giovedì 13 febbraio 2014

Analisi del documento della commissione teologica internazionale al Capitolo I





Nel post  precedente (del 31-1-14 ) si era dato un giudizio critico sul documento della commissione teologica internazionale, rimandando la sua analisi a un posto successivo.
E' quindi venuto il momento di parlarne ora in modo analitico.
Lo scopo del  documento è dichiarato in una nota preliminare ed è questo : controbattere la tesi secondo la quale esisterebbe un rapporto necessario fra monoteismo e la violenza.
La medesima nota informa il lettore che il documento stesso è stato materialmente redatto da una sottocommissione, composta da dieci membri, compreso l'italiano Sequeri, che vi hanno lavorato per cinque anni.
Chiarisce quindi che  “l'intento del discorso è stato quello di vedere in quale modo la teologia cattolica può  confrontarsi criticamente con l'opinione culturale che stabilisce un intrinseco rapporto fra monoteismo e violenza” e conseguentemente vedere “in quale modo la fede nell'unico dio può essere riconosciuta come principio e fonte dell'amore fra gli uomini”.
Dice quindi che il filo conduttore del lavoro non è affatto di natura apologetica.
E che la fede cristiana riconosce l'eccitamento alla violenza in nome di dio come la massima corruzione della religione e che il cristiano è tenuto a praticare un atteggiamento di conversione permanente che implica anche la “parresia” ossia la coraggiosa franchezza nella necessaria autocritica.
Passa quindi a indicare capitolo per capitolo quali erano gli intenti in ognuno.
Relativamente al capitolo primo si dice che l'odierna filosofia politica tratterebbe il monoteismo con una serie di diverse posizioni teoriche, che andrebbero dall'ateismo umanistico  all'agnosticismo religioso , al laicismo politico.
La commissione si proporrebbe quindi di confutare la tesi secondo la quale “l'alternativa sarebbe fra un monoteismo necessariamente violento e e un politeismo presuntivamente tollerante”.
Chiarito lo scopo dichiarato del documento, sia consentito chiedersi come mai la commissione abbia ritenuto di dedicare cinque anni di lavoro a una argomento così “di nicchia”, come la presunta tendenza del monoteismo a favorire della violenza in nome di dio ,ed invece la tendenza del politeismo a favorire la tolleranza.
Non credo di sbagliarmi di molto se dico che la quasi totalità del “popolo cristiano”, inclusi i fedeli più colti, non ha mai sentito parlare dell'esistenza di un problema del genere o di un dibattito a livello culturale su questo argomento.
Sul piano della elaborazione filosofica, questo argomento è stato studiato ed esposto in molteplici volumi dal filosofo italiano Salvatore Natoli (Università Milano-Bicocca) che rivaluta il paganesimo dell'età classica come fonte di un ethos che ritiene non certo inferiore a quello poi elaborato dal cristianesimo.
Ora se i teologi della commissione avessero individuato nell'opera di Natoli un pericoloso attacco al cristianesimo, avrebbero fatto bene a dirlo con trasparenza,ma dal momento che non lo dicono affatto è difficile individuare il loro reale o i loro reali bersagli.
Più probabilmente,  dovendoci muovere disgraziatamente nel campo delle ipotesi, la commissione voleva tentare una difesa apologetica del cattolicesimo di fronte al turbamento che suscitano i continui episodi di terrorismo islamico, dopo il fattaccio delle torri gemelle di New York, esplicitamente ispirati da profonde convinzioni religiose, e dal timore che la gente tenda a ipotizzare un parallelismo fra  forme diverse di fondamentalismo religioso, assimilando il cattolicesimo al rischio di cadere in forme più o meno aperte di violenza in nome di dio, portati avanti dagli altri monoteismi.
Non si può certo trascurare il fatto che  il fatto che il “libro nero del cristianesimo” è zeppo di eventi storici di questo tipo, e quindi  il rischio, sul piano della pura logica, di assimilazione fra fondamentalismi monoteistici, non è certo infondato.
Se così fosse, però, come è probabile, perché questi teologi non l'hanno detto chiaramente e si sono rifugiati dietro a una disputa filosofica ,che seguono pochi o pochissimi addetti ai lavori?
La trasparenza, la sincerità e l'apertura d'animo non sono certo la migliore qualità di questo lavoro.
Quando poi scrivono che il loro intento non sarebbe apologetico, cadono nel classico tranello dell'  “excusatio non petita, accusatio manifesta”.
Proseguendo nell'analisi del testo, la riflessione della commissione sarebbe quindi confortata dalla certezza che “moltissimi contemporanei credenti e non, condividono la  convinzione che le guerre di religione siano semplicemente insensate”.
Va bene, quest'affermazione è condivisa da tutti , probabilmente compresi anche gli ultra- tradizionalisti del movimento di Lefevre, ma qui si riscontra una delle pecche più gravi e ingiustificabili di questo documento.
Questi teologi, che dovrebbero rappresentano il meglio della teologia cattolica, pensano di cavarsela di fronte a bimellenarie tragedie storiche con tre righe?
Anticipo infatti che nel prosieguo del discorso non si troverà alcuna trattazione, nemmeno elementare ,sull'analisi storica degli eventi tragici causati dall'uso della violenza in nome del dio cristiano.
Anzichè rimandare a quanto accennato nel post precedente, per ragioni di chiarezza riporto quanto ivi detto in proposito:
- dal peccato originale ,che nella storia della chiesa costituisce l'alleanza dell'altare col potere e con la spada da Costantino in poi;
- all'uso appunto della spada, cioè del potere secolare per convertire e per difendere poteri e privilegi   a cominciare dal successore di Costantino, Teodosio, che ha fatto diventare il cristianesimo da religione tollerata fra le altre  a  religione di stato, con conseguente distruzione dei templi pagani e persecuzione dei cittadini che avessero continuato a praticare culti pagani;
- alla diffusione ed al mantenimento per secoli delle false accuse di deicidio contro il popolo ebraico contribuendo non poco a fornire la base ideologica delle teorie razziste finite come tutti sanno;
- al lancio delle crociate contro i musulmani, invocando apertamente l'uso della violenza nel nome del dio cristiano;
- all'uso del potere spirituale sulle coscienze e cioè l'uso dei sacramenti come strumento di controllo sociale e politico;
- al mantenimento della schiavitù per secoli  e secoli, ed anzi al suo ampliamento, appoggiando il colonialismo, con annessi genocidi dei nativi nelle Americhe;
- all'uso sistematico della tortura, con la Santa Inquisizione;
- alle guerre di religione causa di innumerevoli vittime;
- alla lotta frontale contro la modernità, la libertà della scienza e della ricerca scientifica;
- all'accoglimento tardivo e solo parziale dei diritti umani e della democrazia;
- al contrasto della laicità dello stato
I semi di violenza usciti dal monoteismo cristiano sono fatti storici inoppugnabili e non sono liquidabili con tre parole.
Per esorcizzare il pericolo di ricadere nella stessa violenza, bisogna trattare l'argomento con un minimo di rigore e serietà, cominciando per lo meno con l'elencarli questi eventi.
Questo documento non minimizza, ma addirittura ritiene di poter passarci sopra e questo è veramente troppo.
A questo punto  della trattazione, la commissione fa un'affermazione importante, là dove espone in modo  questa volta trasparente quale sia la filosofia alla quale ha ispirato tutto il documento : “come teologi cattolici abbiamo cercato di illustrare il rapporto fra rivelazione di dio e umanesimo non violento a partire dalla verità di Cristo”.
Questa è l'architrave sulla quale è costruito il documento : la “dottrina della verità di Cristo”,
cioè ,tradotto in italiano, tutto l'insieme delle argomentazioni addotte  per confutare l'accusa al monoteismo di provocare la violenza in nome di dio è basato sull' “autorità della rivelazione”.
E qui viene l' osservazione, che già avevo anticipato nel post precedente : se c'è un modo per non dialogare con nessuno, cioè se c'è un modo per fare pura apologia o in termini più espliciti pura propaganda religiosa cattolica, questo è quello di basare tutte le proprie argomentazioni sulla presunta verità della propria rivelazione.
Perché questo ricorso all'autorità della propria rivelazione tronca all'origine qualsiasi possibilità di dialogare con il resto del  mondo che cattolico non è.
Perchè la commissione teologica esplicitando che la sua base ispiratrice è stata l'autorità della rivelazione cattolica è caduta in un errore logico macroscopico.
Infatti non è necessario che i migliori teologi cattolici ci vengano a dire che il messaggio originale di Gesù di Nazaret è intrinsecamente contro la violenza , questo lo sappiamo tutti ,se solo abbiamo anche solo leggiucchiato qualche volta i Vangeli.
Non è certo questo il problema.
Il problema è che nella prassi la chiesa nella storia ha giustificato e usato la violenza in nome di dio, perché alcune parti della dogmatica cattolica sono state costruite come base logica all'uso della violenza.
Per potere agire per secoli conformemente a quella prassi storica distorta, la chiesa ha formulato un universo dogmatico per lo meno non in contrasto con la prassi in uso
Difficile ignorare o far finta di ignorar  il fatto,che alcuni esponenti di primo piano della dottrina cattolica, che rientrano fra gli scrittori dei primi secoli e fra i dottori della chiesa, come il tanto celebrato Sant'Agostino ,hanno scritto pagine conturbanti, in evidente contrasto con il messaggio evangelico sull'uso della violenza contro quelli che definivano eretici.
Di conseguenza, per confutare la tesi della violenza alimentata dalla religione ,sarebbe stato necessario sviluppare due discorsi su due piani diversi :
- uno di analisi storica
- e uno, volto alla individuazione degli elementi teorici , ancora presenti nella dogmatica cattolica (non certo nei Vangeli),  che possono condurre alla giustificazione della violenza in nome di dio  e su tutti e due i piani fare un lavoro di purificazione.
Parlare di dottrina cattolica tradizionale come un tutt'uno col messaggio evangelico significa essere scorretti sul piano teorico e storico, inducendo i lettori meno preparati a cadere in una vera e propria falsificazione della realtà.
Gesù di Nazareth e Gesù il Cristo non sono affatto la stessa cosa e questa elementare distinzione la conoscono bene i teologi.
Figuriamoci poi le elaborazioni teologico -  filosofiche, che costituiscono la dogmatica cattolica.
In questo documento ,invece, non si è né impostato, né sviluppato né un discorso di critica storica, né un discorso critico sulle pecche di diverse formulazioni dogmatiche, ma anzi si è seminata confusione e approssimazione sui diversi piani di lettura.
Come mai  personalità di grande livello e preparazione culturale hanno elaborato un documento così debole e deludente sul piano dell'elaborazione teorica?
Perché con quella premessa ,volta a fondare tutto il discorso “sulla verità di Cristo”, in realtà la commissione non si è accorta di essere partita talmente col piede sbagliato , da avere inconsapevolmente impostato le quasi 150 pagine del documento in modo da  avvalorare la tesi che quegli stessi teologi volevano confutare.
Infatti ,non c'è argomentazione logica che tenga : se si proclama di possedere, tramite rivelazione divina tutta la verità definitiva, si esclude dal godimento dei benefici di quella stessa presunta verità tutto il resto del mondo, che sarebbe ammesso a goderne ,solo in caso di conversione.
Cioè di accettazione piena di tutta quella presunta verità, con annessa ulteriore accettazione piena del fatto che quella verità sarebbe pervenuta all'umanità per via di rivelazione divina, e che è esprimibile e accettabile solo nell' interpretazione formulata dalla gerarchia cattolica.
Quello che questi ,per altro stimati teologi,si guardano bene dal dire in tutte le loro argomentazioni, è il fatto che il concetto di “rivelazione divina” non è affatto di natura universale, ma è strettamente e indissolubilmente legato al corrispondente concetto di “popolo eletto”  tramite una volizione unilaterale di dio ,che si sarebbe concretata nella scelta di un popolo eletto “particolare”, che la bibbia indica nel popolo ebraico.
E qui che c'è il seme della violenza.
Nella presunta scelta unilaterale di dio  per individuare e benedire il suo popolo eletto,(scelta che la chiesa ha “scippato “ agli ebrei ,con l'artificio  teorico, che la teologia cattolica ha elaborato con la teoria di Cristo come nuovo Adamo) c'è la radice dogmatico – teologica dell'uso della violenza in nome del proprio dio, in contrapposizione a quello degli altri.
Qualsiasi analisi storica, anche elementare, avrebbe portato i teologi della commissione ad arrivare a questa conclusione.
Ma l'analisi storica l'hanno saltata a piè pari.
La commissione invece ha pensato di superare un ostacolo storico- teorico formidabile riproponendo la formulazione della teologia cattolica tradizionale relativa a “deus caritas est”, che tutti conosciamo, ma che poco c'entra con le cantonate prese dalla chiesa, quando ha compilando le pagine nere della sua storia.
Certo che la storia della chiesa non è costituita affatto solo dalle pagine nere, ma non si superano quelle Pagine nere dicendo che Gesù di Nazaret aveva insegnato tutt'altro, perché anche questo lo sappiamo tutti.
La gente non diffida della credibilità della chiesa a causa della pur interessante costruzione filosofica del Prof. Salvatore Natoli.
Ma tutti ,anche se non hanno troppe nozioni di teologia, capiscono che se si proclama con l'autorità della presunta parola di dio, che lo stesso dio avrebbe scelto come popolo eletto un popolo particolare, piuttosto che un altro, questa  è una operazione foriera di violenza e non di fraternità.
E così il capitolo primo del documento è tutto dedicato alla esposizione di questa teoria tradizionale, esposta oltretutto spesso con un linguaggio piuttosto oscuro, che confonde i piani del messaggio evangelico e quelli della successiva elaborazione teologico- dogmatica, che non sono affatto la stessa cosa.
Si Parte dall'affermazione che l'uomo è in grado di riconoscere dio come creatore del mondo e interlocutore dell'uomo.
Questa corrisponde all'affermazione tradizionale secondo la quale l'uomo ha la capacità di conoscere dio con la pura ragione.
A corroborare questa affermazione la commissione cita il fatto che dalla filosofia classica a Confucio le culture umane hanno sempre trattato di dio.
Chissà perchè si cita solo Confucio come rappresentante dei “pensatori dell'Oriente”, e Budda, gli scrittori induisti, Zoroastro, eccetera?
Questa dimenticanza è solo la prima di una serie, la commissione cita una volta sola la globalizzazione, ma probabilmente i suoi componenti ,che pure  sono persone provenienti da  tutti i continenti ,non sembra avere affatto chiaro il concetto che l'Asia nel mondo conta per 2/3 e il resto del mondo conta per il rimanente terzo.
Poi viene un'affermazione che da sola affossa ogni possibilità di dialogo fra cattolici e resto del mondo ed è questa : “noi come persone che si sforzano di vivere ...lo spirito e la pratica dell'autentica religione, ci sentiamo profondamente uniti a tutti coloro che custodiscono questo senso del divino”.
Se si parte a dialogare con gli altri (religioni, culture e filosofie) proclamandosi rappresentanti della “autentica religione” è finita, con questa premessa  si può parlare solo ed esclusivamente al proprio interno e solo ai cattolici ,che condividono questa affermazione.
Si tratta infatti di una espressione ferma al Concilio di Trento e a Pio IX.
Lo stesso Papa Benedetto XVI, che ha  nominato questi teologi sarebbe stato molto più accorto nella scelta delle parole.
Segue poi lo sviluppo del concetto teologico tradizionale della conoscibilità di dio da parte dalla ragione naturale, affermando che i miti, le credenze, le devozioni attestano l'esperienza di dio.
L'unicità di dio è stata individuata dalla filosofia come principio della ragione naturale.
La filosofia ha sviluppato il concetto di un' unico dio in modo autonomo rispetto alla rivelazione cristiana.
Questo ,almeno ,la commissione lo riconosce, ma non sembra rallegrarsene né attaccarvisi per sviluppare il discorso.
Anzi a questo punto cominciano le staffilate contro la filosofia moderna, colpevole a quanto pare, di ragionare sulla base del pensiero critico, fondato sulla  libertà di ricerca, invece che sottomettersi all'autorità della rivelazione cristiana, da accettarsi col principio del “prendere o lasciare”, senza se   senza ma.
Si dice infatti che  “la cultura occidentale contemporanea …..tende a privilegiare la pluralità del bene e del giusto ...teorizzando un principio relativistico”.
“La coscienza e il rispetto delle differenze...rappresenta un vantaggio...per la convivenza umana”,...ma lascia emergere una contraddizione, ossia l'incomunicabilità dei mondi umani, così indotti alla sfiducia se non all'indifferenza verso l'impegno”.
“Il relativismo  non costituisce affatto una migliore assicurazione per la pacificazione e la cooperazione dell'umana convivenza....perchè si trasforma in indifferenza  e diffidenza reciproca....perdita di fiducia e di motivazioni....(e conduce) …..al disegno totalitario del pensiero unico”.
E la filippica contro il relativismo prosegue in toni ancora più contro-riformistici :
“la verità, non viene pensata come principio di unità e di unione, che li sottrae  alle loro chiusure egoistiche, indifferenti alla giustizia”.
Anzi,(questa verità) viene indicata come una minaccia radicale
per l'autonomia del soggetto....viene associata  a una pretesa di possesso esclusivo da parte di un soggetto o gruppo umano...essa giustificherebbe così....il dominio e la volontà di potenza (dell'uomo sull'uomo)”.
In poche parole la proclamazione di questa verità (da  parte delle religioni monoteiste)  porterebbe al fondamentalismo religioso.
Sono stato costretto a introdurre parole esplicative  fra parentesi, perché oltre a riproporre concetti triti , antiquati e preconciliari, la commissione lo fa usando un linguaggio spesso confuso e poco comprensibile.
Secondo la commissione la cultura moderna proporrebbe in modo inaspettato il politeismo come un sistema di pensiero “creativo e tollerante”, mentre il monoteismo sarebbe proposto come arcaico.
Il pensiero moderno proporrebbe il monoteismo delle tre grandi religioni ,ebraica cristiana e islamica come “pericolo per la stabilità e il progresso umanistico della società civile”.
Si lamenta quindi il fatto che parte della cultura moderna prenda come bersaglio sopratutto il cristianesimo, quel cristianesimo ,che invece risulta secondo la commissione, come la religione più impegnata nel dialogo di pace “con le grandi tradizioni religiose e con le culture laiche dell'umanesimo”.
Costituisce scandalo per i fedeli ,secondo la commissione, presentare dio come seme di violenza, quando nel sentire del popolo la “coscienza cristiana odierna appare molto lontana dalla predicazione della violenza.....violenza contro i fedeli di altre religioni”.
Poi, la commissione accenna a ricordare  dello “smarrimento dei nostri colpevoli e ripetuti passaggi attraverso la violenza religiosa.....violenza in nome di dio”.
Ma fatto questo brevissimo e limitatissimo cenno di autocritica in non più di due righe, si proclama l'intenzione di dimostrare che il cristianesimo esige “la conversione del nostro spirito e della nostra mente” ….per esplicitare “la ragione della speranza che è in noi”.  E arrivare alla “riconversione della ragione occidentale allo spirito di un umanesimo migliore”.
La commissione passa quindi a criticare la presunta propensione della cultura moderna a rivalutare il politeismo, ritenendolo superiore al monoteismo in base alla convinzione che il monoteismo porti alla violenza, mentre il politeismo sarebbe per natura aperto alla tolleranza.
Critica quindi “l'applicazione metaforica del politeismo religioso alla democrazia civile come antidoto alla violenza, giudicando stravagante un tale modo di pensare sopratutto dal punto di vista storico ,perchè il politeismo non sarebbe stato affatto immune dall'uso della violenza in nome di dio e cita ad appoggio il racconto biblico della persecuzione dell'imperialismo ellenico nei confronti degli ebrei e la persecuzione dell'impero romano contro i cristiani, impero romano che pure era multietnico  e multireligioso.
Critica poi la moderna civiltà secolarizzata che sarebbe vittima di stili di vita ispirati alla violenza.
Dal che la commissione trae la convinzione che se questa società individua nel monoteismo una delle cause della violenza è perché la stessa sarebbe vittima del “pregiudizio  tipico del moderno razionalismo, secondo il quale …..c'è un solo modo per affermare la verità : negare la libertà o eliminare l'antagonista”.
Questo pregiudizio opererebbe in modo diverso verso i tre monoteismi, cioè avrebbe un occhio di riguardo per salvaguardare dalla critica il giudaismo a causa del rimorso per la shoà e quanto all'Islam, la critica che gli viene rivolta  sarebbe il frutto di una “interpretazione in chiave geo-politica , più che teologica”.
La vera vittima dell'accusa del pregiudizio  anti- monoteismo perché portatore di violenza, sarebbe quindi particolarmente il cristianesimo.
“In tale prospettiva, le qualità del cristianesimo che hanno ispirato anche la migliore cultura umanistica  occidentale sono oscurate dalla generale interpretazione della fede come rinuncia alla libertà di pensiero e fanatismo dell'identità”.
L'argomentazione della commissione è veramente poverissima e si riduce al solito ragionamento.
O si accetta la verità assoluta e definitiva proclamata dal cristianesimo, posseduta dalla chiesa, come erede del popolo eletto nella bibbia, nell'interpretazione eccetera ,eccetera, oppure si cadrebbe nel relativismo.
In questa formulazione ,comunissima nelle argomentazioni dei teologi tradizionalisti, si assimila scorrettamente il termine “pluralismo” con il termine “relativismo”, che non sono affatto la stessa cosa.
Negli anni del Concilio si è parlato continuamente di pluralismo, intendendo la possibilità di arricchire il messaggio evangelico con diversi modi e ipotesi per attualizzarlo nel mondo moderno.
Sono talmente improponibili gran parte delle formulazioni tradizionali della dogmatica cattolica, che il cattolicesimo stesso avrebbe molto da guadagnare se potessero circolare diverse formulazioni.
Ma la parte tradizionalista della gerarchia difende coi denti le formulazioni tradizionali , che considera immutabili e di conseguenza combatte sia la libertà di ricerca teologica, sia ogni idea di pluralismo.
O si scioglie questo nodo o ci si avvita in un gorgo nel quale non è in realtà possibile guardare al mondo esterno, preso in considerazione ,solo se questo decide di diventare anche lui interno alla chiesa e il messaggio fondamentale della fratellanza perde qualsiasi consistenza pratica.
Dopo la polemica la commissione avanza la sua “pars construens” indicando quelle che sarebbero gli elementi che dovrebbero far pensare al cristianesimo come a un antidoto alla violenza, che consisterebbe precipuamente “nell'originale ,inedita congiunzione dell'amore di dio e dell'amore del prossimo, ancorata nel dogma dell'incarnazione del figlio di dio per il riscatto e la riconciliazione degli uomini.
Questo dogma sarebbe rimasto nel tempo fisso in “miracolosa continuità” non ostante le pratiche difformi.
E qui siamo ai tipici contorcimenti della teologia cattolica, che prende il nudo e semplice messaggio di fratellanza del vangelo e lo carica della dogmatica cristologica (divinità di Gesù e suo sacrificio per la salvezza dal peccato, resurrezione  che lo farebbe il nuovo Adamo), con la pretesa di averla dedotta dal vangelo, dove in realtà non c'è o non c'è nel senso preteso.
La dogmatica cristologica è fatta da idee inventate da Paolo di Tarso che tutto quello che sa di Gesù di Nazaret lo ha sentito da altri e su queste idee hanno ulteriormente costruito la Patristica, Agostino eccetera.
La commissione poi dice che  “dalla singolarità (di questo dogma) la stessa modernità occidentale si è largamente nutrita e avvantaggiata, quando ha percorso le vie  inedite della dignità personale di ogni singolo e dell'uguaglianza fra gli esseri umani.
Secondo la commissione questa polemica della cultura moderna nei confronti del cristianesimo sul tema della violenza sarebbe sorprendente, proprio quando nella medesima si verifica un “indebolimento nel costume occidentale stesso, del  rispetto per la vita , dell'intimità della coscienza, della tutela dell'uguaglianza, della passione per un impegno etico,...degrado dei valori condivisi, salutato come prezzo della libertà individuale”.
In definitiva vi sarebbe “un indebolimento dell'ethos civile che traeva alimento dalla saldezza della fede cristiana nell'ideale della prossimità.
Viene cioè ripetuta la solita tesi tradizionalista secondo la quale al di fuori del cristianesimo non sarebbe possibile fondare una morale, il che è in palese contraddizione con l'esperienza di ognuno di noi.
Oggi le società occidentali moderne sono laiche e secolarizzate, vivono “come se dio non ci fosse”, ma il rispetto dei diritti umani e la cura dei più sfavoriti sono tutelati come non erano mai stati tutelati e favoriti nelle epoche storiche precedenti, quando il cristianesimo era ben più seguito.
Per di più è storicamente incontrovertibile il fatto che i diritti umani e l'idea di tolleranza sono stati introdotti nei sistemi giuridici per opera delle idee laiche dell'illuminismo e sono invece stati avversati a lungo dalla chiesa del sillabo di Pio IX e successori fino al Concilio Vaticano II.
La commissione poi, dimostrando veramente poco equilibrio di giudizio e di lasciarsi prendere la mano da un palese fastidio per tutto quello che non è chiesa e cristianesimo, afferma che la denuncia contro il monoteismo sarebbe più convincente quando è proclamata nell'ambito dell'ateismo  professato “in difesa della concezione immanentistica e naturalistica dell'umano”.
L'esperienza dell' ateismo di stato avrebbe dimostrato che, se non esiste dio, dinanzi al quale tutti sono uguali, si arriverebbe necessariamente  al delirio dell'onnipotenza dell'uomo, perché “qualcuno o qualcosa...prenderà il posto lasciato vuoto da dio”.
L'uomo che nega dio diverrebbe “un dio perverso” e prevaricatore nei confronti dei suoi simili e questo dio perverso proverrebbe dal peccato fin dall'origine.
Con un secondo accenno di autocritica i teologi della commissione dicono di essere consapevoli del fatto di avere dovuto compiere “un lungo cammino storico di ascolto della parola e dello spirito per purificare la fede cristiana da ogni ambigua contaminazione con le potenze del conflitto e dell'assoggettamento....consci del pericolo sempre ricorrente del degrado nello spirito di dominio e ...(quindi della necessità permanente della ) conversione....(come) stile di vita”.
Attestano quindi che “l'ammonimento nei confronti di un uso dispotico e violento della religione appartiene in modo unico al nucleo originario della rivelazione di Gesù Cristo”.
L'unico dio si fa conoscere nel comandamento dell'amore.
L'autentica fede nel dio unico predica l'unità del genere umano , in vista del riscatto  e del compimento offerti da dio.
E' compito del cristianesimo rendere rigorosa e credibile  la sua testimonianza.....della suprema unità del comandamento (sopra enunciato).
“L'opposizione della rivelazione di Gesù al profilo di una religione che induce separazione e avvilimento fra gli esseri umani  (distingue) l'originalità della fede cristiana “.
“L'unità indissolubile del comandamento evangelico dell'amore di dio e del prossimo stabilisce il grado di autenticità della religione”.
“Nella tradizione della chiesa il principio di questa verità cristologica di dio non si è mai perso”...nonostante il doloroso passaggio attraverso lo scandalo di pratiche difformi”.
“Riteniamo, affermano i teologi della commissione, che la chiesa nell'epoca attuale abbia compiuto un salto irreversibile di qualità nella dottrina e nella prassi ..(nel riconoscimento della contraddizione fra prassi storica e autentica ispirazione”.
Questa (purificazione) rappresenta una utile opportunità di ripensamento della religione  sia per culture secolari tentate dal nichilismo, sia per le altre religioni del mondo tentate dalla chiusura in sé stesse.
Che la chiesa odierna venga percepita come una istituzione che ha superato definitivamente le tentazioni e la prassi del passato di esercitare la violenza in nome di dio, qualsiasi persona ragionevole non avrebbe nessuna difficoltà a riconoscerlo.
Ma la commissione commette due errori imperdonabili :
- non fa alcuna critica storica e quindi sottovaluta in modo inaccettabile il peso per la credibilità attuale della chiesa della prassi storica durata secoli e secoli di uso della violenza in nome di dio;
- sembra di non voler capire che di essere prigioniera di un insolubile errore logico che è questo.
Se la chiesa continua ad arroccarsi sull’affermazione assurda che tutta la teologia dogmatica appartenete alla tradizione sarebbe rimasta in assoluta continuità nella storia e che di conseguenza non essendosi la chiesa mai contraddetta non è, né oggi né mai, possibile cambiare alcun dogma, vogliono spiegare come mai la chiesa nei secoli ha appoggiato tutte le nefandezze contenute nel libro nero della storia della chiesa a postulati dogmatici , che in base al principio di continuità e di non contraddizione sono gli stessi sostenuti oggi?
E’ infantile trincerarsi dietro al ragionamento che la chiesa avrebbe da sempre avuto una dottrina che aborre l’uso della violenza in nome dio, e se lo ha fatto in passato, come lo ha fatto, questa è stata una prassi erronea e contraria a quella dottrina cristallina.
E’ infantile perché questa è una tesi storicamente del tutto insostenibile.
Faccio solo un esempio ovvio : o Pio IX nel sillabo ha scritto un elenco di sciocchezze, fortunatamente superate dalle dichiarazioni sulle stesse materie dal Vaticano II, o è il Vaticano II che  è incorso in errori dottrinali gravi.
Stiamo parlando di formulazioni dottrinali, non di prassi storica.
Non sarebbe più onesto e sensato che i teologi facessero una analisi storica decente e  su questa base individuassero  la insostenibilità delle formulazioni dogmatiche che per esempio avevano ispirato le crociate?
O vogliamo continuare a sostenere il principio della continuità storica e della non contraddizione del patrimonio dogmatico della tradizione?

Ma se così fosse l’argomento che la chiesa oggi è percepita come una istituzione che ha superato l’idea della liceità dell’uso della violenza in nome di dio non avrebbe il minimo valore, perché se il patrimonio dogmatico è sempre quello che aveva supportato teoricamente e ideologicamente le crociate, la chiesa sarebbe nelle condizioni di ricadere negli errori della vecchia prassi.

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