venerdì 19 dicembre 2014

Cosa hanno in comune  Papa Francesco ed Angelo Scola?



Di papa Bergoglio si parla  parecchio.
Probabilmente è avvertito come l’unico leader mondiale di caratura adeguata alla sua carica, gli altri sono avvertiti invece o come leaderini, inadeguati da sempre, o  astri sulla via del  tramonto.
Di Bergoglio non stupisce la  carica di novità, perché questa anzi è la ragione del suo successo, ma piuttosto  colpisce l’astio, la cattiveria, la slealtà del fronte, che si è formato  negli ambienti curiali per ostacolare il suo lavoro  di pulizia e di rinnovamento.
Le chiese da decenni si svuotano progressivamente perché la gente ha avvertito ed avverte i fatto che la chiesa-istituzione  non sa più parlare all’uomo moderno, perché non va più dove la gente medesima pensa, che la  dovrebbe portare il messaggio originario del suo fondatore, ma è tutta impegnata in sostanza a difendere il  proprio potere di casta, se non in molti casi, di setta.
Gli scandali ricorrenti a sfondo sessuale e finanziario  hanno poi non poco contribuito a screditare l’istituzione.
Papa Francesco è arrivato dal Sud America portando uno stile del tutto nuovo e contro corrente.
Povertà e servizio sono le parole chiave del nuovo pontificato.
Totalmente indigeste per chi era abituato a identificare il suo ruolo nelle istituzioni clericali come un mezzo per  legittimare agi e spesso lussi indecenti e indecorosi, spesso accompagnati a vizi  praticati in modo sistematico.
La reazione alla novità di papa Francesco era ovvio che ci sarebbe stata.
Del resto ,come molti commentatori ricordano, la stessa cosa si era verificata quando i medesimi ambienti di curia,  negli anni ’60, si sono trovati davanti alla novità inaspettata di un Giovanni XXIII, che diceva cose per   loro insensate.
Anche c’era sorpresa e disappunto, ma mi sembra che, il capofila dell’opposizione di  allora a papa Giovanni, che era stato  il vecchio e mal ridotto Card. Ottaviani, prefetto del Sant’Uffizio, rappresentasse più un sussulto di medio evo, espresso in assoluta buona fede, state la sua formazione ed universo culturale, che  non una fazione di potere  stle ed astiosa.
Oggi le ragioni del potere mi sembrano molto più evidenti  di allora.
C’è prima di tutto l’astio per il potere perso o non  mai pervenuto, come si riscontra nelle posizioni del pontefice mancato,  Angelo Scola, che imprudentemente, aveva sopravvalutato quanto gli sussurrava, fino a convincerlo, una cordata che si era formata in suo favore prima e poi durante l’ultimo conclave.
Come si è detto sopra, anche ai tempi  del concilio, era risultata evidente la divisione in anime diverse e contrapposte all’interno della chiesa, anche se allora, negli ambienti clericali, la trasparenza non era ancora ed  affatto  considerata una  esigenza virtuosa e quindi le cose raramente venivano fuori subito.
Anche allora però, ad esempio, era possibile  ad un certo punto consultare le due linee teologiche del tutto divergenti riportate in due riviste : quella “progressista” costituita da “Concilium”  dove scrivevano Congar, Kueng, Rahner, Shillebeeck, le vere menti del rinnovamento teologico, e  quella ultra-tradizionalista “Renovatio”, dove scrivevano Siri, Baget Bozzo e poi la tradizionalista classica “Communio” un po’ più pacata di  Joseph Ratzinger.
Anche allora Siri si sentiva, e storicamente era, il papa mancato.
Allora però, obiettivamente, il movimento del rinnovamento era ben più radicale e radicato.
Oggi moltissimi non ricordano nemmeno più il fervore delle “comunità di base”, si pensi all’Isolotto a Firenze.
C’era una miriade di circoli intellettuali,  che editavano la loro rivistina.
C’era una sperimentazione liturgica, che  faceva trasalire.
E, purtroppo, ci fu un  papa che  ebbe sì il  merito di salvare il salvabile del Concilio, ma che per età e formazione fu, prima, spaventato dal movimento di rinnovamento e poi fu letteralmente terrorizzato dall’idea di trovarsi a non riuscire più a controllare quanto gli  si muoveva intorno.
L’idea forse più radicale erivoluzionaria  di  quel Concilio, quella dell’accettazione  di un pluralismo teologico e liturgico,  fu bloccata, anche con durezza da Paolo VI, finendo di fatto qualificata come eretica.
Oggi c’è il papa rinnovatore, ma purtroppo però, rispetto ad allora, il gregge si è nel frattempo paurosamente assottigliato.
 Le parrocchie languono, salvo laddove forniscono servizi,  per altro utilissimi,  che lo stato e la società civile non sanno  provvedere  ( luoghi di aggregazione per i giovani, attrezzature sportive e per la  gestione del  tempo libero, oltre ad assistenza sociale vera e propria).
Ma il “mondo cattolico” soprattutto a livello  di intellettuali è praticamene scomparso.
I “movimenti”, non certo in crescita, nemmeno loro,  rappresentano  sempre più sette auto-referenziali che  parti di  una chiesa.
In questo auditorio, divenuto vuoto, risuona la voce organizzata dell’opposizione a  papa Francesco.
I preti di strada e i pochi parroci attivi non hanno bisogno di nessun  auditorium perché sono bravi a tirarsi su le maniche più che a parlare.
Per la verità, non è un gran che il discorso dei vari Scola e compagni di cordata, ma facciamo uno sforzo per individuarne le linee.
Scola ha dato una lunga intervista al Corriere, ed in particolare al patinatissimo Aldo Cazzullo, dove è  stato   esplicito,  nella misura i cui sa essere esplicito e sincero, un  cardinale nelle sue condizioni, col suo passato e con il  suo bagaglio culturale, cioè non lo è  stato affatto.
Scegliere, come ha fatto Scola in quella intervista, di affermare di essere  sicuro che papa Francesco si opporrà alla comunione  ai divorziati, significa ricorrere  a un vecchio armamentario  dialettico- retorico, perché con tutta evidenza con quell’affermazione voleva dire altro e cioè voleva lanciare  un  ricatto e un alto là, rivolti al papa medesimo.
E’ come se avesse detto al papa : ti avvertiamo,  guarda che un papa non può permettersi di contraddire alla dottrina tradizionale della chiesa sul matrimonio  e quindi come papa sei obbligato ad opporti alla comunione ai divorziati.
Quello che irrita e spaventa, da parte di questi, che sono pure uomini di chiesa, non è la mancanza  di  argomenti  spendibili, quando riducono il  cristianesimo a una elencazione di norme di divieto, basate sulla presunta autorità  di una rivelazione, tutta da sostenere e da interpretare  con l’impiego dell’ermeneutica.
Avevamo già parlato su questo argomento  abbastanza diffusamente in un articolo precedente (19 settembre 14) trattando del  libro dei cinque cardinali (Muller, Burke, Caffarra, Brandmuller, De Paolis) diretto a bloccare proprio la proposta  della  comunione ai divorziati e quindi per l’esposizione e la confutazione di quelle tesi, rimando il lettore all’articolo sopra-citato.
Quello che mi preme sottolineare adesso  è la penosa impressione che da la totale mancanza di partecipazione umana, verso i fratelli, che emana dall’intervista di  Scola.
Non c’ l’uomo di chiesa, c’è l’impiegato, il manager dell’istituzione, se pure di alto grado.
C’è un’autorità che si sente prima di tutto nel ruolo il giudice istruttore.
E’ agghiacciante leggere per esempio nell’intervista a Scola ,che i fautori della concessione ai divorziati di comunicarsi, quasi “operano una separazione fra dottrina, pastorale e disciplina” che ridurrebbe l’indissolubilità del matrimonio a idea platonica, con gravi danni per l’educazione delle giovani generazioni.
Quando è ovvio che la linea pastorale possa non coincidere affatto con la ripetizione formale di una dottrina specifica, o peggio della “disciplina” relativa (il termine militaresco scelto e usato da Scola rivela una mentalità terribile),perchè la distinzione rispetto alla pura dottrina prescrittivi è  assolutamente il senso stesso del termine “pastorale”, inteso appunto come applicazione pratica di una dottrina astratta.
Terribile è pure la riproposta, fatta da Scola, del fariseismo che la materia si porta con sè, secondo il quale, allargando i cordoni della  sacra  Rota, si potrebbe risolvere tutto.
In pratica si introduce il “divorzio cristiano” e così si  supera il problema alla radice.
Scola riesce poi ad aggravare ulteriormente la estrema debolezza delle sue argomentazioni , mostrando  di credere, che  il ricorso alla Rota sia gratuito, solo ricorrendo  all’avvocato  d’ufficio, beninteso solo per i non abbienti.
Quando nei duri  recenti discorsi di papa Francesco sia alla Rota che alla Suprema Segnatura (tribunale di appello), si era   parlato della necessità di arrivare al più presto a  procedimenti senza contropartita di danaro, sic et simpliciter, non di non  abbienti e di abbienti.
Ma a Scola l’idea del gratuito non sarà piaciuta.
Sinceramente, pur non aspettandomi nulla di buono da Scola e compagni di cordata, non mi aspettavo che  volesse riproporre esplicitamente ,tale e quale, il peggiore armamentario ideologico, che aveva strombazzato per  decenni l’allora presidente della Cei Card.Ruini, con i brillanti risultati pratici, che Scola conosce benissimo, per di più sperperando ingenti capital, che la gente aveva offerto, pensando che andassero in opere di carità e di assistenza.
E invece nell’intervista ricompaiono ancora “i valori –principi non negoziabili” ,che lo le leggi dello stato dovrebbero includere tali e quindi (e qui siamo a dimostrare la stessa apertura mentale degli sceicchi dell’Arabia Saudita che  impongono la shaharia come legge dello stato) con l’avvertenza minacciosa , che se non li includessero, i cattolici  sarebbero vincolati ad esercitare l’obbiezione di coscienza.
Ma il vertice della doppiezza Scola lo raggiunge quando afferma che comunque nella chiesa deve prevalere sempre il primato petrino, chiosando maliziosamente ,non ostante lo stile molto personale di questo nuovo papa.
Si lascia quindi andare ad una affermazione sorprendente :il nuovo papa èun  lationo-americano e “noi non eravamo adeguatamente informati” della cultura e della teologia   di quella regione.
E’ sorprendente quel “noi”, anzi è offensivo nei riguardi di quella pur vasta opinione cattolica che conosceva e seguiva le Conferenze teologiche di  Medellin, che svilupparono nei dettagli nuove proposte adatte a quelle regioni, anche non se piacquero affatto a Ruini e Woitila.
Tutto sommato, però, non mi aspettavo che chi la pensa come Scola avesse la poca responsabilità di riproporre il ritorno ad un passato, che quasi  tutti riconoscono oggi come fallimentare per la chiesa.
Lo stile di papa Francesco è veramente radicalmente diverso.
Sull’aereo che lo riportava in Italia dal Medio  Oriente ha confessato apertamente a decine di giornalisti ,che  l’opposizione dei conservatori c’è, ma che a lui non dispiace affatto che sia venuta alla luce e che non operi nascosta nell’ombra.
E’ pur sempre un’ammissione pesante, è come dire : sarebbe  peggio se operassero nell’ombra, con un non detto consequenziale : “dato che prima operavano nell’ombra”.
“Ci sono resistenze, ma dobbiamo essere rispettosi con loro e non stancarci  di spiegare e dialogare, senza insultare o sparlare”.
Questa mi è piaciuta, perché è come dire con belle parole : sono un po’ duri di comprendonio, ma se abbiamo la pazienza di dialogare con loro e di farli ragionare, magari in un domani, capiranno.
Anche se quell’accenno del papa allo “sparlare” è un po’ inquietante e raggelante.
Il migliore e più autentico Bergoglio, però, è venuto fuori nell’intervista che il papa ha dato nei giorni scorsi ad una giornalista di Buenos Aires ,Elisabetta Piquè, sua vecchia conoscenza, sul quotidiano argentino “la Nacion” , riportata con il titolo : “Alle persone risposate neghiamo sette cose. Così sembrano scomunicati di fatto”.
I divorziati risposati, infatti, non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione,non possono insegnare il catechismo, oltre a non poter fare la comunione.
Non possono fare i padrini di battesimo,ma lo possono fare i politici corrotti, se regolarmente sposati,  e questo non lo dico io, ma l’ha fatto notare il papa in quell’intervista per evidenziare il fatto che in questa materia : “Bisogna aprire un po’ di più le porte”.
Ecco che significa impegnasi  nella pastorale, più che nella ripetizione formale della dottrina.
Ecco quello che gli Scola non vogliono capire.
Questo papa è bene incardinato  nella cultura e nella prassi della  sua Compagnia e quindi eviterà di  contraddire formalmente il principio della indissolubilità del matrimonio, gli Scola stiano tranquilli.
Ma lo farà non perché tema Scola e compagni di cordata, ma perché sa che nel più vasto mondo  in via di sviluppo, che  conosce bene, è opportuno  tenere ben fermo il criterio della  famiglia tradizionale, perché questo fa parte integrante di quella  cultura.
Cercherà rimedi  pastorali, che potrebbero anche contemplare la comunione ai divorziati ma a certe condizioni , in un particolare contesto o percorso per  chi ne fosse interessato, per ri-testimoniare la comunione di costoro con la comunità dei fedeli.
Lo sconcerto e lo sconforto che da il vedere riproporre tesi che i tempi hanno dimostrato infelici, infeconde ,ma soprattutto il penoso spettacolo di vedere uomini di chiesa che   sembrano incapaci prima di tutto di  amare  l’umanità dell’uomo, nella sua battaglia quotidiana, anche quando questi si trova in situazioni complicate, ma oggi diffusissime, mi ha fatto  tornare alla mente il famosissimo racconto del “grande inquisitore” nei Fratelli Karamazof di Dostojewsky.
Cristo ritorna sulla terra ed il grande inquisitore, riconoscendolo pur facendo finta  di non capire chi sia, lo apostrofa dicendogli : ma tu che  sei venuto a fare ? Torna da dove sei venuto.
Qui ci siamo noi, la tua presenza ci destabilizza, o meglio destabilizza il nostro potere sull’istituzione.
E’ la metafora della chiesa- istituzione, che arriva al limite estremo di aberrazione fino a cacciare il suo fondatore, se questo si ripresentasse perché temerebbe di essere sbugiardata e  che le si chieda conto della sua incoerenza.
Fino alla terribile domanda finale, che l’autore non teme di porre : ma il grande inquisitore crede in Dio?





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