Cosa hanno in comune Papa Francesco ed Angelo Scola?
Di papa Bergoglio si parla parecchio.
Probabilmente è avvertito come l’unico leader mondiale di caratura adeguata alla sua carica, gli altri sono avvertiti invece o come leaderini, inadeguati da sempre, o astri sulla via del tramonto.
Probabilmente è avvertito come l’unico leader mondiale di caratura adeguata alla sua carica, gli altri sono avvertiti invece o come leaderini, inadeguati da sempre, o astri sulla via del tramonto.
Di Bergoglio non stupisce la
carica di novità, perché questa anzi è la ragione del suo successo, ma
piuttosto colpisce l’astio, la
cattiveria, la slealtà del fronte, che si è formato negli ambienti curiali per ostacolare il suo
lavoro di pulizia e di rinnovamento.
Le chiese da decenni si svuotano progressivamente perché la
gente ha avvertito ed avverte i fatto che la chiesa-istituzione non sa più parlare all’uomo moderno, perché
non va più dove la gente medesima pensa, che la
dovrebbe portare il messaggio originario del suo fondatore, ma è tutta impegnata
in sostanza a difendere il proprio
potere di casta, se non in molti casi, di setta.
Gli scandali ricorrenti a sfondo sessuale e finanziario hanno poi non poco contribuito a screditare
l’istituzione.
Papa Francesco è arrivato dal Sud America portando uno stile
del tutto nuovo e contro corrente.
Povertà e servizio sono le parole chiave del nuovo
pontificato.
Totalmente indigeste per chi era abituato a identificare il
suo ruolo nelle istituzioni clericali come un mezzo per legittimare agi e spesso lussi indecenti e
indecorosi, spesso accompagnati a vizi
praticati in modo sistematico.
La reazione alla novità di papa Francesco era ovvio che ci
sarebbe stata.
Del resto ,come molti commentatori ricordano, la stessa cosa
si era verificata quando i medesimi ambienti di curia, negli anni ’60, si sono trovati davanti alla
novità inaspettata di un Giovanni XXIII, che diceva cose per loro insensate.
Anche c’era sorpresa e disappunto, ma mi sembra che, il
capofila dell’opposizione di allora a
papa Giovanni, che era stato il vecchio
e mal ridotto Card. Ottaviani, prefetto del Sant’Uffizio, rappresentasse più un
sussulto di medio evo, espresso in assoluta buona fede, state la sua formazione
ed universo culturale, che non una fazione
di potere stle ed astiosa.
Oggi le ragioni del potere mi sembrano molto più
evidenti di allora.
C’è prima di tutto l’astio per il potere perso o non mai pervenuto, come si riscontra nelle
posizioni del pontefice mancato, Angelo
Scola, che imprudentemente, aveva sopravvalutato quanto gli sussurrava, fino a
convincerlo, una cordata che si era formata in suo favore prima e poi durante
l’ultimo conclave.
Come si è detto sopra, anche ai tempi del concilio, era risultata evidente la
divisione in anime diverse e contrapposte all’interno della chiesa, anche se
allora, negli ambienti clericali, la trasparenza non era ancora ed affatto
considerata una esigenza virtuosa
e quindi le cose raramente venivano fuori subito.
Anche allora però, ad esempio, era possibile ad un certo punto consultare le due linee
teologiche del tutto divergenti riportate in due riviste : quella
“progressista” costituita da “Concilium”
dove scrivevano Congar, Kueng, Rahner, Shillebeeck, le vere menti del
rinnovamento teologico, e quella ultra-tradizionalista
“Renovatio”, dove scrivevano Siri, Baget Bozzo e poi la tradizionalista
classica “Communio” un po’ più pacata di
Joseph Ratzinger.
Anche allora Siri si sentiva, e storicamente era, il papa
mancato.
Allora però, obiettivamente, il movimento del rinnovamento
era ben più radicale e radicato.
Oggi moltissimi non ricordano nemmeno più il fervore delle
“comunità di base”, si pensi all’Isolotto a Firenze.
C’era una miriade di circoli intellettuali, che editavano la loro rivistina.
C’era una sperimentazione liturgica, che faceva trasalire.
E, purtroppo, ci fu un
papa che ebbe sì il merito di salvare il salvabile del Concilio,
ma che per età e formazione fu, prima, spaventato dal movimento di rinnovamento
e poi fu letteralmente terrorizzato dall’idea di trovarsi a non riuscire più a
controllare quanto gli si muoveva
intorno.
L’idea forse più radicale erivoluzionaria di
quel Concilio, quella dell’accettazione
di un pluralismo teologico e liturgico,
fu bloccata, anche con durezza da Paolo VI, finendo di fatto qualificata
come eretica.
Oggi c’è il papa rinnovatore, ma purtroppo però, rispetto ad
allora, il gregge si è nel frattempo paurosamente assottigliato.
Le parrocchie
languono, salvo laddove forniscono servizi,
per altro utilissimi, che lo
stato e la società civile non sanno
provvedere ( luoghi di
aggregazione per i giovani, attrezzature sportive e per la gestione del
tempo libero, oltre ad assistenza sociale vera e propria).
Ma il “mondo cattolico” soprattutto a livello di intellettuali è praticamene scomparso.
I “movimenti”, non certo in crescita, nemmeno loro, rappresentano
sempre più sette auto-referenziali che
parti di una chiesa.
In questo auditorio, divenuto vuoto, risuona la voce
organizzata dell’opposizione a papa
Francesco.
I preti di strada e i pochi parroci attivi non hanno bisogno
di nessun auditorium perché sono bravi a
tirarsi su le maniche più che a parlare.
Per la verità, non è un gran che il discorso dei vari Scola
e compagni di cordata, ma facciamo uno sforzo per individuarne le linee.
Scola ha dato una lunga intervista al Corriere, ed in
particolare al patinatissimo Aldo Cazzullo, dove è stato
esplicito, nella misura i cui sa
essere esplicito e sincero, un cardinale
nelle sue condizioni, col suo passato e con il
suo bagaglio culturale, cioè non lo è
stato affatto.
Scegliere, come ha fatto Scola in quella intervista, di
affermare di essere sicuro che papa
Francesco si opporrà alla comunione ai
divorziati, significa ricorrere a un
vecchio armamentario dialettico-
retorico, perché con tutta evidenza con quell’affermazione voleva dire altro e
cioè voleva lanciare un ricatto e un alto là, rivolti al papa
medesimo.
E’ come se avesse detto al papa : ti avvertiamo, guarda che un papa non può permettersi di
contraddire alla dottrina tradizionale della chiesa sul matrimonio e quindi come papa sei obbligato ad opporti
alla comunione ai divorziati.
Quello che irrita e spaventa, da parte di questi, che sono
pure uomini di chiesa, non è la mancanza
di argomenti spendibili, quando riducono il cristianesimo a una elencazione di norme di
divieto, basate sulla presunta autorità
di una rivelazione, tutta da sostenere e da interpretare con l’impiego dell’ermeneutica.
Avevamo già parlato su questo argomento abbastanza diffusamente in un articolo
precedente (19 settembre 14) trattando del libro dei cinque cardinali (Muller, Burke,
Caffarra, Brandmuller, De Paolis) diretto a bloccare proprio la proposta della
comunione ai divorziati e quindi per l’esposizione e la confutazione di
quelle tesi, rimando il lettore all’articolo sopra-citato.
Quello che mi preme sottolineare adesso è la penosa impressione che da la totale
mancanza di partecipazione umana, verso i fratelli, che emana dall’intervista
di Scola.
Non c’ l’uomo di chiesa, c’è l’impiegato, il manager
dell’istituzione, se pure di alto grado.
C’è un’autorità che si sente prima di tutto nel ruolo il
giudice istruttore.
E’ agghiacciante leggere per esempio nell’intervista a Scola
,che i fautori della concessione ai divorziati di comunicarsi, quasi “operano
una separazione fra dottrina, pastorale e disciplina” che ridurrebbe
l’indissolubilità del matrimonio a idea platonica, con gravi danni per
l’educazione delle giovani generazioni.
Quando è ovvio che la linea pastorale possa non coincidere
affatto con la ripetizione formale di una dottrina specifica, o peggio della
“disciplina” relativa (il termine militaresco scelto e usato da Scola rivela
una mentalità terribile),perchè la distinzione rispetto alla pura dottrina
prescrittivi è assolutamente il senso
stesso del termine “pastorale”, inteso appunto come applicazione pratica di una
dottrina astratta.
Terribile è pure la riproposta, fatta da Scola, del fariseismo
che la materia si porta con sè, secondo il quale, allargando i cordoni
della sacra Rota, si potrebbe risolvere tutto.
In pratica si introduce il “divorzio cristiano” e così
si supera il problema alla radice.
Scola riesce poi ad aggravare ulteriormente la estrema
debolezza delle sue argomentazioni , mostrando
di credere, che il ricorso alla
Rota sia gratuito, solo ricorrendo
all’avvocato d’ufficio, beninteso
solo per i non abbienti.
Quando nei duri
recenti discorsi di papa Francesco sia alla Rota che alla Suprema
Segnatura (tribunale di appello), si era
parlato della necessità di arrivare al più presto a procedimenti senza contropartita di danaro,
sic et simpliciter, non di non abbienti
e di abbienti.
Ma a Scola l’idea del gratuito non sarà piaciuta.
Sinceramente, pur non aspettandomi nulla di buono da Scola e
compagni di cordata, non mi aspettavo che
volesse riproporre esplicitamente ,tale e quale, il peggiore
armamentario ideologico, che aveva strombazzato per decenni l’allora presidente della Cei
Card.Ruini, con i brillanti risultati pratici, che Scola conosce benissimo, per
di più sperperando ingenti capital, che la gente aveva offerto, pensando che
andassero in opere di carità e di assistenza.
E invece nell’intervista ricompaiono ancora “i valori
–principi non negoziabili” ,che lo le leggi dello stato dovrebbero includere
tali e quindi (e qui siamo a dimostrare la stessa apertura mentale degli
sceicchi dell’Arabia Saudita che
impongono la shaharia come legge dello stato) con l’avvertenza
minacciosa , che se non li includessero, i cattolici sarebbero vincolati ad esercitare
l’obbiezione di coscienza.
Ma il vertice della doppiezza Scola lo raggiunge quando
afferma che comunque nella chiesa deve prevalere sempre il primato petrino, chiosando
maliziosamente ,non ostante lo stile molto personale di questo nuovo papa.
Si lascia quindi andare ad una affermazione sorprendente :il
nuovo papa èun lationo-americano e “noi
non eravamo adeguatamente informati” della cultura e della teologia di quella regione.
E’ sorprendente quel “noi”, anzi è offensivo nei riguardi di
quella pur vasta opinione cattolica che conosceva e seguiva le Conferenze teologiche
di Medellin, che svilupparono nei
dettagli nuove proposte adatte a quelle regioni, anche non se piacquero affatto
a Ruini e Woitila.
Tutto sommato, però, non mi aspettavo che chi la pensa come
Scola avesse la poca responsabilità di riproporre il ritorno ad un passato, che
quasi tutti riconoscono oggi come fallimentare
per la chiesa.
Lo stile di papa Francesco è veramente radicalmente diverso.
Sull’aereo che lo riportava in Italia dal Medio Oriente ha confessato apertamente a decine di
giornalisti ,che l’opposizione dei
conservatori c’è, ma che a lui non dispiace affatto che sia venuta alla luce e
che non operi nascosta nell’ombra.
E’ pur sempre un’ammissione pesante, è come dire :
sarebbe peggio se operassero nell’ombra,
con un non detto consequenziale : “dato che prima operavano nell’ombra”.
“Ci sono resistenze, ma dobbiamo essere rispettosi con loro
e non stancarci di spiegare e dialogare,
senza insultare o sparlare”.
Questa mi è piaciuta, perché è come dire con belle parole :
sono un po’ duri di comprendonio, ma se abbiamo la pazienza di dialogare con
loro e di farli ragionare, magari in un domani, capiranno.
Anche se quell’accenno del papa allo “sparlare” è un po’
inquietante e raggelante.
Il
migliore e più autentico Bergoglio, però, è venuto fuori nell’intervista che il
papa ha dato nei giorni scorsi ad una giornalista di Buenos Aires ,Elisabetta
Piquè, sua vecchia conoscenza, sul quotidiano argentino “la Nacion” , riportata
con il titolo : “Alle persone risposate neghiamo sette cose. Così sembrano
scomunicati di fatto”.
I
divorziati risposati, infatti, non possono essere padrini di battesimo, non
possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione,non
possono insegnare il catechismo, oltre a non poter fare la comunione.
Non
possono fare i padrini di battesimo,ma lo possono fare i politici corrotti, se
regolarmente sposati, e questo non lo
dico io, ma l’ha fatto notare il papa in quell’intervista per evidenziare il
fatto che in questa materia : “Bisogna aprire un po’ di più le porte”.
Ecco
che significa impegnasi nella pastorale,
più che nella ripetizione formale della dottrina.
Ecco
quello che gli Scola non vogliono capire.
Questo
papa è bene incardinato nella cultura e
nella prassi della sua Compagnia e
quindi eviterà di contraddire
formalmente il principio della indissolubilità del matrimonio, gli Scola stiano
tranquilli.
Ma lo
farà non perché tema Scola e compagni di cordata, ma perché sa che nel più
vasto mondo in via di sviluppo, che conosce bene, è opportuno tenere ben fermo il criterio della famiglia tradizionale, perché questo fa parte
integrante di quella cultura.
Cercherà
rimedi pastorali, che potrebbero anche
contemplare la comunione ai divorziati ma a certe condizioni , in un
particolare contesto o percorso per chi
ne fosse interessato, per ri-testimoniare la comunione di costoro con la
comunità dei fedeli.
Lo
sconcerto e lo sconforto che da il vedere riproporre tesi che i tempi hanno
dimostrato infelici, infeconde ,ma soprattutto il penoso spettacolo di vedere uomini
di chiesa che sembrano incapaci prima di tutto di amare
l’umanità dell’uomo, nella sua battaglia quotidiana, anche quando questi
si trova in situazioni complicate, ma oggi diffusissime, mi ha fatto tornare alla mente il famosissimo racconto
del “grande inquisitore” nei Fratelli Karamazof di Dostojewsky.
Cristo
ritorna sulla terra ed il grande inquisitore, riconoscendolo pur facendo finta di non capire chi sia, lo apostrofa
dicendogli : ma tu che sei venuto a fare
? Torna da dove sei venuto.
Qui
ci siamo noi, la tua presenza ci destabilizza, o meglio destabilizza il nostro
potere sull’istituzione.
E’ la
metafora della chiesa- istituzione, che arriva al limite estremo di aberrazione
fino a cacciare il suo fondatore, se questo si ripresentasse perché temerebbe
di essere sbugiardata e che le si chieda
conto della sua incoerenza.
Fino
alla terribile domanda finale, che l’autore non teme di porre : ma il grande
inquisitore crede in Dio?
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