giovedì 11 dicembre 2014

In uno sceneggiato televisivo l’ultima riuscita ricerca di Liliana  Cavani su Francesco d’Assisi



Viene spontaneo chiedersi come mai una intellettuale laica, come la Cavani sia  stata talmente intrigata dalla personalità storica di Francesco d’Assisi da essere arrivata a condurre  una lunga ricerca pervenuta, con lo sceneggiato appena trasmesso da Rai 1, ben al terzo film a lui dedicato.
Ma non è  difficile rispondere al quesito, posto sopra.
Quasi al termine della prima puntata dello  sceneggiato del quale stiamo parlando, la risposta me l’ha fornita Bruno Vespa quando annunciava la sua imminente puntata di Porta a Porta, tutta dedicata a Medjugorie  e dintorni.
Vespa, con la sua usuale disinvolta furbizia, sembrava dire ai telespettatori : seguitemi fra dieci minuti e vedrete come vi farò commuovere.
Ebbene, la chiave di lettura della Cavani, che viene da una cultura diversissima rispetto a quella di Vespa, vuole rappresentare esattamente il contrario : guardate  il mio film e vedrete come vi farò ragionare.
La ragione, contro la  fede miracolistica.
Il Francesco della Cavani, che ritengo corrisponda fortemente a quello storico, non vuole  fare commuovere nessuno, ma invece vuole convincere.
Convincere del fatto che è possibile tornare a riproporre il messaggio  nudo  del fondatore del cristianesimo, sfrondandolo dal peso di  montagne di teologia dogmatica  ed altrettante montagne di errori e infedeltà commessi dai suoi chierici e dalle sue gerarchie, che lo hanno stravolto, rendendo la chiesa sempre meno credibile e svuotando le chiese.
La storia è arcinota e quindi bene ha fatto la Cavani a conservare un canovaccio minimale, ma a costruire il film approfondendo solo gli episodi, che sono la colonna portante dell’eredità di Francesco.
Mi ha colpito molto l’interpretazione che la Cavani ha fatto dare da Francesco stesso a un seguace che si disponeva ad andare riluttante e pieno di vergogna a predicare in un ambiente nel quale era ben conosciuto, al fattore della nudità.
L’interpretazione del fatto più eclatante delle varie storie di Francesco :il ricorso volutamente provocatorio alla nudità.
A chi si presenta senza abiti arriva immediatamente la reazione sbeffeggiante di amici a conoscenti : ma sei matto? Credi di essere bello?
La provocazione, pur essendo forte, ha una sua ragion d’essere radicale e innegabile, è forse la metafora più efficace per dire a tutti, io sono uguale e te e tu sei uguale a me.
I vestiti, sono invece la metafora  di ceto e cultura che ci dividono.
Ma senza i vestiti, che a quell’epoca, molto più di oggi, qualificavano le divisioni, siamo tutti umani  allo stesso modo ed in modo evidente, come era all’inizio dei tempi.
Francesco doveva trovare il modo per parlare di fratellanza in modo radicale.
La chiesa nelle liturgie ufficialmente predicava anche allora come sempre anche la fratellanza, ma la pratica era esattamente il contrario, di quella proclamazione.
Le gerarchie erano corrotte e dedite ad arricchire le loro famiglie nobiliari, per altro già ricche e potenti.
I preti facevano  i loro affari, sbrigavano le liturgie e facevano più gli impiegati del potere politico che i pastori dediti alla sorte ed  al benessere delle loro greggi.
In altre parole non erano più per niente credibili e la gente si lasciava andare al ritorno al miracolismo animistico ancestrale, se pure furbescamente battezzato dai riti cristiani.
Il messaggio evangelico era contraddetto tutti i giorni prima di tutto dai suoi chierici, che pure dovevano essersi resi conto che avevano portato la  chiesa a uno dei punt i più bassi  della storia.
Era quindi difficilissima la vita anche per i robusti e determinati visionari come Francesco, che quel messaggio volevano ripresentare nella sua semplice nudità.
Avevano di fronte un muro per niente disposto a mettere in discussione i propri privilegi, potere  e ricchezze, accumulati in completo disprezzo di quel messaggio.
Immaginiamoci andare dalla curia romana a parlare di povertà.

Era una follia, era la parola che proprio non volevano sentire pronunciare.
E, in effetti, la battaglia a favore della povertà, Francesco storicamente l’ha persa e non poteva essere diversamente, perché il  sistema non poteva consentire che nemmeno un piccolissimo ramo della  chiesa vivesse  in assoluta povertà, perché quello sarebbe stato un atto d’accusa permanente nei  confronti delle ricchezze delle gerarchie  e dei chierici e ancora di più sarebbe stato un mettere  in discussione la struttura del potere e della  società, alla quale struttura la chiesa faceva da guardiana in quanto sistema di controllo delle coscienze, per conto del potere civile e del suo.
Anche un  minimo esponente della chiesa non poteva andare in giro vestito da straccione o dormire in una capanna, perché quello stesso comportamento avrebbe messo in discussione il potere del sistema.
E questo infatti disputavano i cardinali quando Francesco si era convinto di dovere andare dal papa a Roma a  chiedere una sua autorizzazione.
Senza di quella sarebbe stato considerato un  eretico a rischio della vita stessa.
L’autorizzazione in realtà non c’è mai stata, perché la regola poi approvata non era quella di  Francesco, ma quella di Elia, che Francesco non condivideva e bene a fatto la Cavani a non nascondere il sostanziale fallimento di Francesco su questo punto.
L’ordine francescano si è storicamente costituito su regole addomesticate, che stravolgevano il pensiero di Francesco, ma quello era il prezzo da pagare per la  sua sopravvivenza.
O così o sul rogo.
Molto efficace la scelta della Cavani di  accentuare con un importantissimo dettaglio visivo e di abbigliamento  la differenza fra  i vestiti  da straccione o da pastore dei discepoli più stretti di Francesco e quelli invece dei conventuali che portavano il loro saio ben ordinato ed uguale per tutti.
Conventuali che parlavano già un’altra lingua Francesco vivente, quando, per esempio, gli dicono : noi dobbiamo parlare anche ai colti e per parlare con loro debbiamo studiare sui libri e parlare latino.
Ecco il salto che Francesco, fosse stato per lui non avrebbe mai voluto fare.
Lui voleva che si facesse riferimento solo al Vangelo e senza commenti.
Passare allo studio ed all’uso della teologia, la vedeva come una forma di tradimento della purezza del messaggio.
Ma questo concetto era assolutamente irricevibile per la gerarchia, esattamente come irricevibile era quello della povertà.
Perché la teologia dogmatica era usata per scardinare il messaggio originario a favore del potere della gerarchia.
Ed anche questa battaglia del solo Vangelo nudo, Francesco, storicamente, l’ha persa completamente, e quindi giusto e doveroso era metterlo in evidenza, contrariamente a quello che fanno le  ricostruzioni zuccherose della vita di Francesco, fatte per commuovere e non per far capire chi era stato veramente quel personaggio.
Mi ha colpito parecchio anche l’episodio di Francesco che scappa a gambe levate  quando vede per la prima volta la folla che si era radunata per vederlo e sentirlo parlare.
Bellissimo. Come il Gesù storico, suo riferimento  assoluto, Francesco ha temuto e aborrito la tentazione del potere.
Come il Gesù storico, Francesco era uomo dotato di forte carattere e di evidente carisma.
Facile fare il capo-popolo con quelle caratteristiche.
Solo che la gestione  del potere  era tutto il contrario di quello che Francesco voleva fare, non sfuggiva alle responsabilità di guidare i seguaci, ma temeva come la peste la istituzionalizzazione del potere.
E, tanto per cambiare, anche questa battaglia il Francesco storico l’ha persa, ma non si può negare che anche quella l’abbia combattuta e con determinazione.
Immagino l‘estrema difficoltà per una sofisticata intellettuale laica come la Cavani trovarsi nella necessità di dover parlare dell’indicibile, come è l’argomento delle stimmate.
Lo fa in modo misurato e con il taglio giusto, quando fa dire a Chiara, che constata l’evento : ecco, lo ha tanto amato, che ha voluto essere uguale a lui, anche in questo.
E’ il modo giusto che non è quello di imporci di credere a un prodigio, a un miracolo oggettivo, che per chi crede  nel primato della ragione non esiste.
Ci presenta un fatto : Francesco è soggettivamente testimone di una situazione che desidera e che accetta.
Non è necessario che gli altri credano.
Molto interessante la continua dialettica  Francesco – Elia (amico, consigliere, avvocato che tiene i rapporti coi  potenti e che materialmente redige la regola che sarà approvata).
Il fondatore da una parte  e il futuro capo, che istituzionalizzerà un movimento, che il fondatore non desiderava affatto istituzionalizzare.
Sembra proprio di ripercorrere la storia della chiesa  primitiva : Gesù, il  fondatore, che non amava istituzioni , potenti e ricchi, e che  secondo molti storici non ha  mai, in realtà, fondato nessuna chiesa e il fondatore effettivo della chiesa cattolica, come istituzione  : Paolo di Tarso.
Il secondo che, in buona fede quanto si vuole, tradisce in gran parte il messaggio originario.
Un’ultima annotazione.
La Cavani, accentua per la prima volta la promiscuità fra  i seguaci originari di Francesco, che fossero maschi o che fossero donne, in nome del principio cardinale  del  francescanesimo che è quello della fratellanza, che non può fare distinzioni nemmeno di genere.
Questa era senza dubbio l’intenzione originaria di Francesco.
Mai prima c’erano state ricostruzioni, che pure con sobrietà e delicatezza abbiano saputo illustrare quali situazioni  si sarebbero create in pratica.
Molto bene h fatto la Cavani a provare a descriverle quelle situazioni, perché anche quella promiscuità era estremamente coerente al francescanesimo.
L’istituzione chiesa gerarchica ha naturalmente fatto perdere a Francesco anche questa estrema battaglia, ma è giusto mettere bene in evidenza il fatto che lui l’aveva fatta e  che il tempo e la storia gli hanno dato pienamente ragione, anche in questo campo, facendoci apparire ancora più straordinaria la  testimonianza storica di Francesco d’Assisi.
Come abbiamo visto la storia ha riservato una sorte molto singolare a Francesco,
Questo  uomo ha formalmente perso tutte le battaglie, che ha combattuto  con determinazione nella sua vita, ma ha vinto la guerra, nel senso, che la gente nel corso dei  secoli lo ha percepito e lo percepisce tuttora come il mortale che ha fatto di più per avvicinarsi e riproporre la figura e il messaggio del fondatore del cristianesimo.





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