venerdì 14 febbraio 2014

Commento conclusivo al Cap.I dello studio della Commissione Teologica Internazionale su monoteismo e violenza




Come si era accennato nel commento passo, passo del testo nel post del 13-2-14, la commissione , rifiutando di fare una seria critica storica, sembra voler ignorare la connessione cruciale violenza – potere – gerarchia, che invece è storicamente evidente.
Perché non è certo il popolo cristiano, che si è macchiato della violenza in nome di dio, ma è sempre stato il potere gerarchico della chiesa a  suscitare, istigare e gestire la violenza in nome di dio, per ragioni di potere, che, a loro volta, spesso erano motivate da sete di guadagno (si faccia riferimento a titolo di esempio alla storiografia, che ha analizzato le cause e le motivazioni delle crociate, che non sono state certo di natura spirituale).
La commissione, forse, non ha fatto alcuno sforzo di critica storica, perché se lo avesse fatto, avrebbe dovuto spiegare e cercare di spiegarsi, come mai nella storia la violenza in nome di dio è  stata suscitata e gestita per secoli dalla gerarchia cattolica, ovviamente ricorrendo e appoggiandosi alla teologia dogmatica, che è sempre stata usata come la stampella principale del potere.
Saltare lo sforzo di analisi servendosi dello strumento della critica storica è un errore metodologico grave, che inficia la validità   dei risultati di qualsiasi lavoro di questo genere.
Certo che sarebbe gravoso per dei teologi cattolici trovarsi a dover dare una serie di risposte su situazioni più che imbarazzanti per loro, ma questo sarebbe stato nient’altro che esercitare il loro mestiere.
Non limitarsi, come hanno fatto, a ripetere fino alla noia le medesime argomentazioni, già scritte e riscritte in mille documenti, che non che non acquistano credibilità per effetto della riscrittura, senza  affrontare, invece, almeno qualcuno dei nodi, che rendono la cultura cattolica in dialettica polemica col mondo moderno.
Uno di questi nodi più cruciali è quello per cui il potere si sostiene sulla teologia dogmatica tradizionale , basata sul ricorso all' autorità della rivelazione cristiana, da leggersi nella sola accezione della interpretazione dettata dalla gerarchia ecclesiastica.
Questo snodo si può risolvere ad esempio rimeditando finalmente la validità e la sensatezza della risposta data dalla chiesa alle tesi della riforma protestante, con la contro- riforma del concilio di Trento.
O si mette mano a quella teologia o si continua a girare a vuoto.
Il problema dell'antinomia fra autorità – tradizione, che sono assimilabili, e coscienza individuale,  oppure, formulando il medesimo problema in altro modo ,fra l’autorità di una presunta verità già tutta scritta, nota nella sue interezza e definitiva, da una parte, e conoscenza tramite ragione, dall’altra parte, è rimasto ancora lì, cinque secoli dopo la riforma, tutt'altro che risolto.
Ci aveva provato a metterci mano, se pure in modo parziale, il Vaticano II,  formulando, in modo trasparente, il discorso della priorità della  coscienza individuale, muovendosi fra Scilla e Cariddi, per non dovere andare a sbattere contro quel dogma non scritto, ma considerato superiore a tutti gli altri dogmi, secondo il quale la chiesa non si sarebbe mai contraddetta nel corso della storia in materia dottrinale una sola volta, perché e non può contraddirsi, in ragione  della presunta assistenza  costante dello spirito.
Ora, se si usa l'analisi e la critica storica, si vede tutta la pochezza di questa affermazione, contraddetta da mille esempi.
Ne cito uno solo, ma eclatante : la posizione della chiesa sui diritti umani e la libertà di coscienza nel Sillabo di Pio IX e le dichiarazioni, nella medesime materie, del Vaticano II, come si era anche accennato nel post precedente.
Continuare a sostenere il mito della  continuità con la tradizione, e la conseguente impossibilità assoluta di posizioni di discontinuità , come ha fatto più volte da ultimo Benedetto XVI è un modo per rendere impossibile qualsiasi colloquio della chiesa col mondo contemporaneo e soprattutto è un modo scorretto e inaccettabile di mistificare la realtà della storia.
C'è un modo intellettualmente brillante per passare fra Scilla e Cariddi, nel senso sopra esposto, se pure qualificato da molti studiosi, e forse non a torto, un po’ troppo gesuitico o farisaico, ed è quello di saltare a piè pari la teologia dogmatica.
Non a caso, si tratta dell’artificio dialettico e metodologico, che nella storia della chiesa hanno adottato i più grandi innovatori.
Francesco d'Assisi e Antonio da Padova per esempio.
Francesco d'Assisi aveva un pensiero riassumibile nel motto : tornare al Vangelo nudo “sine glossa”.
Per capire chi è stato Francesco occorre spogliare la figura di questo grande personaggio dalla melassa agiografica con la quale è stato seppellito e tradito con i racconti infantili, fatti di leggende edificanti, ma storicamente inattendibili, anche di alcuni  suoi biografi , racconti buoni a stupire e commuovere il pubblico medioevale, ma non certo quello moderno.
Francesco è stato certamente anche un personaggio che ha praticato in modo intransigente la virtù dell'umiltà, ma la storiografia seria ce lo restituisce come una personalità dotata di un carattere estremamente determinato, che non aveva alcuna paura di andare completamente controcorrente, atteggiamento questo per il quale occorre esercitare un grande coraggio.
Andare re a testa bassa contro la gerarchia  nel medio evo voleva dire mettere a repentaglio l'osso del collo, ma Francesco non ha esitato, muovendosi però con molta maggiore accortezza e sottigliezza di pensiero di come lo descrive la leggenda.
Francesco non amava per carattere le elucubrazioni teologiche e con tutta probabilità aveva anche capito che la teologia dogmatica veniva gestita da sempre dalla gerarchia ,come formidabile arma di potere.
Alla come oggi erano visibili nel collegio cardinalizio le cordate di pot ere nascoste dietro a particolari formulazioni teologiche e Francesco sapeva bene di non potere andare a competere con quelle.
Capì però che era possibile aggirare la teologia facendo ricorso al Vangelo nudo  e senza glossa, come diceva lui nel suo linguaggio immaginifico.
Fare questo tipo di ragionamento era già di per sé una sfida di fatto al potere ecclesiastico ed era pur sempre, di fatto, come sostenere una posizione teologica in contrasto con quella ufficiale, sia pure in modo indiretto.
Ma presentando le sue posizioni in modo indiretto e trasversale la cosa poteva riuscire e infatti riuscì, pur avendo dovuto Francesco  fare comunque concessioni, e non da poco alla curia vaticana, come l'accettazione  della regola.
Vangelo nudo significa tante cose, che sono tutte indigeste alla gerarchia ecclesiastica anche di oggi, perché se si sfronda il Vangelo dal peso snaturante della teologia dogmatica, significa che si privilegia la lettura privata o più realisticamente nel periodo medioevale, nel quale il popolo era illetterato, la assimilazione del messaggio evangelico nella  propria coscienza.
L'idea del primato della coscienza comporta inevitabilmente un  ridimensionamento del ruolo del prete  ( non  è casuale che Francesco abbia sempre rifiutato di farsi prete) che è per definizione un  punto intoccabile per le gerarchia cattolica.
Se poi andiamo ad Antonio da Padova , personalità diversissima da Francesco del quale era contemporaneo e seguace ,ma che era anche docente di teologia, la sostanza non cambia di molto.
Anche  Antonio va tirato fuori preliminarmente dal bagno di melassa e miracolismo nel quale secoli i racconti popolari lo hanno cacciato, nascondendone il vero volto storico.
Nella sua figura storica, Antonio, va visto come un singolarissimo dottore della chiesa, che non ha scritto una riga di teologia, ancora, certo, non per caso.
La sua ponderosa opera intitolata “Sermoni” ha avuto la ventura di essere fra le meno lette e meno citate di  tutto l'universo culturale cattolico.
La sua impostazione non è infatti mai stata amata né condivisa dalla gerarchia, perché Antonio, come Francesco, aveva capito che non sarebbe stato di alcuna utilità lanciarsi in dispute teologico dogmatiche, e. come Francesco. ha basato tutto il suo lavoro sul riferimento prioritario alla Bibbia.
La chiesa lo avrebbe seguito su quella strada, se pure molto parzialmente, solo con Vaticano II ben sette secoli dopo,  ma prima di allora, questo approccio non è stato affatto condiviso, per paura che, ragionando sulla bibbia, si diffondessero letture e interpretazioni difformi da quelle, spesso di comodo, formulate dalle gerarchie.
Anche, Antonio quindi, ha contraddetto la teologia imperante, ma operando un accurato  by-pass, e cioè senza avventurarsi  in contestazioni dirette di dogmi.
Nella storia, fra i così detti eretici ( ce ne sono stati in tutte le  epoche) che  erano quelli che la pensavano diversamente dalla vulgata corrente, ma ritenendo di essere sempre nell'ambito del cristianesimo, colui che ha osato affrontare più di altri lo scontro frontale con la gerarchia, proprio sul piano della contestazione di alcuni dogmi (primato del Papa e conseguente gerarchia, priorità della Scrittura e sua lettura personale) è stato Martin Lutero.
Era un intellettuale e forse proprio questa caratteristica ,che fa ritenere di poter sempre vincere le partite facendo ricorso alla superiorità della ragione, cioè alla validità logica del proprio ragionamento, lo ha danneggiato e quasi perduto.
La teologia dogmatica è sempre stata la corazza del potere, e quindi la gerarchia non se ne spoglia per nessuna ragione, perché tiene troppo al potere.
Lutero era nel giusto, ma aveva sottovalutato il peso del potere papale – gerarchico ed il suo radicamento territoriale, e per non lasciarci l'osso del collo e salvare almeno una parte della riforma alla fine ha fatto quello che probabilmente gli ripugnava di più, cioè sottomettersi al potere civile dei signori regionali tedeschi, interessati a contrastare il papato per motivazioni, che di spirituale non avevano nulla, come è capitato di continuo nella storia.
Lutero è la dimostrazione storica, che contendere la gerarchia sul piano dell'abolizione di alcuni dogmi, difficilmente porta da qualche parte, perché il legame teologia dogmatica – potere è sempre stato troppo forte.
Abbiamo però visto, che alcune delle figure più significative, che nella  storia della chiesa più hanno inciso per attuare riforme radicali, sono coloro che hanno basato tutta la loro opera sul  prendere le distanze dalla teologia dogmatica vigente, ma praticando un approccio indiretto, non essendo stati né degli sciocchi, né degli ingenui.
Per prendere le distanze dalla teologia dogmatica tradizionale bisogna per prima cosa individuarne la estrema debolezza concettuale, compiendo una analisi storica critica della storia della chiesa, questo è un passaggio inevitabile per introdurre una qualsiasi autentica innovazione.
Ma la commissione, nel documento in esame, ha completamente evitato l'analisi storica e questa è la ragione per la quale il documento medesimo è risultato così poco convincente ed al limite di pressoché  nessuna utilità.
Si è limitata, come abbiamo detto a ripetere tesi dogmatiche, già illustrate in migliaia di documenti, che non avevano nessuna necessità di essere ripetuti, dal momento, che hanno dimostrato da tempo di non avere nessuna presa sul mondo di oggi.
Papa Francesco, per fortuna della chiesa, sembra invece essere su tutt'altra lunghezza d'onda.
Ripeto quello che ho già detto più volte nei post precedenti, la  mia impressione è che questo papa ,come Francesco e Antonio , sia piuttosto allergico alle dispute ed alle reiterazioni della teologia dogmatica tradizionale.
Sembra che si sia reso conto benissimo di quanto sia pericoloso sfidare il potere di chi non vuole cambiare nulla, perché sulla conservazione del potere ci campa.
Si possono contraddire i dogmi anche non parlandone affatto.
Questa è la strada che probabilmente finirà per intraprendere ed è quella con più probabilità di successo e con meno pericoli.

Ma questo lo sanno anche i suoi agguerriti avversari ed episodi come quelli costituiti da questo documento della commissione teologica, che predica idee in contrasto con le sue non mancheranno di ripetersi.

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