Fra i tanti teatrini televisivi e altrettante
chiacchiere vuote, finalmente un buon libro.
E’ quello che ha scritto Alan Friedman sulla
situazione italiana, giunto in libreria due mesi fa.
Friedman è un giornalista, esperto di economia,
doppiamente interessante, prima di tutto
perché è realmente un esperto, nel senso che ha un curriculum professionale-
accademico del livello dovuto, dalla laurea alla London Scool of Economics, e
studi proseguiti alla NY University ed alla John Opkins, e poi un’ attività
professionale che può elencare quindici anni al Financial Times, e
successivamente all’Herald Tribune , radio e televisioni anglosassoni e
italiane.
Interessante, poi, perché è un americano, che da
anni ha scelto di vivere in Italia, cioè è uno che l’Italia la conosce
veramente, perché ci vive da tempo e non la vede solo da una camera d’albergo,
come fanno molti corrispondenti esteri, che per superficialità non fanno altro
che ripetere i soliti luoghi comuni.
Leggendo il suo libro, si apprende che i nostri
protagonisti della politica e dell’economia li frequenta e li intervista da decenni.
Ne viene fuori un ritratto del nostro paese, visto dal di
dentro, ma con gli occhi di un americano, cioè di uno uno, che ci capisce bene,
perché ci conosce bene, ma che è stato educato in un universo culturale diverso,
e che, quindi ,certe cose, che sono poi
i vizi nazionali, che rischiano di farci affondare, proprio non le digerisce.
Centratissimo il titolo - slogan del libro sul “gattopardo”,
cioè l’icona di quei vizi ai quali si è appena accennato :” fare finta di
cambiare per lasciare le cose come sono”.
La cosa sorprendente, è che, dopo trecento pagine di analisi della recente
storia politico- economica italiana, il
lettore capisce che Friedman ha individuato il nome e cognome di colui, che
ritiene essere il “gattopardo” della
prima e della seconda repubblica.
Che non è ovviamente il Principe di Salina, ma non
è nemmeno quello, che tutti si aspetterebbero che venisse indicato, come l’artefice
di tutte le malefatte, cioè il solito Silvio Berlusconi.
Il vero gattopardo, la vera anima nera, che ha
fatto più danni di tutti negli ultimi decenni di stagnazione, per Friedman, è
invece “baffetto”, proprio lui, Massimo D’Alema, esponente e personaggio
emblematico dell’Italia, che non vuole cambiare mai nulla.
Alleato di ferro, da sempre, di Silvio Berlusconi,
ma ancora più dannoso dell’ex Cavaliere.
Capisco che non va bene rivelare il nome del
colpevole a chi viene invitato e leggere un giallo, ma ho rivelato quel nome, perché
questo fa capire qual è la chiave di lettura del libro, che chiaramente non è conformistica,
è diversa da quelle che abbiamo visto in mille altre analisi sullo stesso tema.
Detto questo, invito il lettore ad andare a leggersi, in un momento
di calma, quello che ritengo la chicca, anche dal punto di vista letterario, di
tutto il libro, cioè il capitolo dedicato
proprio all’intervista a Massimo D’Alema, che avviene,
non nello studio della sua Fondazione romana ,non al PD o a casa sua, ma, la scelta è
felicissima, avviene nel non modesto podere, che l’ex segretario nazionale
della Federazione Giovanile Comunista a metà anni 70, quando segretario
nazionale del partito era Enrico Berlinguer, si è comprato in Umbria, per
produrvi champagne rosè, della qualità più rara e pregiata, servendosi degli
stessi enologi, che hanno reso servizi analoghi al finto nemico Silvio.
Altro che il buon “cachemir” Bertinotti, questo
baffetto li batte tutti per incoerenza verso un presunto credo di sinistra.
D’Alema, per la verità, anche prima che questo libro
di Friedman fosse scritto, è sempre stato indicato, sotto traccia o apertamente,
come l’esponente politico italiano, che riporta quasi unanimemente l’oscar della
antipatia, per certi suoi tratti caratteriali inconfondibili : sicumera,
arroganza, narcisismo nemmeno camuffato, convinzione di essere per definizione
il migliore, non confrontabile col resto del mondo per superiorità antropologica.
La descrizione di Friedman sulla sua visita al
casale umbro di questo personaggio, pur essendo condotta con toni molto educati
e rispettosi, non risparmia però pennellate, che fanno temere la presenza di
tratti francamente inquietanti, come quando descrive l’ingresso per il quale
devono passare tutti, padroni, collaboratori ed ospiti.
Non c’è una doppia fila gentile di fiori o di piante
ornamentali, ma viene descritta una doppia fila di gabbie, che ricoverano cani
corsi da guardia, dei quali il padrone mette in evidenza la dentatura e la
postura aggressiva.
Francamente, leggendo queste pagine, sono subito
andato ai richiamo letterari, che portano al famoso castello dell’Innominato manzoniano.
Non è un complimento.
Non parliamo dei soffusi commenti, che l’autore
lascia trasparire sul senso dell’intervista, tra l’altro non breve.
Aria fritta nella sostanza, monologhi di fatto, volti solo a esaltare l’ego
dell’autore , apparentemente incapace di sfuggire al delirio dell’autoincensamento,
pur trattandosi, inconfutabilmente, una persona colta e di grande intelligenza.
Friedman, questo, riesce a evidenziarlo bene e
infatti D’Alema non ne esce per niente come un teatrante buffoncello, non dico come chi, ma piuttosto, come una
figura tendenzialmente tragica, un uomo dotato probabilmente e reamente di numeri non comuni, ma incapace di
liberarsi da un narcisismo, che lo umilia.
Fatto sta, che il risultato fattuale è quello che
è.
Beninteso, nel libro di Friedman c’è anche molto
altro di interessante.
Una lucida analisi della situazione, dalla quale
seguono altrettanto lucide diagnosi e prognosi.
Per farla breve questo è il succo : “o vi decidete
a uccidere il gattopardo o per l’Italia è finita”.
Perché l’Italia
non è la Grecia, e quindi se cade l’Italia si tira dietro se non l’economia
mondiale, quasi.
E non sarebbe solo un problema di soldi, che
finirebbero per tutti, ma sarebbe anche un gravissimo problema di isolamento,
rancore e odio, che ci tireremmo addosso per il disastro provocato.
Quindi, saremmo in tempo, ma appena appena e se ci
diamo una mossa subito, ma subito, non domani.
Friedman ha anche il raro coraggio di azzardare un
dettagliato e coerente elenco di misure da prendere.
Le famose riforme, alcune delle quali rientranti
fra quelle annunciate e promesse da Renzi, altre, come le proposte misure per
ridurre il debito ,vero problema dei problemi, del quale però in politica non
si parla mai, originali, coerenti e per niente strampalate.
Come sempre, manca in Italia una cosa sola, che
però è fondamentale e distingue uno statista vero da un gattopardo : la volontà
politica, supportata da una visione a lungo periodo.
Friedman sembra dare a Renzi parecchio credito e a
Grillo quasi nessuno.
In questo mi permetto di dissentire in modo deciso,
perché la penso esattamente al contrario.
Poi nel libro ci sono anche tutti gli altri
personaggi salienti della vita italiana, che però Friedman sembra considerare, in
questa situazione, più comparse che protagonisti o comprimari e su questo sono
d’accordo con lui.
Insomma sono trecento pagine spese bene, alcune
delle quali godibilissime, anche per chi non bazzica volentieri in terreno
economico.
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