Secondo
commento all’enciclica di Papa Francesco sull’ambiente
Bene la
trattazione dei temi ambientalisti seguendo il metodo scientifico.
Incoerente
invece la riproposizione di tutta la
teoria tradizionale dell’”intelligent design”, come se Darwin e la cosmologia
tradizionale potessero stare insieme
Le
prime “encicliche sociali erano dirette secondo
l’uso del tempo “ai Nostri
Venerabili Fratelli”, cioè in prima persona ai componenti delle gerarchie ecclesiastiche più elevate.
Papa
Giovanni ha poi rotto la prassi
costituita cominciando a rivolgersi anche “agli uomini di buona volontà” e
la cosa era apparsa come una novità
straordinaria.
Papa
Francesco su questo piano si è presentato davvero come un uomo moderno che
parla agli altri uomini moderni e lo fa
nell’unico modo possibile per essere capito e ascoltato, cioè evitando
accuratamente di far discendere
dall’alto quello che vuole comunicare.
Al
punto che arriva a dire in alcuni punti : molti scienziati dicono che…
Questo
è proprio il salto che occorreva fare.
Per
l’apparato della gerarchia ecclesiastica
adottare come criterio di approccio quello dell’esposizione e dell’esame
di una serie di dati scientifici comporta una forzatura della propria forma
mentis e della propria cultura.
E
infatti le prime encicliche sociali (ma non solo loro) denunciavano chiaramente
quanto le gerarchie si trovassero
impacciate e imbarazzate a trattare simili problemi, perché in qualche
modo avvertivano che non era possibile trattare di salari sindacati e scioperi
usando il solito linguaggio e da un punto di vista metodologico il solito
metodo deduttivo, al quale sempre si
rifà la gerarchia ecclesiastica, quando agisce o parla in veste di “magistero”.
Ricordiamo
brevemente come funziona il metodo deduttivo, universalmente usato nelle
pronunce di carattere teologico o nel
campo della morale.
In
tutti questi casi i papi si rifanno prima di tutto all’autorità della
“Scrittura”, e quindi citano cose dice la Bibbia al tale e talaltro versetto.
Poi il
ricorso alla scrittura viene corroborato dal “costante e conforme” insegnamento
della “Tradizione”e qui la via maestra è la citazione del deliberato in materia
di uno o più Concili Ecumenici.
Infine
è di prammatica attualizzare nel tempo il discorso citando l’insegnamento del “mio”
o dei “miei Venerabili Predecessori”.
Solo
nei tempi più vicini si fa cenno ai deliberati di Consessi in ausilio
all’autorità pontificia come possono essere Sinodi o Conferenze episcopali.
Completato
il riferimento alle autorità sopra elencate è di prammatica descrivere il
fenomeno nuovo o “moderno” che in genere veniva avvertito come un pericolo
deprecabile.
Dopo di
che come in un’equazione viene da sé la condanna o la messa in guardia sui quei
fatti “moderni” senza risparmiarsi l’accenno alle inevitabili sanzioni a carico
di chi non si uniformasse alla “sana dottrina”.
E’
chiaro che l’abituale metodo deduttivo è fondato su questo presupposto
ideologico di fondo.
Noi
siamo i fortunati depositari dell’unica rivelazione vera e dell’unica scrittura
vera che ci hanno rivelato la verità intera e definitiva sul mondo e sulla vita
e quindi qualsiasi fatto nuovo la storia ci presenti non ci resta altro che
cercarne la soluzione deducendola da quella verità inconfutabile perché basata
su una autorità inconfutabile.
Questo
metodo collide in modo insanabile col metodo scientifico sul quale si base il
mondo moderno e di conseguenza la gerarchia ecclesiastica (si prenda ad esempio
tutto il magistero di papa Ratzinger) cerca di salvare capra (tradizione) e cavoli (modernità) , o usando parole
diverse, che dicono la stessa cosa : fede e scienza.
Papa
Ratzinger con la sua costante polemica contro il concetto di “relativismo” ha
ripetuto fino alla noia uno ed un solo argomento che non aveva inventato lui
come teologo, ma che è stato enunciato chiaramente ottocento anni fa dal
teologo principe della Chiesa Cattolica, Tommaso d’Acquino proprio e non per
caso nella “disputa prima” del primo libro della Summa Teologica.
In
poche parole l’argomento è questo : la scienza e la filosofia ci conducono ad
apprendere la “conoscenza” delle cose, che come tale è basata su una
possibilità di dimostrazione matematica o logica di un certo assunto.
Ma ci
sono moltissime cose che vanno oltre la “conoscenza” verificabile
dall’osservazione di fenomeni materiali, e sono quelle cose che si collocano
negli ambiti della fede, alla quale si perviene per adesione dell’animo e per
intuizione a partire dagli insegnamenti della Rivelazione.
Quindi
tutto ciò che richiede dimostrazione materiale o logica, e Tommaso intende
riferirsi più alla filosofia che alla scienza, deve essere subordinato alla
teologia.
E si
arriva così alla famosa definizione
“filosofia ancilla theologiae”.
E’
l’antitesi esatta della modernità, delle sue filosofie e del metodo scientifico.
E’ un
postulato che ha retto per secoli e che la chiesa non riesce ad abbandonare ed
anzi reagisce al modo di ragionare moderno
bollandolo come mondo del “relativismo” contrapposto al mondo delle
presunte “certezze assolute”.
Ho dovuto fare questa lunga digressione perché
occorre per forza ricordare questi concetti per capire perché da sempre il
“magistero” ecclesiastico fa ricorso al metodo deduttivo.
Si
tratta, come abbiamo visto, di un problema di sostanza, non di solo metodo.
Papa
Francesco in questa enciclica innova in modo abbastanza drastico, deviando
ampliamente dal metodo deduttivo.
Va
detto che anche i suoi più diretti predecessori avevano intuito che la materia
dei fenomeni sociali costringe all’analisi di situazioni spesso in movimento che
sconsigliano prese di posizione drastiche come quelle che invocano la copertura
della presunta “infallibilità pontificia”, perché o i fenomeni possono cambiare
o l’analisi sulla quale si fonda il giudizio potrebbe essere non corretta,
trattandosi di materie complesse.
Papa
Francesco però supera molto spesso gli seccati che i suoi predecessori non
avevano ritenuto opportuno superare.
Per
esempio Paolo VI per primo ha manifestato nelle sue encicliche sociali un
aperto e inusuale elogio alle acquisizioni della scienza moderna, ma non era
certo arrivato a costruire un enciclica come quella di papa Francesco di fatto
basata sul un riassunto delle posizioni più condivise in campo scientifico
accademico sull’ambiente e sulle teorie socio- economiche dei pensatori (tutti
progressisti) che su di queste hanno lavorato.
Ancora
anche Paolo VI per la prima volta aveva manifestato interesse ed apprezzamento
per quello che altre religioni e culture possono avere elaborato a favore
dell’umanità intiera.
Anche
Paolo Vi aveva fatto accenno ai problemi del degrado dell’ambiente a causa di
una cattiva gestione da parte dell’attività umana e aveva intuito la necessità
di fare riferimento su questi temi alla politica nelle sue forme più alte a
cominciare possibilmente da quella elaborata in sede di organizzazioni
internazionali.
Ma
appunto si era trattato di accenni, se pure illuminati.
Ma papa
Francesco entra abbondantemente nei dettagli su questi temi.
E’ la
prima volta per esempio che in un enciclica papale si trovano lunghe citazioni
di un Patriarca della Chiesa Ortodossa.
Sul
rapporto con scienza, la differenza di metodo è ancora più vistosa, perché
quest’enciclica, come abbiamo detto sopra è nella sostanza un riassunto
puntuale di quello che sull’ambiente si pensa nel mondo scientifico.
E qui
siamo alla radicale discontinuità nel metodo, perché fare riferimento alla
scienza va benissimo, ma significa avere ben chiaro che questo significa
riconoscere di navigare nelle acque inesplorate per la chiesa che la cui
navigazione è fondata per definizione sul principio del “relativismo”.
Dove
non esiste il concetto di verità, ma solo quello di acquisizione condivisa dal
numero più largo di scienziati, sulla base dell’analisi critica delle loro
opere scientifiche usando i protocolli riconosciuti come validi in quel mondo,
ma sempre soggetta a un futuro possibile superamento.
Per un
papa, rifarsi a questo metodo è un po’ un modo di varcare il Rubicone, non si
può sottovalutare la portata dell’adozione di un tale metodo.
Siamo
in universo radicalmente diverso rispetto a quello della deduzione di tutto da
Scrittura, Tradizione e Magistero.
Però
c’è un prezzo da pagare.
E’
chiaro che in quest’ottica il papa deve essere consapevole di non potere più
pretendere di dispensare verità assolute, e di essere approdato nel campo del
“relativismo” dove non si cercano verità
di fede, ma si cerca semplicemente di capire come gira il mondo.
Se un
papa si mette in questa prospettiva, è come si accettasse implicitamente di
rappresentare “un’agenzia di pensiero” che si mette umilmente a confronto e insieme alle altre per fornire risposte di conoscenza all’umanità.
Si
tratta quindi di una posizione ben
diversa rispetto a quella tradizionale
che vedeva il papa per definizione a
pontificare sulle verità assolute, che presumeva di avere da dispensare.
Personalmente
ritengo che questo atteggiamento
metodologico sia l’unico possibile per garantire la sopravvivenza
delle religioni nel mondo moderno, come
più volte si è accennato in questo blog.
All’uomo
moderno è improponibile dispensare come presunta verità definitiva la mitologia
dell’una o dell’altra religione che
inevitabilmente si proclama come l’unica
detentrice dell’unica vera “rivelazione”, anche perché non si può sfuggire
alla ovvia considerazione, che questo tipo di atteggiamento è del tutto incompatibile con pacifica convivenza ed è
anzi la base ideologica delle guerre di religione, come insegnano secoli e secoli di storia.
Tutt’altro
che facile però fare evolvere la cultura
religiosa dei fedeli rimasti che sono stati
indottrinati fin da ragazzi in una cultura religiosa di tipo
tradizionalista- fondamentalista.
Questa
considerazione però rende ancora più apprezzabile la prospettiva aperta da papa Francesco.
Ancora
una volta non posso non ricordare i primi accenti lungimiranti in questa
direzione avanzati da Paolo VI , quando ci teneva a presentarsi umilmente come
“esperto di umanità” piuttosto che come dispensatore di verità assolute.
La
strada per arrivare a papa Francesco è stata lunga ed è stata costellata di
vistosi dietro- font, soprattutto ad opera del pontificato di papa Woytila,
sempre prigioniero della cultura teologica decotta sulla quale si era formato.
Papa
Francesco nella prima enciclica veramente tutta sua ha scelto di correre il
rischio di un essere capito da chi in buona fede trova rassicurante potersi
sentire fra i fortunati prescelti dall’unica vera religione.
Certo
però che risulta palesemente
inverosimile mantenere quel tipo di posizione nell’attuale mondo globalizzato,
quando, a meno di non vivere in un borgo isolato, si incontra gente di tutto il
mondo e quindi di tutte le religioni e di tutte le culture, solo mettendo un
piede fuori di casa.
Passare
da un atteggiamento di ostilità preconcetta verso le altre religioni e culture,
per passare a una posizione molto più umile e meno arrogante che accetti di vedersi su una posizione di
pari dignità per essere di aiuto
all’umanità comporta una autentica rivoluzione culturale.
Papa
Francesco è stato probabilmente molto scaltro a impostare la sua nuova
prospettiva metodologica scegliendo una materia con considerevoli risvolti
“tecnici”, come è il discorso sull’ambiente.
In
questo modo si trova già in un ambito tipico da “mondo moderno” con tutte le
sue caratteristiche.
Sarebbe
stato improponibile, dal punto di vista della gerarchia cattolica, usare quella
prospettiva parlando di argomenti strettamente teologici e si sarebbe subito
impantanato nelle solite diatribe dottrinali che non interessano più nessuno se
non i pochi addetti ai lavori.
Ma papa
Francesco con molta scaltrezza lancia la nuova prospettiva che sopra si è
descritta in uno strumento tipico magisteriale come è un enciclica.
Sembra
veramente in esercizio di tipica furbizia “gesuitica” partire da argomenti
“tecnici” e “moderni” , ma per farci sopra un discorso prettamente religioso.
Tutto
si legherebbe in una argomentazione coerente se il papa si fosse limitato ad
enunciare la necessità di tornare a una ispirazione evangelica e basta.
Cioè
invitare a ritornare alla prospettiva del messaggio evangelico basilare, che
tutti capiscono immediatamente per dare la priorità all’impegno verso i poveri e gli emarginati,
gli “ultimi” nel linguaggio evangelico, questa avrebbe potuto essere la base teologica - magisteriale di tutta l’enciclica, coerente
con tutto l’impianto di un discorso sull’ambiente condotto quasi con corretto
metodo scientifico.
Perché
il discorso sull’ambiente e il degrado ambientale non procede fine a sé stesso,
ma è tutto impostato per dire che non tutti gli uomini sono penalizzati da quelle conseguenze, ma che
coloro che pagano il prezzo più alto sono proprio i poveri e gli emarginati,
non certo i ricchi e i benestanti, che hanno i mezzi per potersi difendere.
Tutto
bene quindi se papa Francesco si fosse fermato qui.
Ma non
è così, perché non se lo ha fatto seguendo delle sue personali convinzioni e un
suo disegno strategico, oppure se è stato costretto ad accettare chissà da
quali pressioni esterne, il papa ha ritienuto di inserire quasi a metà dell’enciclica un corposo paragrafo che è in
totale contraddizione col “discorso quasi scientifico” che percorre tutto il
resto dell’enciclica.
E’ come
se nel bel mezzo di un discorso
estremamente innovativo, avesse fatto inserire un capitolo che riassume
perfettamente la dottrina tradizionale sull’universo del suo predecessore
Joseph Ratzinger.
Non mi
dilungo nell’esposizione di questo capitolo ora, basterà dire che si tratta
della riproposizione puntuale della dottrina tradizionalista dell’”intelligent
design”.
Tutti
abbiamo sentito parlare da decenni delle contrapposizioni radicali che si sono
verificate anche con modi eclatanti nelle università sopra tutto anglosassoni.
Da una
parte la scienza “ufficiale” rappresentata dalla quasi totalità degli accademici di queste materie che sostengono
l’assoluta inconfutabilità da un punto scientifico della darwiniana “teoria
dell’evoluzione” ulteriormente rafforzata dagli studi più recenti, dall’altra
tutto il mondo della cultura tradizionalista fondamentalista che la contesta frontalmente
invocando una lettura sostanzialmente letterale della Bibbia.
Papa
Francesco è vero cerca di evitare di essere assimilato a questo filone di pensiero affermando esplicitamente
che la Bibbia va letta usando la dovuta ermeneutica interpretativa, ma nella
sostanza non fa altro che ribadire punto per punto le affermazioni dell’”intelligent design”
che, occorre sottolinearlo, viene considerato del tutto incompatibile ed il
contraddizione con la teoria dell’evoluzione darwiniana dalla quasi totalità
del mondo accademico della materia.
In
altre parole se uno vuole farsi una sua idea sulla cosmologia, non può
scegliere di adottare una percentuale di evoluzionismo sommata a una
percentuale di “intelligen design” per salvare capra e cavoli, perché si tratta
di due teorie che sono una l’antitesi dell’altra.
L’evoluzionismo
è una teoria scientifica che esclude in modo categorico di poter ritrovare
nello studio delle varie fasi dell’evoluzione un qualunque “disegno
finalistico”.
E al
contrario ritiene che sia dimostrato e
dimostrabile il fatto che tutto il lunghissimo processo di evoluzione è
avvenuto per variazioni assolutamente casuali e senza che sia riscontrabile
alcuna direzione finalistica che abbia orientato le variazioni in un senso
invece che in un altro.
Punto.
Tutt’altra
cosa è l’”intelligent design” che non è
affatto una teoria scientifica contrapposta o contrapponibile
all’evoluzione, perché non è basata né può essere basata su alcuna possibilità
di dimostrazione.
Questo
discorso è’ ritenuto una “ispirazione di fede” ,e come tale è una forma di
“wishfull thinking” cioè di voler credere a qualcosa senza avere alcuna
possibilità di dimostrarla né di argomentarla almeno da un punto di vista
logico.
E’
assolutamente necessario per chi vuole essere cattolico andare a ricercare
argomentazioni atte a salvare capra e cavoli?
La
maggioranza probabilmente ritiene di sì.
Oltretutto
è talmente saldo il peso delle
formulazioni tradizionali che ci sono state a suo tempo impartite e sulle quali
siamo stati indottrinati senza troppi scrupoli, che anche uno dei teologi
progressisti più noti, come Vito Mancuso, che pure in tutta l’espirazione del
suo pensiero ha indicato la necessità di innovare profondamente proprio sulla
cosmologia, non è riuscito a non voler tentare tenacemente di trovare
argomentazioni a favore di una direzione finalistica della evoluzione.
Quando
però anche lui accetta di confrontarsi in dibattiti al dovuto livello con
scienziati evoluzionisti, si trova suo malgrado a mal partito, perché regolarmente
gli viene rinfacciato quello che del resto sa benissimo e cioè che la scienza
moderna non lascia al momento alcuno spiraglio nemmeno minimo per poter
intravvedere un disegno finalistico nell’evoluzione.
Sinceramente
non capisco perché papa Francesco abbia deciso di inserire nell’enciclica la
riproposizione dell’”intelligent design”, come se avesse un senso mettere
insieme mele e pere facendo credere che siano tutte mele.
Non è
corretto.
Nell’enciclica
si citano lodandole le affermazioni della maggior parte degli scienziati in
materia di ambiente
E come
si è detto si tratta di un fatto nuovo e di un metodo di approccio ai problemi
del tutto nuovo per un papa.
Ma
proprio per questo non si capisce perché il papa non abbia avvertito la
necessità fare un discorso un po più articolato o corretto o semplicemente più
comprensibile per chi non sia uno stretto addetto ai lavori.
Se
l’enciclica è diretta a tutti allora sarebbe stato necessario esporre un
momentino cos’è l’evoluzione secondo la scienza e cos’è l’”intelligent
design” per chi ritiene di adottarlo.
Sarebbe
stato necessario e doveroso aggiungere poi onestamente che l’uno collide con
l’altro.
Ma
nella formulazione dell’enciclica si finge che le due cose possano
tranquillamente stare insieme senza creare problemi.
Mi
sembra veramente un modo di procedere scorretto e poco produttivo, perché in
questo modo tutto il discorso “moderno e scientifico” sull’ambiente finisce per
perdere gran parte della sua credibilità.
Il papa
con questa formulazione contradditoria e un po’ pasticciata, raccoglierà certo
dei generici plausi per avere contribuito a spingere la gente a prendere
coscienza dei gravi problemi ambientali, ma niente di più.
Perché per gli uomini moderni e soprattutto quelli
di orientamento progressista, come avevo già
accennato nel precedente commento
generale, le argomentazioni del papa sull’ambiente erano già note e assimilate
da decenni.
Se però
si trovano a leggere l’esaltazione dell’”intelligent design”, non potrebbero
fare a meno di prenderla come una mazzata e probabilmente non troverebbero
alcun interesse a proseguire nella lettura.
Capisco
benissimo del resto che per un papa, mettere in discussione la dottrina
tradizionale della “creazione dal nulla” sarebbe una scelta ben difficile.
E questa
è la ragione per la quale fin dall’inizio del pontificato di papa Francesco ho
sempre ritenuto che questo nuovo papa, portatore di idee nuove sarebbe stato
tanto più efficace, quanto più si sarebbe astenuto dall’andare ad inguaiarsi in
dissertazioni dottrinali.
Il papa
avrebbe potuto più correttamente dire : la scienza con la teoria
dell’evoluzione ha formulato una visione cosmologica che confligge radicalmente
con la nostra dottrina, tradizione, magistero.
Per di
più la “filosofia” di fondo della teoria evoluzionista che riferisce come
motore di tutto quell’enorme processo a variazioni puramente casuali, ci lascia
con la bocca amara e non ci entusiasma per niente, ma purtroppo la scienza,
oggi, come oggi non lascia alcuno spiraglio per potere individuare elementi di
finalismo.
Nessuno
può escludere che in futuro si possano trovare elementi diversi, ma purtroppo
il dato scientifico è quello anche se non ci piace.
La
Bibbia e la nostra dottrina hanno sempre sostenuto l’idea di una cosmologia
fondata su un dio creatore dal nulla e
non di un universo eterno sempre esistito in forme oggi non conosciute prima
del “big bang” e che sempre esisterà senza alcun bisogno di ricorrere al
concetto di dio.
Ci può
essere qualche modo per concepire l’idea di dio in modo diverso e che possa
trovare un senso nell’universo della scienza?
Può
corrispondere al concetto di dio il linguaggio universale dell’universo
sintetizzabile nella matematica?
Può
avvicinarsi a una spiegazione il concetto di “deus sive natura” di Baruch Spinosa?
Ed
allora cerchiamo veramente nei fatti ausilio alla filosofia ed alla scienza,
non solo a parole, che poi vengono contraddette dalla riproposizione della
solita dottrina tradizionale, come se questa non fosse in assoluto contrasto
con l’una e l’altra.
E via
di seguito su questa linea di pensiero.
Oppure
il papa poteva semplicemente, lasciare perdere il riferimento all’”intelligent
design”, riferirsi solamente al pensiero evangelico di fondo a favore di poveri
ed emarginati e invitare all’azione superando egoismi e indifferenza.
Peccato,
perché la contraddizione è talmente evidente da rendere quest’enciclica di
efficacia davvero dubbia.
Se poi
si fa caso alle ricorrenti riproposizioni da parte di papa Francesco della
dottrina più tradizionale e tradizionalista in materia di bioetica, viene il
dubbio che abbia intenzione di proseguire il suo pontificato andando avanti a
dare un colpo al cerchio e un altro alla botte e questo non sarebbe certo una
buona idea.
Non
resta che sperare di vedere in futuro più atti concreti, meglio se vistosi e
simbolici sulla linea di un recupero del puro evangelo e sempre meno
riproposizioni dottrinali.
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