giovedì 17 aprile 2014

Potete farcela, ma solo se uccidete il gattopardo



Fra i tanti teatrini televisivi e altrettante chiacchiere vuote, finalmente un buon libro.
E’ quello che ha scritto Alan Friedman sulla situazione italiana, giunto in libreria  due mesi fa.
Friedman è un giornalista, esperto di economia, doppiamente  interessante, prima di tutto perché è realmente un esperto, nel senso che ha un curriculum professionale- accademico del livello dovuto, dalla laurea alla London Scool of Economics, e studi proseguiti alla NY University ed alla John Opkins, e poi un’ attività professionale che può elencare quindici anni al Financial Times, e successivamente all’Herald Tribune , radio e televisioni anglosassoni e italiane.
Interessante, poi, perché è un americano, che da anni ha scelto di vivere in Italia, cioè è uno che l’Italia la conosce veramente, perché ci vive da tempo e non la vede solo da una camera d’albergo, come fanno molti corrispondenti esteri, che per superficialità non fanno altro che ripetere i soliti luoghi comuni.
Leggendo il suo libro, si apprende che i nostri protagonisti della politica e dell’economia li frequenta  e li intervista da decenni.
Ne viene fuori  un ritratto del nostro paese, visto dal di dentro, ma con gli occhi di un americano, cioè di uno uno, che ci capisce bene, perché ci conosce bene, ma che è stato educato in un universo culturale diverso, e  che, quindi ,certe cose, che sono poi i vizi nazionali, che rischiano di farci affondare, proprio non le digerisce.
Centratissimo il titolo - slogan del libro sul “gattopardo”, cioè l’icona di quei vizi ai quali si è appena accennato :” fare finta di cambiare per lasciare le cose come sono”.
La cosa sorprendente, è che, dopo  trecento pagine di analisi della recente storia politico- economica italiana,  il lettore capisce che Friedman ha individuato il nome e cognome di colui, che ritiene essere  il “gattopardo” della prima e della seconda repubblica.
Che non è ovviamente il Principe di Salina, ma non è nemmeno quello, che tutti si aspetterebbero che venisse indicato, come l’artefice di tutte le malefatte, cioè il solito Silvio Berlusconi.
Il vero gattopardo, la vera anima nera, che ha fatto più danni di tutti negli ultimi decenni di stagnazione, per Friedman, è invece “baffetto”, proprio lui, Massimo D’Alema, esponente e personaggio emblematico dell’Italia, che non vuole cambiare mai nulla.
Alleato di ferro, da sempre, di Silvio Berlusconi, ma ancora più dannoso dell’ex Cavaliere.
Capisco che non va bene rivelare il nome del colpevole a chi viene invitato e leggere un giallo, ma ho rivelato quel nome, perché questo fa capire qual è la chiave di lettura del libro, che chiaramente non è conformistica, è diversa da quelle che abbiamo visto in mille altre analisi sullo stesso tema.
Detto questo, invito  il lettore ad andare a leggersi, in un momento di calma, quello che ritengo la chicca, anche dal punto di vista letterario, di tutto il libro, cioè  il capitolo dedicato
proprio all’intervista a Massimo D’Alema, che avviene, non nello studio della sua Fondazione romana ,non  al PD o a casa sua, ma, la scelta è felicissima, avviene nel non modesto podere, che l’ex segretario nazionale della Federazione Giovanile Comunista a metà anni 70, quando segretario nazionale del partito era Enrico Berlinguer, si è comprato in Umbria, per produrvi champagne rosè, della qualità più rara e pregiata, servendosi degli stessi enologi, che hanno reso servizi analoghi al finto nemico Silvio.
Altro che il buon “cachemir” Bertinotti, questo baffetto li batte tutti per incoerenza verso un presunto credo di sinistra.
D’Alema, per la verità, anche prima che questo libro di Friedman fosse scritto, è sempre stato indicato, sotto traccia o apertamente, come l’esponente politico italiano, che riporta quasi unanimemente l’oscar della antipatia, per certi suoi tratti caratteriali inconfondibili : sicumera, arroganza, narcisismo nemmeno camuffato, convinzione di essere per definizione il migliore, non confrontabile col resto del mondo per  superiorità antropologica.
La descrizione di Friedman sulla sua visita al casale umbro di questo personaggio, pur essendo condotta con toni molto educati e rispettosi, non risparmia però pennellate, che fanno temere la presenza di tratti francamente inquietanti, come quando descrive l’ingresso per il quale devono passare tutti, padroni, collaboratori ed ospiti.
Non c’è una doppia fila gentile di fiori o di piante ornamentali, ma viene descritta una doppia fila di gabbie, che ricoverano cani corsi da guardia, dei quali il padrone mette in evidenza la dentatura e la postura aggressiva.
Francamente, leggendo queste pagine, sono subito andato ai richiamo letterari, che portano al  famoso castello dell’Innominato manzoniano.
Non è un complimento.
Non parliamo dei soffusi commenti, che l’autore lascia trasparire sul senso dell’intervista, tra l’altro non breve.
Aria fritta nella sostanza,  monologhi di fatto, volti solo a esaltare l’ego dell’autore , apparentemente incapace di sfuggire al delirio dell’autoincensamento, pur trattandosi, inconfutabilmente, una persona colta e di grande intelligenza.
Friedman, questo, riesce a evidenziarlo bene e infatti D’Alema non ne esce per niente come un teatrante buffoncello,  non dico come chi, ma piuttosto, come una figura tendenzialmente tragica, un uomo dotato probabilmente e  reamente di numeri non comuni, ma incapace di liberarsi da un narcisismo, che lo umilia.
Fatto sta, che il risultato fattuale è quello che è.
Beninteso, nel libro di Friedman c’è anche molto altro di interessante.
Una lucida analisi della situazione, dalla quale seguono altrettanto lucide diagnosi e prognosi.
Per farla breve questo è il succo : “o vi decidete a uccidere il gattopardo o per l’Italia è finita”.
Perché  l’Italia non è la Grecia, e quindi se cade l’Italia si tira dietro se non l’economia mondiale, quasi.
E non sarebbe solo un problema di soldi, che finirebbero per tutti, ma sarebbe anche un gravissimo problema di isolamento, rancore e odio, che ci tireremmo addosso per il disastro provocato.
Quindi, saremmo in tempo, ma appena appena e se ci diamo una mossa subito, ma subito, non domani.
Friedman ha anche il raro coraggio di azzardare un dettagliato e coerente elenco di misure da prendere.
Le famose riforme, alcune delle quali rientranti fra quelle annunciate e promesse da Renzi, altre, come le proposte misure per ridurre il debito ,vero problema dei problemi, del quale però in politica non si parla mai, originali, coerenti e per niente strampalate.
Come sempre, manca in Italia una cosa sola, che però è fondamentale e distingue uno statista vero da un gattopardo : la volontà politica, supportata da una visione a lungo periodo.
Friedman sembra dare a Renzi parecchio credito e a Grillo quasi nessuno.
In questo mi permetto di dissentire in modo deciso, perché la penso esattamente al contrario.
Poi nel libro ci sono anche tutti gli altri personaggi salienti della vita italiana, che però Friedman sembra considerare, in questa situazione, più comparse che protagonisti o comprimari e su questo sono d’accordo con lui.

Insomma sono trecento pagine spese bene, alcune delle quali godibilissime, anche per chi non bazzica volentieri in terreno economico. 

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