Eugenio Scalari, fondatore di Repubblica, il giornale al
momento più diffuso in Italia, ha dedicato un lungo editoriale, il 29 dicembre
scorso, al piglio, secondo lui, rivoluzionario di papa Bergoglio, che sarebbe
arrivato ad abolire il peccato.
Scalari come è noto aveva fatto un autentico scoop
giornalistico quando, mesi fa, era stato ricambiato del suo interesse per le
cose religioso-spirituali, dalla concessione di una inusuale lunga intervista
da parte dello stesso papa Bergoglio,
avvenua il 24 settembre dello scorso anno , che abbiamo commentata nel post del
25 ottobre 2013.
Personalmente continuo a vedere con grandissimo interesse il
diffondersi e l’approfondirsi di un
dialogo serio fra intellettuali laici e cattolici.
Con l’apertura di questo dialogo l’Italia è finalmente
uscita da un provincialismo clericale, che era,, unico caso in occidente,
basato sulla volontaria chiusura in ghetti contrapposti, che cattolici e laici
si erano auto-imposti da decenni.
Così facendo hanno procurato danni e ritardi incalcolabili alle reciproche culture, che, senza dialogo
rimanevano ingessate nella ripetizione stantia delle stesse vecchie tesi, senza
produrre mai nulla di nuovo e di più consono coi tempi moderni.
Di Scalfari, per la verità, preferisco la versione
giovanile, quando, come direttore di quell’Espresso degli anni 70, in bianco e
nero e a pieno formato, aveva dato un punto di riferimento a tutti quegli
intellettuali e lettori di sinistra, compresi quelli cattolici, che non si
riconoscevano nel dogmatismo del PCI, spesso anche peggiore di quello clericale,
dell’allora Cardinale Ottaviani, Prefetto di ferro del Sant’Uffizio.
Scalfari è tutt’ora una figura di primo piano e di indubbio
spessore.
Il suo interesse, di uomo di cultura di formazione
illuminista, verso il mondo spirituale, pur dichiarandosi ateo o agnostico è di
grande rilievo.
L’interesse è autentico, ma non ha la profondità di una
cultura teologica approfondita, che hanno altri intellettuali della medesima
scuola di pensiero, come Floris D’Arcais o Odifreddi, che non per caso sono
stati scelti a suo tempo, come interlocutori da papa Ratzinger.
La limitata cultura e informazione sul cattolicesimo di
Scalari, per esempio in questo editoriale, lo hanno indotto a incorrere in due
strafalcioni, che avrebbe potuto evitarsi, se avesse avuto l’umiltà di farsi
“correggere il compito” da qualche competente editorialista del suo giornale,
ma purtroppo l’uomo, pure validissimo, soffre come tanti suoi coetanei di un
forte narcisismo.
Ha scritto che il dio biblico del vecchio testamento ebraico
e cristiano, non contemplava una classe sacerdotale, ignorando
evidentemente l’esistenza del terzo
libro della Bibbia, il Levitico, dedicato appunto tutto espressamente alla
classe sacerdotale.
Ha scritto che papa Francesco avrebbe canonizzato
sant’Ignazio, in realtà canonizzato nel 1600, come è stato poi costretto a
rettificare.
Rimandiamolo a settembre, magari, ma non usiamo due
strafalcioni per ignorare la straordinaria novità di un laico di prima
grandezza che si entusiasma a leggere e a scrivere delle azioni del papa e
delle sue conseguenze sul cattolicesimo.
Vi immaginate un Indro Montanelli a discettare di teologia?
Purtroppo si era sempre arrogantemente tenuto ben alla larga e non è un complimento
per lui.
Il dialogo è iniziato ormai da anni, ma è singolare dover
constatare che la base cattolica italiana sembra che lo percepisca con difficoltà, se
non addirittura con fastidio.
E’ molto probabile che questo avvenga perché il cattolico
medio italiano, anche quando gode di una cultura professionale medio- alta, sia
portato istintivamente ad una reazione
di fastidio, verso questo nuovo ruolo riconosciuto ai laici non credenti, per
il fatto di essere costretto a rilevare che molti degli intellettuali laici
sono oggi in grado di dialogare da pari a pari su temi teologici anche con il
papa in persona, mentre loro non si sono
ancora dati nemmeno le nozioni di base di una preparazione teologica e quindi
sono rimasti ancora al punto di sentire la necessità di andare dal prete della
parrocchia “a farsi spiegare” il Vangelo o qualsiasi altra cosa di attinenza
religiosa.
E’ una pecca storica del cattolicesimo italiano, il fatto
che continuino ad esserci credenti di alto livello nelle professioni, ma da
asilo infantile quando a cultura teologica.
Pesano poi sui cattolici italiani gli ultimi cinque decenni di martellante propaganda religiosa
integralista – fondamentalista, che ha favorito lo spirito gregario e la fuga
dalle responsabilità personali.
Una delle conseguenze di questa arretratezza culturale è
l’enorme diffusione in Italia del pregiudizio fra i credenti secondo il quale :
“chi parla del cattolicesimo standone fuori non può capirne nulla”.
Questa litania, viene
spesso ripetuto da quell’importante intellettuale cattolico che è Vittorio
Messori .
Messori era stato una penna efficace nel mondo cattolico,
fino a quando, pur essendosi scelta la missione, di per sé riduttiva, di apologeta del
cattolicesimo, conservava un certo senso critico.
Poi si è invaghito del miracolismo e peggio ancora dell’Opus
Dei e il livello delle sue argomentazioni è sceso in continuazione.
E’ diventato il portavoce della mentalità del ghetto, da Concilio di Trento,
contro tutto e in particolare contro il pensiero moderno, ed è un peccato,
perché dispiace veder sprecate delle
intelligenze, come quella di Messori.
Al lungo editoriale di Scalari, del quale si parlava sopra,
ha replicato ,sempre su Repubblica, il 3 gennaio successivo ,Vito Mancuso ,
tutt’oggi il più noto teologo progressista italiano e il dialogo si è fatto
ancora più interessante.
Mancuso ha il suo stile estremamente pacato e corretto, ma
ha contestato il pezzo di Scalari su tutta la linea e solo questo nel panorama
della stampa italiana è una notizia,
perché non è affatto comune che una firma di riferimento di un giornale si
permetta di contestare apertamente le tesi del fondatore (e azionista) dello
stesso giornale.
Scalari, nel presentare la sua tesi sulla presunta abolizione
del peccato,è stato forse un po’ troppo sul generico e preso dalla foga di dare un titolo ad
effetto, seguendo il suo istinto giornalistico,
ma è appunto un giornalista e glielo si può perdonare.
Mancuso è stato dall’altra parte un po’ troppo teologo.
E’ chiaro che è del tutto impossibile, per la Chiesa
cattolica, rinunciare al concetto di peccato e nemmeno ha senso che lo si faccia,
probabilmente quindi non era nemmeno questo quello che Scalari voleva dire.
E lo stesso Mancuso ,concludeva il suo pezzo dicendo che l’intuizione
di Scalari è valida in quanto riferita alla rinuncia da parte della chiesa non
certo al peccato, ma al rilevo prioritario che la tradizione gli assegnava,
presentando così in modo distorto il cristianesimo come una morale che vieta
tutto, un lungo elenco di divieti.
Scalfari in effetti se la era presa e non a torto nel suo
editoriale, con la posizione della legge mosaica nel vecchio testamento dove i
comandamenti sono tutti formulati inziando con il “non” che da il senso a tutto
quello che segue.
Nelle sue argomentazioni teologiche, Mancuso, cede spesso al
vezzo del ricorso al greco per scrupolo di precisione e anche in questa occasione ha sparato una parola pressoché
incomprensibile “amartiocentrismo”, che
tradotto in italiano fa centralità del peccato.
Arriva così a delineare la vera materia sulla quale si era
sviluppato il discorso di Scalari.
Che ha riproposto un dibattito su questo tema, che non è certo una
novità assoluta nell’ambito del mondo cattolico.
Ad esempio,se torniamo al clima culturale degli anni del
Concilio, è facile ricordare che nell’ambito delle stesse organizzazioni
cattoliche istituzionali di allora (Azione Cattolica, tanto per intenderci) si
diceva che era venuto il momento di farla finita con una presentazione del cattolicesimo come insieme
di norme che vietano e condannano, per passare invece a una lettura in positivo
che portasse alla trasmissione agli altri della gioia evangelica.
Basta con l’evangelizzazione ridotta a imposizione di una
morale cupa, basata sulla elencazione di tutti i casi di peccato, tanto cara ai
moralisti del seicento.
L’evangelizzazione la si faccia con la testimonianza del
proprio interesse e apertura per i
fratelli.
Questo si diceva e si dibatteva ben cinquant’anni fa.
Scalfari probabilmente non lo ricorda perché a quel tempo, forse,
non era ancora interessato al cattolicesimo, come lo è oggi, ma questo modo di
ragionare allora era molto vivo e diffuso nel mondo cattolico, che viveva il
concilio come una grande speranza.
Poi ci si è impantanati nella paura del nuovo e si è tornati
al fondamentalismo più inconcludente
mentre il mondo correva per tutt’altre strade.
Non ha senso abolire il peccato.
Ha senso invece abolire le scomuniche, questo si.
Ha senso abolire il divieto della libertà di ricerca nel
campo della teologia, dettato dal Codice di Diritto Canonico.
Mancuso, che la mancanza di questa libertà la vive tutti i
giorni sulla propria pelle, nella sua replica ha giustamente subito posto
questo tema, dicendo : aspettiamo un momento a plaudire a papa Francesco come
ad un rivoluzionario, aspettiamo a vedere se verranno dei concreti atti di
governo rivoluzionari e prima fra tutti la libertà di ricerca e di insegnamento
della teologia.
Peccato che Scalfari abbia contro- replicato in tono
piuttosto seccato delle critiche, senza rilevare che il problema vero in
questione è proprio quello sollevato con lucidità da Mancuso e non la presunta
abolizione del peccato.
Tra l’altro, tutto il processo di riforma della chiesa, se
mai ci sarà veramente, è in questo solco che dovrebbe svolgersi, cioè nel
riconoscimento dei propri peccati a cominciare da quello iniziale e fatale di
allearsi al potere, per “inverare” il proprio messaggio con la forza della
spada, invece che con la bontà delle proprie argomentazioni e della propria
testimonianza.
In questa ottica è più che un buon segno quanto lo stesso
papa Francesco ha detto agli ordini religiosi pochi giorni fa : l’annuncio del Vangelo non va fatto con le
bastonate, ma con dolcezza, fraternità e amore.
Sono ovviamente d’accordo con Mancuso nel chiedere realisticamente,
che alle belle parole seguano dei fatti significativi di governo della chiesa.
Fortunatamente però credo si debba anche riconoscere, che
questi atti cominciano a piovere fino a raggiungere quasi una cadenza da
temporale, con nomine che ignorano sistematicamente le vecchie cordate di
potere curiale e aprono a giovani vescovi di diocesi sconosciute, che però vantano
titoli diversi da quello di essere dei fedeli “signor sì” e poco di più, come
capitava fino a ieri.
Si veda il caso emblematico anche per il suo rilievo, della
nomina del nuovo segretario della Cei, Mons. Nunzio Galantino ,vescovo di
Cassano, una piccola diocesi sconosciuta, ma docente universitario di
antropologia, una materia recente, che non ha mai fatto sconti al cattolicesimo
ed alle religioni in genere, e non di “inchinologia vaticana”.
La calata del sipario sulle vecchie porpore è tanto avviata
bene, da aver fatto dire a un noto gesuita, Padre Georg Sporschilll, in una
lunga intervista al Corriere del 31
dicembre scorso, una cosa semplicemente terribile : questo papa ora dovrà
temere per la propria vita.
E se lo dice lui, qualche ragione ci sarà.
Il discorso del peccato di per sé è connaturato all’essenza
del cattolicesimo, per la semplice ragione che si tratta di una categoria
connaturata alla condizione umana.
Scalari dice che quello del peccato è un concetto teologico,
ma è vero solo parzialmente, perché in realtà si tratta di una categoria
antropologica.
E’ qualcosa di connaturato alla ambiguità umana.
E’ la cartina di tornasole che dimostra l’esistenza della
libertà umana, che consente all’uomo sempre e comunque di fare la sua scelta
fra bene e male, fra giusto e iniquo.
La vecchia dizione del catechismo di Pio X che definiva il
peccato come offesa a dio, può benissimo essere tradotta nell’immaginifico e
spesso fascinoso linguaggio di Mancuso :”azione che produce una diminuzione del grado
di ordine o di armonia”.
Non per niente la teologia di Mancuso è tutta basata sulla
costruzione di una nuova e più adeguata cosmologia e questa definizione di
peccato come attentato all’armonia ed all’ordine del cosmo è bellissima e si accorda tra l’altro con la visione del mondo
delle filosofie orientali, con le quali occorrerà pure dialogare.
Ma si accorda anche con uno dei concetti teologici chiave del cattolicesimo, quello
(consentitemi di imitare Mancuso ricorrendo al greco) di "metanoia”, che
significa cambiamento radicale della propria vita, che occorre fare per fare
proprio il messaggio evangelico.
Senza questo ardua e impegnativa assunzione di impegno
personale, il cristianesimo scompare.
Ma scompare anche l’umanesimo.
Il luogo d’incontro fra le due culture laica e cattolica non
può essere che qui.
L’abolizione del peccato è uno slogan vuoto.
La cultura laica umanistica e illuminista, riconosce gran
parte delle sue radici culturali nella filosofia dello stoicismo di Seneca, che
nel rigore morale e nella morale della responsabilità personale ha una delle
sue colonne (riprese dal cattolicesimo praticamente alla lettera).
Allora, lasciamo perdere, se vogliamo, il peccato come
offesa a dio,ma non possiamo certo
ignorare il peccato inteso come offesa all’ordine dell’universo, come vuole
Mancuso , o come offesa all’universale senso della giustizia, come lo intende
ad esempio la filosofia laica Roberta De Monticelli.
Il dialogo serve a questo, non stupidamente per cercare di
convertire l’altro ai propri dogmi o ai propri pregiudizi, ma per costruire una
base più ampia di argomentazioni a concetti condivisi.
Per rimanere in argomento, il concetto di peccato come
offesa a dio del vecchio catechismo è derivato dalla concezione secondo la
quale una morale universale potrebbe esistere non per forza propria , ma solo
per derivazione dall’autorità superiore di una rivelazione divina.
Senza di quella non si potrebbe avere una morale e il mondo
cadrebbe nel caos.
Ebbene, questa concezione ha avuto ormai una dimostrazione
del fatto che il suo presupposto è erroneo a livello praticamente di
dimostrazione scientifica.
Infatti l’etnologo Frans DeWaal, che abbiamo citato nel post
del 25 ottobre scorso, ha recentemente
pubblicato un lavoro nel quale dimostra che alcuni primati (i bonobo) dimostrano
di rispondere ad alcuni principi, che hanno acquisito per via di evoluzione,
che sono assimilabili ad alcuni valori elevati ed universali della cultura
umana.
Principi che, quindi, non sono stati dati da nessun dio sul
monte Sinai, ma si sono iscritti nel patrimonio genetico di questa specie per
via di evoluzione ,al fine di migliorare la sua sopravvivenza e il suo miglioramento.
E questa base evolutiva spinge gli individui di quella
specie a comportamenti non solo altruistici, ma addirittura altruistici senza
reciprocità.
Quindi se vogliamo lasciar cadere il concetto di peccato
come offesa a dio, poco male, basta intendersi su cosa si intende per dio, non
cascano affatto i presupposti della morale e della giustizia come valori
universali.
Il dialogo fra teologia, filosofia, scienza , culture e
religioni ha tantissimo da dire per dare un fondamento più solido ai nostri
valori condivisi.
E, come dicono giustamente sia Scalfari che Mancuso , stiamo
parlando di qualcosa di più di reati e di legalità, come riconosciuti dagli
ordinamenti giuridici.
Stiamo parlando di valori, di riferimenti universali.
Siamo ad Antigone e Creonte, al ricorso al concetto di
giustizia universale, superiore a quello di mera legalità, in un certo momento
ed in un certo luogo.
Sofocle parlava di questi concetti quattrocento anni prima
di Cristo.
Il dialogo fra credenti e non credenti è quindi iscritto
nella storia.
Papa Francesco ha tolto la chiesa da un lungo stallo, che la
stava soffocando, ma come si vede non ha scoperto nulla.
Ha riscoperto valori e metodi , che , guarda caso, nel
messaggio originale evangelico ci sono e sono coerenti con l’insieme della
predicazione di Gesù di Nazaret.
Ed a quelli vuol fare ritornare la predicazione, cioè in
termini ecclesiali, l’evangelizzazione.
La grande e rivoluzionaria novità di papa Francesco sta solo
in parte nel nuovo discorso sul peccato, che si è fatto sopra.
La novità più grossa sta nel discorso sulla verità e questo
sì che è puro discorso teologico e collide in modo irresolubile con la secolare
tradizione della chiesa.
E’ il discorso sulla verità che papa Francesco ha fatto a
Scalfari in quell’intervista e che lo stesso Scalfari ha capito benissimo che
fosse una affermazione sconvolgente
quando il papa ha detto che dio non è cattolico, nel senso che ci sono
nel mondo molteplici rappresentazioni di dio, perché ognuno di noi se ne fa una
ed a quella si rapporta.
E’ come se il papa avesse detto : il papa della chiesa
cattolica non ha una verità preconfezionata e definitiva da annunciare, ha una
verità relativa, che si basa sì sulle intuizioni dei libri sacri, intesi però
appunto come metafore, come intuizioni, per dare una risposta parziale dalla
quale partire per allargare la base delle argomentazioni con l’aiuto e il
dialogo dei non credenti e delle altre tradizioni religiose, filosofiche,
culturali e confrontandosi con i dati della scienza.
Questo discorso sulla verità però è un rospo ,che una parte
molto consistente della chiesa probabilmente non vorrà mai digerire, perché indottrinata
da una falsa teologia, che non sta in
piedi, perché non è mai stata basata su qualcosa di sufficientemente solido.
Un papa coraggioso, come papa Francesco è stretto fra due
fuochi.
Se non fa nulla, come avevano fatto i suoi più diretti
predecessori, la chiesa si estingue nell’irrilevanza.
Se fa la rivoluzione è difficile che possa tirarsi dietro la
gran parte di un gregge già rimpicciolito e non attrezzato culturalmente per
capire, che la novità, se pure rivoluzionaria, è molto più vicina al messaggio
evangelico della chiesa tradizionale,
molti quindi non lo seguirebbero.
Un papa rivoluzionario, però, non potrebbe evitare di dire
la verità alla gente e cioè che :
- la gran parte dei dogmi cattolici non sono mai stati in
piedi e sono in larga parte stati elaborati nel corso dei secoli per essere
formidabili strumenti di controllo delle coscienze e cioè raffinati strumenti di potere e non hanno mai
avuto una finalità e attinenza primaria con la presunta crescita spirituale dei
credenti ;
- la bibbia non è mai stata la parola di dio, ma esegesi ed
archeologia hanno da tempo dimostrato che è stata una raccolta di scritti fatti da diversi autori in tempi diversi,
assemblata a un certo momento della storia di Israele, per essere il supporto
teorico alla credenza ideologica e politica
in un grande regno temporale.
Questo non toglie il fatto che sia in parte una raccolta di saggezza antica , utile come
metafora per intraprendere un percorso di comprensione del senso della vita, e
quindi senza alcuna presunzione di reale e storica rivelazione divina.
- la chiesa è una istituzione millenaria ,che forse per
essere credibile ai giorni nostri ,dovrebbe alleggerirsi in modo talmente
deciso, da perdere le caratteristiche di una istituzione di potere.
E il ruolo stesso della casta ecclesiastica va completamente
ripensato di fronte ad una utenza
religiosa altamente secolarizzata, che non ha realmente più bisogno di alcuna
mediazione culturale.
Ancora meno ha bisogno di gestori dei “sacri misteri”, termine, questo, che notoriamente per le
giovani generazioni non ha alcun significato.
E’ quindi discutibile che la casta sacerdotale possa avere
ancora un senso, almeno nel mondo sempre più secolarizzato dell’occidente.
Ed allora come farebbe un papa, se pure coraggioso,ma con il limite fra
l’altro nella sua stessa età ad andare a dire queste cose alla gente, da un
giorno all’altro, se queste cose le pensa o le intuisce, come è probabile.
Quanto meno, fatto salvo il drappello degli entusiasti delle
vie nuove e dei preti da strada, la maggioranza
probabilmente rimarrebbe di sasso e ragionerebbe così:
va bene che una parte della colpa è nostra, perché non
abbiamo preso nella chiesa le nostre responsabilità, che consisterebbero prima
di tutto nello studiare con metodo critico almeno i rudimenti della teologia e
della storia della chiesa.
Se lo avessimo fatto, avremmo capito da soli quello che oggi
dice il papa e che oggi ci sconvolge, e cioè che questa enorme costruzione
teorica di dogmi non è mai stata in piedi.
Però il fatto è che ora apprendiamo che la chiesa, fino ad
oggi, ci ha raccontato in pratica una montagna di fandonie, approfittando della
nostra credulità e della nostra impreparazione culturale, usando anche metodi
subdoli, come la propaganda religiosa, fatta quando eravamo bambini e quindi
non in grado di recepire in modo critico e consapevole ,quello che ci veniva
propinato come verità assoluta.
Questo è un fatto difficile da perdonare, anche perché
rappresenta un tradimento, oltre che della nostra buona fede, anche della
missione originaria della chiesa, che facendo quello che ci ha fatto non ha
seguito affatto il messaggio del suo fondatore e non ce lo ha tramandato nella
sua nudità e semplicità, ma ce lo ha presentato, sconvolto dalle sue
interpretazioni teologiche e ideologiche elaborate a fini di potere.
Questo a mio avviso sarebbe la reazione più ovvia della
maggioranza dei credenti, se il papa dicesse loro la verità.
E quindi penso che
non sarebbe né realistico, né sensato ,che il papa lo facesse , perché lo
seguirebbero troppo in pochi, ammesso, che non gli venisse propinato prima un caffé
al cianuro, perché la diffusione della verità comporterebbe la perdita di
potere, benefici, ricchezze per una casta, che si è ridotta nel tempo ma che è
ancora numerosa e soprattutto potente in termini di beni e potere.
E porterebbe uno sgradito sconvolgimento nella pigrizia e nei
pregiudizi di chi ha trovato finora più comodo assumere nella chiesa un
atteggiamento gregario, senza dover fare la fatica di pensare in proprio.
Come ho detto e ripetuto più volte in post precedenti la
testimonianza benemerita dei tanti preti di strada o anche solo dei parroci e curati, che si spendono senza riposo per gli altri, o la testimonianza coraggiosa
dei pochi teologi, che non si sono
lasciati imbalsamare c’è ed è una grande ricchezza per la società tutta, ma se
non cambia radicalmente la istituzione chiesa, rischia di rimanere una foglia
di fico, che nasconde le vergogne e non
risulta efficace come testimonianza pubblica.
Cioè giova a una società, che di ricchezze spirituali ne ha
ben poche di altre, ma viene offuscata dalla chiesa istituzione, che va per
tutt’ altre strade.
Nelle cose umane la dialettica, la contrapposizione almeno come
prima fase di ogni cambiamento è inevitabile e questa interpretazione di chiesa
che danno i preti da strada deve poter essere visibile e in contrapposizione
aperta con quell’ altra ufficiale e fino ad oggi largamente prevalente nella
chiesa istituzionale.
Queste degnissime persone, finora, non hanno avuto il
coraggio di fare rete e presentarsi apertamente come una interpretazione della
chiesa diversa da quella istituzionale.
Ma dovranno farlo o la loro testimonianza rimarrà un fatto
privato, una forma di filantropia come tante altre, senza incidenza sulla
chiesa come comunità.
Il nuovo papa ha quindi un suo esercito, piccolo ma già
visibile, non ostante abbia subito una emarginazione, durata decenni.
La via, allora, che realisticamente
potrebbe percorrere, con qualche probabilità di successo, papa Francesco potrebbe
essere proprio quella già da lui intrapresa.
Consistente nell’evitare di affrontare frontalmente il
discorso dell’ abolizione di questo o quel dogma, sia perché i dogmi da abolire
sono troppi, sia perché i fedeli rimasti non sono attrezzati culturalmente per
capire seriamente di cosa si starebbe parlando,
se, se ne parlasse e quindi non gli sarebbero di grande aiuto.
Questa via, magari i suoi successori potrebbero non seguirla,
ma è tale da ripresentare il semplice e originario messaggio evangelico, con
semplicità e coerenza, lasciando che dogmi e consuetudini bislacche, che ai
tempi moderni e soprattutto presso le giovani generazioni, non hanno più corso,
divengano desueti e si estinguano da soli, come capita ,del resto, negli
ordinamenti giuridici degli stati, dove, se certe norme non vengono più seguite
sistematicamente, né vengono più sanzionate, in pratica è come se non
esistessero più e vengono considerate decadute.
Forse ,a questo
punto,questa è l’unica strada realmente praticabile.
Per questo percorso la gente potrebbe seguirlo.
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