venerdì 25 ottobre 2013

Papa Francesco rivendica il primato della coscienza personale. Per la Chiesa è una vera rivoluzione culturale.




Dopo la lettera a Scalfari, della quale abbiamo parlato nel post del 18 settembre scorso, papa Francesco continua il discorso facendosi intervistare ancora da Scalfari direttamente in Vaticano.
La scelta che ha favorito Scalfari è con tutta evidenza assolutamente casuale.
Nel senso che lo scopo del Papa era quello di interloquire con il mondo moderno attraverso un anziano intellettuale, noto al grande pubblico, non credente e di dichiarata formazione e ispirazione illuminista.
Come tale quindi, persona adatta a rappresentare il punto di vista del mondo moderno.
L'intervista è avvenuta il 24 settembre in Vaticano ed è stata poi pubblicata ovviamente su Repubblica, il giornale di Scalfari. per venire poi riportata in un apposito libro, uscito nei giorni scorsi ,del titolo : dialogo tra credenti e non credenti.
Come nella lettera di papa Francesco a Scalfari, sopra citata, lo stile del Papa in quest'intervista è sempre quello al quale ci siamo ormai abituati.
Informale e giornalistico, lontano anni luce da quello curiale dei suoi predecessori.
È chiaro che solo scegliendo questo stile il Papa fa delle scelte pesanti anche di natura teologica.
E infatti quando si fanno scelte di cambiamento abbastanza radicali, come questa ,si sa in anticipo che ci saranno conseguenze positive e negative, nel senso che una parte del popolo cristiano esulterà ma un'altra parte rimarrà magari anche fortemente sconcertata.
Se un Papa sceglie di esprimersi, dopo essersi mostrato in sedia gestatoria, con tanto di flambelli e guardia reggia,fra inni e cantici, in stile Pio XII, ma anche dei suoi successori , è chiaro che vuole con quella messinscena sottolineare la sacralità nella sua posizione ed apparire al popolo in una veste analoga ed in continuità con quella di Mosé, che ha appena ascoltato la parola dell'altissimo.
Se invece un Papa sceglie di parlare a un intellettuale –giornalista, in stile giornalistico, è chiaro che è consapevole di mettere con ciò stesso nell'armadio la stessa sacralità della sua figura, ritenendola non più adeguata, per parlare in modo credibile con l'uomo del 21º secolo.
Molti diranno : finalmente era ora.
Ma altri diranno : ma cosa fà, un Papa non può comportarsi così.
Tanto più che cinquant'anni fa il concilio Vaticano secondo aveva fatto intravedere questo nuovo modo di annunciare il messaggio cristiano, ma poi i successivi cinquant'anni sono stati tutti dedicati a metterlo in frigorifero quel concilio.
Il popolo cristiano ha così subito cinquant'anni di propaganda e indottrinamento tradizionalista e anticonciliare.
Riproporre quel messaggio oggi non è quindi indolore.
In questi cinquant'anni la cultura del popolo cristiano non è maturata, ma è regredita e il popolo medesimo si è vistosamente assottigliato nel numero.
Se per cinquant'anni la predicazione era orientata a presentare il mondo moderno, fondato sulla mentalità scientifica ,come una cosa della quale diffidare, come un pericolo sempre incombente, non è facile oggi con un Papa nuovo e di diverso orientamento cominciare a predicare, che la mentalità scientifica del mondo moderno è cosa buona e giusta.
La stessa situazione l'hanno sperimentata ,di recente, gli anglicani ,vicini ai cattolici più d'ogni altra denominazione protestante e dotati di organi di governo molto più partecipati e meno medioevali di quelli del cattolicesimo.
Quando in quella Chiesa si è formata una dirigenza gerarchica decisamente aperta al mondo moderno sugli argomenti ,che riguardano i diritti civili e umani nonché l'uguaglianza fra uomo e donna, hanno dovuto verificare con sorpresa ,che la base dei loro fedeli reagiva in modo negativo, perché non era sufficientemente acculturata e matura per fare propri quei nuovi orientamenti.
Questo papa è appena partito ma non è che abbia la mano leggera.
Nell'intervista a Scalfari, per esempio, ha sparato un'autentica cannonata quando ha detto : “il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso.
Bisogna conoscersi e ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda”.
E come se questo non fosse bastato, ha proseguito ribadendo l'affermazione, che era stata considerata di maggior peso nella lettera di settembre, a proposito del primato e dell'autonomia della coscienza personale.
“Ciascuno ha la sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e di combattere il Male, come lui li concepisce”.
Teologicamente questa affermazione costituisce una rivoluzione culturale, che ha fatto rizzare i capelli a tutto il fronte dei tradizionalisti.
Per esempio, il foglio di Giuliano Ferrara, esponente di spicco dei cosiddetti atei devoti o neo con,  tanto apprezzati e lodati nella lunga gestione dalla conferenza episcopale, da parte del cardinale Ruini, si è deciso a titolare senza mezzi : termini questo papa proprio non ci piace.
Nell’ affermazione di papa Francesco  sul primato della coscienza non ci sono sfumature o cavilli di difficile comprensione, tipo discussioni sul sesso degli angeli.
Ci sono invece in ballo in modo chiaro e trasparente due teologie diverse.
Una, quella tradizionale, derivata dalle affermazioni dottrinali del concilio di Trento a metà Cinquecento, basate sul principio di autorità.
Autorità del papato ,che interpreta la scrittura in modo non discutibile da altri  e che da queste interpretazioni deduce una montagna di dogmi, che regolano tutto.
L'altra teologia, basata invece sul principio della priorità e sull'autonomia della coscienza personale, che già era emerso, ma non era nemmeno stato statuito, al concilio Vaticano secondo.
Per farla breve questo è un principio fondamentale, di chiara ispirazione illuminista, che sta alla base del mondo moderno e della mentalità scientifica.
Il teologo Vito Mancuso sull'argomento aveva già sostenuto le ragioni di questa tesi nelle cinquecento pagine del suo testo di teologia fondamentale intitolato :”io e Dio”, apparso nel 2011, regnante Papa Ratzinger.
È infatti quel suo libro era stato accolto da commenti arroganti, superficiali e pungenti da Civiltà Cattolica allineata con la curia e dalla ancor più allineata Società Teologica Italiana.
Costoro, gli rivoltarono contro addirittura delle ridicole accuse di “neo gnosticismo”, che nulla c'entrava con il contenuto del suo libro.
Ma così vanno le cose nelle corti e nelle curie.
Oggi Mancuso, con molta sobrietà e “nonchalance” si è tolto la soddisfazione di commentare queste affermazioni di papa Francesco, in un articolo sempre su Repubblica del 17 ottobre scorso, nel quale, in uno stile tutt'altro che giornalistico, ma decisamente teologico, dà conto del concetto tratto dalla teologia classica, che sarà risultato ai più piuttosto astruso ed esoterico.
Il concetto, che in teologia si chiama “sinderesi”.
Questo concetto, dice Mancuso, cerca di spiegare la capacità di conoscere il bene oggettivo, mediante la coscienza soggettiva.
In parole povere, Mancuso si preoccupa di spiegare come quelle parole del Papa non significano affatto accettare l'individualismo esasperato, che si manifesta nel mondo moderno e meno ancora accettare un relativismo morale puro e semplice.
Si tratta invece di proclamare il primato della coscienza individuale, che non disconosce affatto l'esistenza per tutti noi di un patrimonio morale largamente comune, cioè un messaggio etico universale, immanente alla natura delle cose, che gli uomini sono in grado di decifrare.
Queste  parole  Mancuso le cita prendendole da un documento di curia in proposito e che proviene dalla Commissione Teologica Internazionale in data  6/12/2008.
Questo documento appena dopo prosegue così :  la legge morale non può essere presentata come l'insieme di regole, che si impongono a priori. ma è fonte di ispirazione oggettiva. per il suo processo eminentemente personale di presa di decisione.
Fa una certa impressione vedere un teologo come Mancuso, al quale il Vaticano, fino a poco tempo addietro disconosceva polemicamente addirittura la qualifica di teologo, per il semplice fatto che non era l'un teologo di corte, che ora si preoccupa di mettere insieme argomenti, per dimostrare l'ortodossia delle tesi del papa regnante, invece che di sottolinearne la forte portata innovativa.
Questo è un segno non secondario del fatto che in Vaticano ora le cose sono veramente cambiate.
Detto quello sopra riferito, il singolare intervento non tradizionalista, ma certo molto ortodosso, del teologo progressista Mancuso si arresta  ed è un peccato, perché uno dei meriti della teologia di Mancuso è quello di rifondare la teologia, come si è sopra accennato, non più partendo dall' autorità della rivelazione e relative interpretazioni ecclesiastiche , ma ha fondato  la teologia a partire dalla conoscenza della realtà, come è stata sviluppata dalla scienza moderna.
Per fondarci sopra una nuova cosmologia e una nuova teologia, capaci di  individuare l'esistenza dello “spirito” e del “divino”, non solo nell'ordine dell'universo, scritto in termini matematici nelle universali leggi fisiche, ma soprattutto nella tendenza che lui vede nel processo evolutivo verso forme sempre più organizzate e complesse.
Per ironia della sorte questo concetto fondamentale del teologia di Mancuso, era stato già espresso con chiarezza nella prima importante opera teologica del giovane teologica teologo Ratzinger, basata sul commento del credo quando questi era nella sua fase, diciamo progressista, ai tempi del concilio Vaticano secondo.
Si  tratta del libro dal titolo “Introduzione al cristianesimo”, apparso in italiano nel 1968.
Libro, che Ratzinger ,da papa, seppure con qualche contorsione logica, ha esplicitamente scritto di non ritenere di dover ripudiare.
Questa rifondazione della teologia, partendo dalle evidenze della scienza moderna, è di grande importanza, perché nel campo della teologia morale afferma il primato della coscienza individuale e quindi la sua autonomia dalla autorità della rivelazione e della tradizione, ma nello stesso tempo afferma anche con forza il concetto dell'esistenza di un nucleo obiettivo di valori universali, valevoli per tutta la specie umana.
Questo stesso concetto, sul piano filosofico, è stato bene argomentato da Roberta de Monticelli, che non a caso era stata a suo tempo chiamata ad insegnare all'Università del San Raffaele insieme a Mancuso, da quel singolarissimo prete –diavoletto- geniaccio, che è stato Don Verzé.
Si diceva prima, peccato che Mancuso, probabilmente per esigenze di spazio, in quell'articolo a commento dell'intervento di papa Francesco sul primato della coscienza, non abbia proseguito accennando a questi concetti così tipici delle sue teologia.
Perché proprio in questi giorni la stampa ha riportato il pensiero di importanti scienziati espresso in occasione dei  festival della scienza a Bergamo e a Genova.
Scienziati cultori di discipline diverse hanno sostenuto e argomentato l'esistenza di una base di valori morali universali, riscontrabili nel patrimonio culturale acquisito dalla specie umana ,attraverso il processo di evoluzione.
L'evoluzione darwiniana è un processo nel quale la selezione naturale avviene in modo che siano favorite quelle variazioni, che comportino un rafforzamento delle probabilità di sopravvivenza, che è legata anche a una maggiore capacità riproduttiva.
Questo meccanismo sembrerebbe intrinsecamente egoistico.
In parole povere sembrerebbe orientato alla politica del “ farsi i fatti propri”, nel modo più efficace.
E invece ,etologi e antropologi hanno dimostrato, che questo meccanismo è accompagnato da evidenti comportamenti altruistici, che in natura sono molto comuni e non solo fra i primati più evoluti.
Comportamenti attraverso i quali il singolo individuo sacrifica il suo interesse egoistico a favore del bene del gruppo, al quale appartiene.
Questo si verifica regolarmente, quando per esempio un animale dà l'allarme a tutto il gruppo, mettendo con ciò stesso a rischio la sua vita ,nei confronti di un predatore ,che si avvicina.
E nella direzione opposta sono comuni nei gruppi animali le punizioni nei confronti degli individui ,che manifestano comportamenti egoistici, ad esempio quando dopo avere cacciato in gruppo non condividono la preda catturata con gli altri componenti del gruppo.
In base alla teoria darwiniana, questi comportamenti si inseriscono nella logica di fondo dell'evoluzione,perché il sacrificio potenziale del singolo e comunque il suo comportamento cooperativo porta un vantaggio alla sopravvivenza del patrimonio genetico dei suoi parenti ,presenti nel gruppo medesimo.
Ma fra gli umani si va oltre e si verificano i casi di “altruismo senza reciprocità”, quando ad esempio, rimanendo nella logica sopradescritta, non c'è alcun parente da salvare nel gruppo o nella comunità di appartenenza.
Gli etologi hanno individuato comportamenti del genere anche fra gli scimpanzé quando un individuo interviene a favore di specie diverse dalla sua.
Gli scienziati spiegano questi comportamenti come compatibili con l'evoluzione darwiniana, affermando che questi individui percepiscono, a seguito di acquisizioni culturali consolidate con l'evoluzione, che il gruppo o la società, che comprende più gruppi, si trova a vivere in un ambiente più favorevole ,se fra i gruppi o nei gruppi c'è più coesione e meno conflittualità.
E questa sarebbe la base evolutiva acquisita ,che porta a favorire in certe circostanze i comportamenti altruistici o addirittura altruistici senza reciprocità.
L'etologo Frans de Waal ha rilevato dallo studio del comportamento dei primati bonobo, che nei gruppi di questi animali è possibile dimostrare l'esistenza di quelle, che noi chiamiamo comportamenti ispirati ai principi morali e in particolare di “empatia” cioè la tendenza ad occuparsi degli altri e capacità di valutazione relative alle all' “equità”, che noi diremmo essere principi di giustizia, assoggettandosi a certe regole sociali.
Da queste considerazioni ,l'etologo olandese deduce che quella che noi chiamiamo morale oggettiva esiste in natura e non è quindi fondata su rivelazioni religiose, perché a queste è preesistente.
Non è nemmeno derivata da un ragionamento filosofico ma è un qualcosa di precedente, che c'è e esiste  prima delle elaborazioni delle religioni e delle filosofie, facendo parte della nostra natura di umani, derivanti dai primati.
Le acquisizioni scientifiche sopra riportate, sono con tutta evidenza argomenti usabili a forte sostegno dell'affermazione di papa Francesco a favore del primato dalla coscienza individuale e dell'impostazione  teologica di Mancuso, fondata non più sul principio di autorità   della rivelazione, interpretata dalla tradizione, ma sulle conoscenze del mondo, ottenute partendo dalle acquisizioni della scienza moderna.
In altre parole, una base obiettiva dei valori morali universali di giustizia c'è, ma non è necessario fondarla sulla rivelazione fatta a un popolo eletto, essendo questo un concetto obiettivamente debole, perché è per definizione non universale, in quanto di  rivelazioni religiose a popoli eletti ce ne sono diverse a secondo delle latitudini geografiche.

Questo patrimonio morale obiettivo e universale c'è in quanto iscritto addirittura nel nostro patrimonio culturale evolutivo in quanto specie umana.

1 commento:

Federico Pellettieri ha detto...

Vito Mancuso, nel difendere le affermazioni di Papa Francesco sull’autonomia della coscienza nell’individuare che cosa debba intendersi per “bene” e per male”, sostiene che Papa Francesco non ha detto nulla di nuovo: Mancuso, nel sostenere tale tesi, si riferisce essenzialmente al contenuto del documento “Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale”, redatto nel 2008 dalla Commissione Teologica Internazionale, definendolo atto “Magisteriale”.

Mancuso, però, incorre in un evidente errore: il documento in questione non è un atto del Magistero della Chiesa Cattolica, dato che, anche con riferimento allo stesso suo titolo, altro non è che il risultato di una ricerca svolta, da parte di 30 teologi, al fine di individuare principi morali, fondati sulla c.d. “legge naturale”, da poter essere universalmente accolti: come tali, pertanto, vanno presi in considerazione e, quindi, non possono considerarsi sostitutivi o riduttivi della "nuova legge" cristiana di Gesù Cristo,che dovrebbe valere anche per Mancuso che continua ad autodefinirsi "teologo cattolico".