Come si era accennato nel commento passo, passo del testo nel
post del 13-2-14, la commissione , rifiutando di fare una seria critica
storica, sembra voler ignorare la connessione cruciale violenza – potere –
gerarchia, che invece è storicamente evidente.
Perché non è certo il popolo cristiano, che si è macchiato
della violenza in nome di dio, ma è sempre stato il potere gerarchico della
chiesa a suscitare, istigare e gestire
la violenza in nome di dio, per ragioni di potere, che, a loro volta, spesso
erano motivate da sete di guadagno (si faccia riferimento a titolo di esempio
alla storiografia, che ha analizzato le cause e le motivazioni delle crociate,
che non sono state certo di natura spirituale).
La commissione, forse, non ha fatto alcuno sforzo di critica
storica, perché se lo avesse fatto, avrebbe dovuto spiegare e cercare di
spiegarsi, come mai nella storia la violenza in nome di dio è stata suscitata e gestita per secoli dalla
gerarchia cattolica, ovviamente ricorrendo e appoggiandosi alla teologia
dogmatica, che è sempre stata usata come la stampella principale del potere.
Saltare lo sforzo di analisi servendosi dello strumento della
critica storica è un errore metodologico grave, che inficia la validità dei risultati di qualsiasi lavoro di questo
genere.
Certo che sarebbe gravoso per dei teologi cattolici trovarsi
a dover dare una serie di risposte su situazioni più che imbarazzanti per loro,
ma questo sarebbe stato nient’altro che esercitare il loro mestiere.
Non limitarsi, come hanno fatto, a ripetere fino alla noia le
medesime argomentazioni, già scritte e riscritte in mille documenti, che non che
non acquistano credibilità per effetto della riscrittura, senza affrontare, invece, almeno qualcuno dei nodi,
che rendono la cultura cattolica in dialettica polemica col mondo moderno.
Uno di questi nodi più cruciali è quello per cui il potere si
sostiene sulla teologia dogmatica tradizionale , basata sul ricorso all'
autorità della rivelazione cristiana, da leggersi nella sola accezione della
interpretazione dettata dalla gerarchia ecclesiastica.
Questo snodo si può risolvere ad esempio rimeditando
finalmente la validità e la sensatezza della risposta data dalla chiesa alle
tesi della riforma protestante, con la contro- riforma del concilio di Trento.
O si mette mano a quella teologia o si continua a girare a
vuoto.
Il problema dell'antinomia fra autorità – tradizione, che
sono assimilabili, e coscienza individuale,
oppure, formulando il medesimo problema in altro modo ,fra l’autorità di
una presunta verità già tutta scritta, nota nella sue interezza e definitiva, da
una parte, e conoscenza tramite ragione, dall’altra parte, è rimasto ancora lì,
cinque secoli dopo la riforma, tutt'altro che risolto.
Ci aveva provato a metterci mano, se pure in modo parziale,
il Vaticano II, formulando, in modo trasparente,
il discorso della priorità della
coscienza individuale, muovendosi fra Scilla e Cariddi, per non dovere
andare a sbattere contro quel dogma non scritto, ma considerato superiore a
tutti gli altri dogmi, secondo il quale la chiesa non si sarebbe mai
contraddetta nel corso della storia in materia dottrinale una sola volta, perché
e non può contraddirsi, in ragione della
presunta assistenza costante dello
spirito.
Ora, se si usa l'analisi e la critica storica, si vede tutta
la pochezza di questa affermazione, contraddetta da mille esempi.
Ne cito uno solo, ma eclatante : la posizione della chiesa
sui diritti umani e la libertà di coscienza nel Sillabo di Pio IX e le
dichiarazioni, nella medesime materie, del Vaticano II, come si era anche
accennato nel post precedente.
Continuare a sostenere il mito della continuità con la tradizione, e la
conseguente impossibilità assoluta di posizioni di discontinuità , come ha
fatto più volte da ultimo Benedetto XVI è un modo per rendere impossibile
qualsiasi colloquio della chiesa col mondo contemporaneo e soprattutto è un modo
scorretto e inaccettabile di mistificare la realtà della storia.
C'è un modo intellettualmente brillante per passare fra
Scilla e Cariddi, nel senso sopra esposto, se pure qualificato da molti
studiosi, e forse non a torto, un po’ troppo gesuitico o farisaico, ed è quello
di saltare a piè pari la teologia dogmatica.
Non a caso, si tratta dell’artificio dialettico e metodologico,
che nella storia della chiesa hanno adottato i più grandi innovatori.
Francesco d'Assisi e Antonio da Padova per esempio.
Francesco d'Assisi aveva un pensiero riassumibile nel motto :
tornare al Vangelo nudo “sine glossa”.
Per capire chi è stato Francesco occorre spogliare la figura
di questo grande personaggio dalla melassa agiografica con la quale è stato
seppellito e tradito con i racconti infantili, fatti di leggende edificanti, ma
storicamente inattendibili, anche di alcuni
suoi biografi , racconti buoni a stupire e commuovere il pubblico
medioevale, ma non certo quello moderno.
Francesco è stato certamente anche un personaggio che ha praticato
in modo intransigente la virtù dell'umiltà, ma la storiografia seria ce lo
restituisce come una personalità dotata di un carattere estremamente
determinato, che non aveva alcuna paura di andare completamente controcorrente,
atteggiamento questo per il quale occorre esercitare un grande coraggio.
Andare re a testa bassa contro la gerarchia nel medio evo voleva dire mettere a
repentaglio l'osso del collo, ma Francesco non ha esitato, muovendosi però con
molta maggiore accortezza e sottigliezza di pensiero di come lo descrive la
leggenda.
Francesco non amava per carattere le elucubrazioni teologiche
e con tutta probabilità aveva anche capito che la teologia dogmatica veniva
gestita da sempre dalla gerarchia ,come formidabile arma di potere.
Alla come oggi erano visibili nel collegio cardinalizio le
cordate di pot ere nascoste dietro a particolari formulazioni teologiche e
Francesco sapeva bene di non potere andare a competere con quelle.
Capì però che era possibile aggirare la teologia facendo
ricorso al Vangelo nudo e senza glossa,
come diceva lui nel suo linguaggio immaginifico.
Fare questo tipo di ragionamento era già di per sé una sfida
di fatto al potere ecclesiastico ed era pur sempre, di fatto, come sostenere
una posizione teologica in contrasto con quella ufficiale, sia pure in modo
indiretto.
Ma presentando le sue posizioni in modo indiretto e
trasversale la cosa poteva riuscire e infatti riuscì, pur avendo dovuto
Francesco fare comunque concessioni, e
non da poco alla curia vaticana, come l'accettazione della regola.
Vangelo nudo significa tante cose, che sono tutte indigeste
alla gerarchia ecclesiastica anche di oggi, perché se si sfronda il Vangelo dal
peso snaturante della teologia dogmatica, significa che si privilegia la
lettura privata o più realisticamente nel periodo medioevale, nel quale il
popolo era illetterato, la assimilazione del messaggio evangelico nella propria coscienza.
L'idea del primato della coscienza comporta inevitabilmente
un ridimensionamento del ruolo del prete
( non
è casuale che Francesco abbia sempre rifiutato di farsi prete) che è per
definizione un punto intoccabile per le
gerarchia cattolica.
Se poi andiamo ad Antonio da Padova , personalità
diversissima da Francesco del quale era contemporaneo e seguace ,ma che era
anche docente di teologia, la sostanza non cambia di molto.
Anche Antonio va
tirato fuori preliminarmente dal bagno di melassa e miracolismo nel quale
secoli i racconti popolari lo hanno cacciato, nascondendone il vero volto
storico.
Nella sua figura storica, Antonio, va visto come un singolarissimo
dottore della chiesa, che non ha scritto una riga di teologia, ancora, certo,
non per caso.
La sua ponderosa opera intitolata “Sermoni” ha avuto la
ventura di essere fra le meno lette e meno citate di tutto l'universo culturale cattolico.
La sua impostazione non è infatti mai stata amata né condivisa
dalla gerarchia, perché Antonio, come Francesco, aveva capito che non sarebbe
stato di alcuna utilità lanciarsi in dispute teologico dogmatiche, e. come
Francesco. ha basato tutto il suo lavoro sul riferimento prioritario alla
Bibbia.
La chiesa lo avrebbe seguito su quella strada, se pure molto
parzialmente, solo con Vaticano II ben sette secoli dopo, ma prima di allora, questo approccio non è
stato affatto condiviso, per paura che, ragionando sulla bibbia, si
diffondessero letture e interpretazioni difformi da quelle, spesso di comodo,
formulate dalle gerarchie.
Anche, Antonio quindi, ha contraddetto la teologia imperante,
ma operando un accurato by-pass, e cioè senza
avventurarsi in contestazioni dirette di
dogmi.
Nella storia, fra i così detti eretici ( ce ne sono stati in
tutte le epoche) che erano quelli che la pensavano diversamente dalla
vulgata corrente, ma ritenendo di essere sempre nell'ambito del cristianesimo,
colui che ha osato affrontare più di altri lo scontro frontale con la gerarchia,
proprio sul piano della contestazione di alcuni dogmi (primato del Papa e
conseguente gerarchia, priorità della Scrittura e sua lettura personale) è
stato Martin Lutero.
Era un intellettuale e forse proprio questa caratteristica
,che fa ritenere di poter sempre vincere le partite facendo ricorso alla
superiorità della ragione, cioè alla validità logica del proprio ragionamento,
lo ha danneggiato e quasi perduto.
La teologia dogmatica è sempre stata la corazza del potere, e
quindi la gerarchia non se ne spoglia per nessuna ragione, perché tiene troppo
al potere.
Lutero era nel giusto, ma aveva sottovalutato il peso del potere
papale – gerarchico ed il suo radicamento territoriale, e per non lasciarci
l'osso del collo e salvare almeno una parte della riforma alla fine ha fatto
quello che probabilmente gli ripugnava di più, cioè sottomettersi al potere
civile dei signori regionali tedeschi, interessati a contrastare il papato per
motivazioni, che di spirituale non avevano nulla, come è capitato di continuo
nella storia.
Lutero è la dimostrazione storica, che contendere la
gerarchia sul piano dell'abolizione di alcuni dogmi, difficilmente porta da
qualche parte, perché il legame teologia dogmatica – potere è sempre stato
troppo forte.
Abbiamo però visto, che alcune delle figure più significative,
che nella storia della chiesa più hanno
inciso per attuare riforme radicali, sono coloro che hanno basato tutta la loro
opera sul prendere le distanze dalla
teologia dogmatica vigente, ma praticando un approccio indiretto, non essendo
stati né degli sciocchi, né degli ingenui.
Per prendere le distanze dalla teologia dogmatica
tradizionale bisogna per prima cosa individuarne la estrema debolezza concettuale,
compiendo una analisi storica critica della storia della chiesa, questo è un
passaggio inevitabile per introdurre una qualsiasi autentica innovazione.
Ma la commissione, nel documento in esame, ha completamente
evitato l'analisi storica e questa è la ragione per la quale il documento
medesimo è risultato così poco convincente ed al limite di pressoché nessuna utilità.
Si è limitata, come abbiamo detto a ripetere tesi dogmatiche,
già illustrate in migliaia di documenti, che non avevano nessuna necessità di
essere ripetuti, dal momento, che hanno dimostrato da tempo di non avere
nessuna presa sul mondo di oggi.
Papa Francesco, per fortuna della chiesa, sembra invece essere
su tutt'altra lunghezza d'onda.
Ripeto quello che ho già detto più volte nei post precedenti,
la mia impressione è che questo papa
,come Francesco e Antonio , sia piuttosto allergico alle dispute ed alle reiterazioni
della teologia dogmatica tradizionale.
Sembra che si sia reso conto benissimo di quanto sia
pericoloso sfidare il potere di chi non vuole cambiare nulla, perché sulla
conservazione del potere ci campa.
Si possono contraddire i dogmi anche non parlandone affatto.
Questa è la strada che probabilmente finirà per intraprendere
ed è quella con più probabilità di successo e con meno pericoli.
Ma questo lo sanno anche i suoi agguerriti avversari ed
episodi come quelli costituiti da questo documento della commissione teologica,
che predica idee in contrasto con le sue non mancheranno di ripetersi.
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