Filadelfia
Ieri sera, martedì 1 aprile su la7 è andato in onda un film
classico, di quelli che fanno la storia del cinema.
Filadelfia è un film del 1993, che ha vinto due Oscar e una sequela
di altri Award l'anno successivo.
Quando si parla di un film, viene spontaneo, per prima cosa,
indicare la trama, anche se per opere di questo livello la trama è solo un pretesto per andare oltre, cioè arrivare a una vera e propria creazione artistica.
Benedetto Croce, nella sua estetica, diceva che si arriva a
creare un'opera d'arte quado si è capaci di raggiungere gli universali.
Ebbene questo film ci riesce.
La storia è presto detta : un giovane brillantissimo avvocato
viene associato al board del più importante studio legale di Filadelfia,
proprio in ragione della sua bravura e della sua dedizione.
Ma a un certo punto i soci ,gli avvocatoni più anziani, intuiscono che quel ragazzo
probabilmente ha l'Aids, e, peggio ancora, deducono che se ha l'Aids è perché,
ancora probabilmente, ha contratto la peste del secolo perché è omosessuale e
presi dal panico lo licenziano con una scusa.
Il giovane avvocato sa che quel male era allora del tutto
incurabile ed essere sicuri di averlo significava avere non più di pochi mesi
di vita, e di vita grama.
Ma la sua passione per la giustizia lo spinge a cercare di
fare causa alla sua ex ditta, per far condannare comportamenti discriminatori
sul lavoro e ristabilire così un principio sacrosanto.
Da questa vicenda viene fuori come sia contraddittoria, ma
allo stesso tempo veramente grande l'America, inarrivabile per noi.
Un paese nel quale era, ed in gran parte è ancora,
diffusissimo il pregiudizio e il fondamentalismo religioso evangelico e
cattolico tradizionalista, che induce a leggere la bibbia prendendo alla
lettera le sue affermazioni, comprese quelle sui costumi di una società
pastorale di tremila anni fa, quale è quella descritta nella bibbia.
Ma questo fondamentalismo deve lottare e confrontarsi tutti i giorni con l'abitudine
altrettanto salda e incarnata nella storia di quel paese, al pensiero critico,
alla tolleranza ed alla laicità.
Questo processo viene bene portato avanti dall' avvocato, che dopo molte perplessità, decide di fare
causa al grande studio legale per
conto del giovane licenziato.
Costui è un americano medio di quegli anni, perfettamente
omofobo, cioè consapevole di portarsi dietro un fortissimo pregiudizio
anti-gay, che si manifesta in disgusto istintivo, dovuto a un'educazione basata
su pregiudizi e sulla non conoscenza della situazione gay, e che quindi, per
sostenere in giudizio il suo cliente, deve passare per tutto un percorso
personale di autoistruzione e di conoscenza, che prima non aveva.
Ma Filadelfia non è, se non in piccola parte, un film di
costume o di lotta per l'affermazione di più completi diritti civili.
La parte più alta del film è la narrazione dell'esperienza di
una persona, che sa di stare per morire e che lotta strenuamente in una
posizione di evidente debolezza psichica e fisica, per la giustizia, non solo e
non tanto perché ha la passione dell'uomo di legge, che ha sempre creduto nella
bellezza della sua professione.
Ma soprattutto è un uomo, che nel momento della massima
debolezza ha la cultura per trovare da laico e da solo la via per affrontare il
problema dei problemi.
Non cerca conforto nei miti delle religioni, così a portata
di mano in quella società americana, prevalentemente evangelica fondamentalista
e miracolista.
Non ha bisogno del
conforto nelle fedi religiose, perché la sua cultura laica gli da conoscenze ed
esperienze interiori, più elevate, più salde e più verificabili di quelle.
Quei formidabili minuti di estasi- delirio, quando il
protagonista, interpretato da un Tom Hanks, qui a livelli di recitazione
shakespeariana, ascolta o meglio rivive, come se fosse la sua ,l'esibizione
,anche questa inarrivabile, di una Callas nell'aria :” io sono dio, io sono
l'amore”, nell'Andrea Chenier di Umberto
Giordano.
Lo spettatore viene portato almeno ad intuire, che esiste
un'esperienza dell' ”oltre”, dove tutto si spiega e dove l'uomo ritrova la sua
dimensione più alta ed appagante.
E' la dimensione ricercata dai mistici di tutti i tempi, così come dai pensatori e dagli artisti, quando
raggiungono la fase della creazione.
E' raro che un film raggiunga ,o almeno proponga, esperienze
così ambiziose e così elevate.
Se la cosa è riuscita, è merito di Tom Hanks, che ha saputo
essere credibile in momenti di recitazione di grande intensità, ma anche della
geniale trovata dell'autore e del regista di appoggiarsi in quei momenti ad una musica ed a una
cantante formidabili, capaci far fare una grande esperienza spirituale.
Ed allo spettatore passa il messaggio che il protagonista
lotta fino all'ultimo perché non ha più paura della morte, per il fatto che ha
già dentro di sé l'esperienza dell' “oltre”.
Altro che film d'evasione.
Questo è senza dubbio un film impegnativo, che uno non guarda
perché non sa come passare il tempo diversamente, ma sono questi i film che
arricchiscono, non la massa abituale, che passa come l'acqua, senza lasciare nulla.
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