamo ancora
all’età della pietra , ubbidire e
girare, coi tempi decisi altrove.
Se l’apporto della creatività umana sta solo nel
girare il cacciavite senza potere modificare nulla, dove va a finire il metodo
Toyota?
La bottega del rinascimento allora era tutto solo
propaganda, per girare una vite allora sarebbe
stato più dignitoso metterci un robot.
Perché l’uomo è più di un robot e può fare quello
che un robot non potrà fare mai?
Per rispondere a questa domanda bisogna nella
propria vita avere usato il cacciavite molte volte e in molte circostanze
diverse, diversamente si parla alla luna.
Questo, cioè la pratica del cacciavite è quello
che sicuramente Marchione non avrà presumibilmente mai fatto, perché se lo
avesse fatto si occuperebbe non solo di finanza ma anche di gestione
manageriale, di tempi della linea, di organizzazione del lavoro nella linea con
i problemi concreti annessi e connessi.
Se uno è pratico di cacciavite sa che le viti non
sono tutte uguali, che qualcuna è più
rifinita di un’altra, sa che qui non siamo nel campo della meccanica di
precisione degli orologi svizzeri e che quindi le sbavature hanno la loro
influenza, e dall’altra parte i fori possono avere scanalature più o meno ben
rifinite e che si conseguenza ci vuole appunto elasticità nel calcolare i
tempi.
Questo significa che i tempi non possono essere sempre uguali, devono avere
margini di elasticità, che l’operatore padroneggia e il robot non padroneggia.
E più il lavoro è ripetitivo e abbassa l’attenzione
dell’operatore, più dovrebbero essere le pause per consentirgli di riprendere
il controllo della propria mente frustrata e della propria umanità anche solo
ai fini del buon andamento produttivo.
Di questo è necessario tornare a parlare invece
che di spread, derivati e sigle varie, inventate per non far capire di
cosa si sta parlando e così di fatto si fa passare il concetto di non disturbare il manovratore.
Questa storia deve finire, i cittadini Cipputi e
Fantozzi in democrazia esercitano il potere e quindi devono essere messi in
condizione di capire di cosa si parla.
E anche loro però questo potere devono pretendere
di riprenderselo e non continuare a inchinarsi al signor barone.
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