giovedì 9 luglio 2015

Secondo commento all’enciclica di Papa Francesco sull’ambiente
Bene la trattazione dei temi ambientalisti seguendo il metodo scientifico.
Incoerente invece la riproposizione  di tutta la teoria tradizionale dell’”intelligent design”, come se Darwin e la cosmologia tradizionale potessero stare insieme



Le prime “encicliche sociali erano dirette secondo  l’uso del tempo  “ai Nostri Venerabili Fratelli”, cioè in prima persona ai componenti delle gerarchie  ecclesiastiche più elevate.
Papa Giovanni ha poi rotto la  prassi costituita cominciando a rivolgersi anche “agli uomini di buona volontà” e la  cosa era apparsa come una novità straordinaria.
Papa Francesco su questo piano si è presentato davvero come un uomo moderno che parla  agli altri uomini moderni e lo fa nell’unico  modo possibile  per essere capito e ascoltato, cioè evitando accuratamente di  far discendere dall’alto quello  che vuole  comunicare.
Al punto che arriva a dire in alcuni punti : molti scienziati dicono che…
Questo è proprio il salto che occorreva fare.
Per l’apparato della gerarchia ecclesiastica  adottare come criterio di approccio quello dell’esposizione e dell’esame di una serie di dati scientifici comporta una forzatura della propria forma mentis e della propria cultura.
E infatti le prime encicliche sociali (ma non solo loro) denunciavano chiaramente quanto le gerarchie si trovassero  impacciate e imbarazzate a trattare simili problemi, perché in qualche modo avvertivano che non era possibile trattare di salari sindacati e scioperi usando il solito linguaggio e da un punto di vista metodologico il solito metodo deduttivo, al quale  sempre si rifà la gerarchia ecclesiastica, quando agisce o parla in veste di  “magistero”.
Ricordiamo brevemente come funziona il metodo deduttivo, universalmente usato nelle pronunce di carattere teologico o nel  campo  della morale.
In tutti questi casi i papi si rifanno prima di tutto all’autorità della “Scrittura”, e quindi citano cose dice la Bibbia al tale e talaltro  versetto.
Poi il ricorso alla scrittura viene corroborato dal “costante e conforme” insegnamento della “Tradizione”e qui la via maestra è la citazione del deliberato in materia di uno o più Concili Ecumenici.
Infine è di prammatica attualizzare nel tempo il discorso citando l’insegnamento del “mio” o dei “miei Venerabili Predecessori”.
Solo nei tempi più vicini si fa cenno ai deliberati di Consessi in ausilio all’autorità pontificia come possono essere Sinodi o Conferenze episcopali.
Completato il riferimento alle autorità sopra elencate è di prammatica descrivere il fenomeno nuovo o “moderno” che in genere veniva avvertito come un pericolo deprecabile.
Dopo di che come in un’equazione viene da sé la condanna o la messa in guardia sui quei fatti “moderni” senza risparmiarsi l’accenno alle inevitabili sanzioni a carico di chi non si uniformasse alla “sana dottrina”.
E’ chiaro che l’abituale metodo deduttivo è fondato su questo presupposto ideologico di fondo.
Noi siamo i fortunati depositari dell’unica rivelazione vera e dell’unica scrittura vera che ci hanno rivelato la verità intera e definitiva sul mondo e sulla vita e quindi qualsiasi fatto nuovo la storia ci presenti non ci resta altro che cercarne la soluzione deducendola da quella verità inconfutabile perché basata su una autorità inconfutabile.
Questo metodo collide in modo insanabile col metodo scientifico sul quale si base il mondo moderno e di conseguenza la gerarchia ecclesiastica (si prenda ad esempio tutto il magistero di papa Ratzinger) cerca di salvare capra (tradizione)  e cavoli (modernità) , o usando parole diverse, che dicono la stessa cosa : fede e scienza.
Papa Ratzinger con la sua costante polemica contro il concetto di “relativismo” ha ripetuto fino alla noia uno ed un solo argomento che non aveva inventato lui come teologo, ma che è stato enunciato chiaramente ottocento anni fa dal teologo principe della Chiesa Cattolica, Tommaso d’Acquino proprio e non per caso nella “disputa prima” del primo libro della Summa Teologica.
In poche parole l’argomento è questo : la scienza e la filosofia ci conducono ad apprendere la “conoscenza” delle cose, che come tale è basata su una possibilità di dimostrazione matematica o logica di un certo assunto.
Ma ci sono moltissime cose che vanno oltre la “conoscenza” verificabile dall’osservazione di fenomeni materiali, e sono quelle cose che si collocano negli ambiti della fede, alla quale si perviene per adesione dell’animo e per intuizione a partire dagli insegnamenti della Rivelazione.
Quindi tutto ciò che richiede dimostrazione materiale o logica, e Tommaso intende riferirsi più alla filosofia che alla scienza, deve essere subordinato alla teologia.
E si arriva così alla famosa definizione  “filosofia ancilla theologiae”.
E’ l’antitesi esatta della modernità, delle sue filosofie e del metodo scientifico.
E’ un postulato che ha retto per secoli e che la chiesa non riesce ad abbandonare ed anzi reagisce al modo di ragionare moderno  bollandolo come mondo del “relativismo” contrapposto al mondo delle presunte “certezze assolute”.
Ho  dovuto fare questa lunga digressione perché occorre per forza ricordare questi concetti per capire perché da sempre il “magistero” ecclesiastico fa ricorso al metodo deduttivo.
Si tratta, come abbiamo visto, di un problema di sostanza, non di solo metodo.
Papa Francesco in questa enciclica innova in modo abbastanza drastico, deviando ampliamente dal metodo deduttivo.
Va detto che anche i suoi più diretti predecessori avevano intuito che la materia dei fenomeni sociali costringe all’analisi di situazioni spesso in movimento che sconsigliano prese di posizione drastiche come quelle che invocano la copertura della presunta “infallibilità pontificia”, perché o i fenomeni possono cambiare o l’analisi sulla quale si fonda il giudizio potrebbe essere non corretta, trattandosi di materie complesse.
Papa Francesco però supera molto spesso gli seccati che i suoi predecessori non avevano ritenuto opportuno superare.
Per esempio Paolo VI per primo ha manifestato nelle sue encicliche sociali un aperto e inusuale elogio alle acquisizioni della scienza moderna, ma non era certo arrivato a costruire un enciclica come quella di papa Francesco di fatto basata sul un riassunto delle posizioni più condivise in campo scientifico accademico sull’ambiente e sulle teorie socio- economiche dei pensatori (tutti progressisti) che su di queste hanno lavorato.
Ancora anche Paolo VI per la prima volta aveva manifestato interesse ed apprezzamento per quello che altre religioni e culture possono avere elaborato a favore dell’umanità intiera.
Anche Paolo Vi aveva fatto accenno ai problemi del degrado dell’ambiente a causa di una cattiva gestione da parte dell’attività umana e aveva intuito la necessità di fare riferimento su questi temi alla politica nelle sue forme più alte a cominciare possibilmente da quella elaborata in sede di organizzazioni internazionali.
Ma appunto si era trattato di accenni, se pure illuminati.
Ma papa Francesco entra abbondantemente nei dettagli su questi temi.
E’ la prima volta per esempio che in un enciclica papale si trovano lunghe citazioni di un Patriarca della Chiesa Ortodossa.
Sul rapporto con scienza, la differenza di metodo è ancora più vistosa, perché quest’enciclica, come abbiamo detto sopra è nella sostanza un riassunto puntuale di quello che sull’ambiente si pensa nel mondo scientifico.
E qui siamo alla radicale discontinuità nel metodo, perché fare riferimento alla scienza va benissimo, ma significa avere ben chiaro che questo significa riconoscere di navigare nelle acque inesplorate per la chiesa che la cui navigazione è fondata per definizione sul principio del “relativismo”.
Dove non esiste il concetto di verità, ma solo quello di acquisizione condivisa dal numero più largo di scienziati, sulla base dell’analisi critica delle loro opere scientifiche usando i protocolli riconosciuti come validi in quel mondo, ma sempre soggetta a un futuro possibile superamento.
Per un papa, rifarsi a questo metodo è un po’ un modo di varcare il Rubicone, non si può sottovalutare la portata dell’adozione di un tale metodo.
Siamo in universo radicalmente diverso rispetto a quello della deduzione di tutto da Scrittura, Tradizione e Magistero.
Però c’è un prezzo da pagare.
E’ chiaro che in quest’ottica il papa deve essere consapevole di non potere più pretendere di dispensare verità assolute, e di essere approdato nel campo del “relativismo”  dove non si cercano verità di fede, ma si cerca semplicemente di capire come gira il mondo.
Se un papa si mette in questa prospettiva, è come si accettasse implicitamente di rappresentare “un’agenzia di pensiero” che si mette umilmente a confronto  e insieme alle altre per  fornire risposte di conoscenza all’umanità.
Si tratta quindi di  una posizione ben diversa rispetto a quella  tradizionale che vedeva il papa  per definizione a pontificare sulle verità assolute, che presumeva di avere da dispensare.
Personalmente ritengo che questo atteggiamento  metodologico sia l’unico possibile per garantire la sopravvivenza delle  religioni nel mondo moderno, come più volte si è accennato in questo blog.
All’uomo moderno è improponibile dispensare come presunta verità definitiva la mitologia dell’una  o dell’altra religione che inevitabilmente si  proclama come l’unica detentrice dell’unica vera “rivelazione”, anche perché non si può sfuggire alla  ovvia considerazione, che  questo tipo di atteggiamento è del tutto  incompatibile con pacifica convivenza ed è anzi la base ideologica delle guerre di religione, come insegnano secoli  e secoli di storia.
Tutt’altro che facile però fare evolvere  la cultura religiosa dei fedeli rimasti che sono stati  indottrinati fin da ragazzi in una cultura religiosa di tipo tradizionalista- fondamentalista.
Questa considerazione però rende ancora più apprezzabile  la prospettiva aperta da papa Francesco.
Ancora una volta non posso non ricordare i primi accenti lungimiranti in questa direzione avanzati da Paolo VI , quando ci teneva a presentarsi umilmente come “esperto di umanità” piuttosto che come dispensatore di  verità assolute.
La strada per arrivare a papa Francesco è stata lunga ed è stata costellata di vistosi dietro- font, soprattutto ad opera del pontificato di papa Woytila, sempre prigioniero della cultura teologica decotta sulla quale si era formato.
Papa Francesco nella prima enciclica veramente tutta sua ha scelto di correre il rischio di un essere capito da chi in buona fede trova rassicurante potersi sentire fra i fortunati prescelti dall’unica vera religione.
Certo però che  risulta palesemente inverosimile mantenere quel tipo di posizione nell’attuale mondo globalizzato, quando, a meno di non vivere in un borgo isolato, si incontra gente di tutto il mondo e quindi di tutte le religioni e di tutte le culture, solo mettendo un piede fuori di casa.
Passare da un atteggiamento di ostilità preconcetta verso le altre religioni e culture, per passare a una posizione molto più umile e meno arrogante  che accetti di vedersi su una posizione di pari dignità per  essere di aiuto all’umanità comporta una autentica rivoluzione culturale.
Papa Francesco è stato probabilmente molto scaltro a impostare la sua nuova prospettiva metodologica scegliendo una materia con considerevoli risvolti “tecnici”, come è il discorso sull’ambiente.
In questo modo si trova già in un ambito tipico da “mondo moderno” con tutte le sue caratteristiche.
Sarebbe stato improponibile, dal punto di vista della gerarchia cattolica, usare quella prospettiva parlando di argomenti strettamente teologici e si sarebbe subito impantanato nelle solite diatribe dottrinali che non interessano più nessuno se non i pochi addetti ai lavori.
Ma papa Francesco con molta scaltrezza lancia la nuova prospettiva che sopra si è descritta in uno strumento tipico magisteriale come è un enciclica.
Sembra veramente in esercizio di tipica furbizia “gesuitica” partire da argomenti “tecnici” e “moderni” , ma per farci sopra un discorso prettamente religioso.
Tutto si legherebbe in una argomentazione coerente se il papa si fosse limitato ad enunciare la necessità di tornare a una ispirazione evangelica e basta.
Cioè invitare a ritornare alla prospettiva del messaggio evangelico basilare, che tutti capiscono immediatamente per dare la priorità  all’impegno verso i poveri e gli emarginati, gli “ultimi” nel linguaggio evangelico, questa avrebbe potuto essere  la base teologica -  magisteriale di tutta l’enciclica, coerente con tutto l’impianto di un discorso sull’ambiente condotto quasi con corretto metodo scientifico.
Perché il discorso sull’ambiente e il degrado ambientale non procede fine a sé stesso, ma è tutto impostato per dire che non tutti gli uomini sono  penalizzati da quelle conseguenze, ma che coloro che pagano il prezzo più alto sono proprio i poveri e gli emarginati, non certo i ricchi e i benestanti, che hanno i mezzi per potersi difendere.
Tutto bene quindi se papa Francesco si fosse fermato qui.
Ma non è così, perché non se lo ha fatto seguendo delle sue personali convinzioni e un suo disegno strategico, oppure se è stato costretto ad accettare chissà da quali pressioni esterne, il papa ha ritienuto di inserire quasi a metà  dell’enciclica un corposo paragrafo che è in totale contraddizione col “discorso quasi scientifico” che percorre tutto il resto dell’enciclica.
E’ come se nel bel  mezzo di un discorso estremamente innovativo, avesse fatto inserire un capitolo che riassume perfettamente la dottrina tradizionale sull’universo del suo predecessore Joseph Ratzinger.
Non mi dilungo nell’esposizione di questo capitolo ora, basterà dire che si tratta della riproposizione puntuale della dottrina tradizionalista dell’”intelligent design”.
Tutti abbiamo sentito parlare da decenni delle contrapposizioni radicali che si sono verificate anche con modi eclatanti nelle università sopra tutto anglosassoni.
Da una parte la scienza “ufficiale” rappresentata dalla quasi totalità degli  accademici di queste materie che sostengono l’assoluta inconfutabilità da un punto scientifico della darwiniana “teoria dell’evoluzione” ulteriormente rafforzata dagli studi più recenti, dall’altra tutto il mondo della cultura tradizionalista fondamentalista che la contesta frontalmente invocando una lettura sostanzialmente letterale della Bibbia.
Papa Francesco è vero cerca di evitare di essere assimilato a questo  filone di pensiero affermando esplicitamente che la Bibbia va letta usando la dovuta ermeneutica interpretativa, ma nella sostanza non fa altro che ribadire punto per punto  le affermazioni dell’”intelligent design” che, occorre sottolinearlo, viene considerato del tutto incompatibile ed il contraddizione con la teoria dell’evoluzione darwiniana dalla quasi totalità del mondo accademico della materia.
In altre parole se uno vuole farsi una sua idea sulla cosmologia, non può scegliere di adottare una percentuale di evoluzionismo sommata a una percentuale di “intelligen design” per salvare capra e cavoli, perché si tratta di due teorie che sono una l’antitesi dell’altra.
L’evoluzionismo è una teoria scientifica che esclude in modo categorico di poter ritrovare nello studio delle varie fasi dell’evoluzione un qualunque “disegno finalistico”.
E al contrario ritiene che  sia dimostrato e dimostrabile il fatto che tutto il lunghissimo processo di evoluzione è avvenuto per variazioni assolutamente casuali e senza che sia riscontrabile alcuna direzione finalistica che abbia orientato le variazioni in un senso invece che in un altro.
Punto.
Tutt’altra cosa è l’”intelligent design” che non è  affatto una teoria scientifica contrapposta o contrapponibile all’evoluzione, perché non è basata né può essere basata su alcuna possibilità di dimostrazione.
Questo discorso è’ ritenuto una “ispirazione di fede” ,e come tale è una forma di “wishfull thinking” cioè di voler credere a qualcosa senza avere alcuna possibilità di dimostrarla né di argomentarla almeno da un punto di vista logico.
E’ assolutamente necessario per chi vuole essere cattolico andare a ricercare argomentazioni atte a salvare capra e cavoli?
La maggioranza probabilmente ritiene di sì.
Oltretutto è talmente saldo il peso  delle formulazioni tradizionali che ci sono state a suo tempo impartite e sulle quali siamo stati indottrinati senza troppi scrupoli, che anche uno dei teologi progressisti più noti, come Vito Mancuso, che pure in tutta l’espirazione del suo pensiero ha indicato la necessità di innovare profondamente proprio sulla cosmologia, non è riuscito a non voler tentare tenacemente di trovare argomentazioni a favore di una direzione finalistica della evoluzione.
Quando però anche lui accetta di confrontarsi in dibattiti al dovuto livello con scienziati evoluzionisti, si trova suo malgrado a mal partito, perché regolarmente gli viene rinfacciato quello che del resto sa benissimo e cioè che la scienza moderna non lascia al momento alcuno spiraglio nemmeno minimo per poter intravvedere un disegno finalistico nell’evoluzione.
Sinceramente non capisco perché papa Francesco abbia deciso di inserire nell’enciclica la riproposizione dell’”intelligent design”, come se avesse un senso mettere insieme mele e pere facendo credere che siano tutte mele.
Non è corretto.
Nell’enciclica si citano lodandole le affermazioni della maggior parte degli scienziati in materia di ambiente
E come si è detto si tratta di un fatto nuovo e di un metodo di approccio ai problemi del tutto nuovo per un papa.
Ma proprio per questo non si capisce perché il papa non abbia avvertito la necessità fare un discorso un po più articolato o corretto o semplicemente più comprensibile per chi non sia uno stretto addetto ai lavori.
Se l’enciclica è diretta a tutti allora sarebbe stato necessario esporre un momentino cos’è l’evoluzione secondo la scienza e cos’è l’”intelligent design”  per chi ritiene di adottarlo.
Sarebbe stato necessario e doveroso aggiungere poi onestamente che l’uno collide con l’altro.
Ma nella formulazione dell’enciclica si finge che le due cose possano tranquillamente stare insieme senza creare problemi.
Mi sembra veramente un modo di procedere scorretto e poco produttivo, perché in questo modo tutto il discorso “moderno e scientifico” sull’ambiente finisce per perdere gran parte della sua credibilità.
Il papa con questa formulazione contradditoria e un po’ pasticciata, raccoglierà certo dei generici plausi per avere contribuito a spingere la gente a prendere coscienza dei gravi problemi ambientali, ma niente di più.
Perché  per gli uomini moderni e soprattutto quelli di orientamento progressista, come avevo già  accennato nel  precedente commento generale, le argomentazioni del papa sull’ambiente erano già note e assimilate da decenni.
Se però si trovano a leggere l’esaltazione dell’”intelligent design”, non potrebbero fare a meno di prenderla come una mazzata e probabilmente non troverebbero alcun interesse a proseguire nella lettura.
Capisco benissimo del resto che per un papa, mettere in discussione la dottrina tradizionale della “creazione dal nulla” sarebbe una scelta ben  difficile.
E questa è la ragione per la quale fin dall’inizio del pontificato di papa Francesco ho sempre ritenuto che questo nuovo papa, portatore di idee nuove sarebbe stato tanto più efficace, quanto più si sarebbe astenuto dall’andare ad inguaiarsi in dissertazioni dottrinali.
Il papa avrebbe potuto più correttamente dire : la scienza con la teoria dell’evoluzione ha formulato una visione cosmologica che confligge radicalmente con la nostra dottrina, tradizione, magistero.
Per di più la “filosofia” di fondo della teoria evoluzionista che riferisce come motore di tutto quell’enorme processo a variazioni puramente casuali, ci lascia con la bocca amara e non ci entusiasma per niente, ma purtroppo la scienza, oggi, come oggi non lascia alcuno spiraglio per potere individuare elementi di finalismo.
Nessuno può escludere che in futuro si possano trovare elementi diversi, ma purtroppo il dato scientifico è quello anche se non ci piace.
La Bibbia e la nostra dottrina hanno sempre sostenuto l’idea di una cosmologia fondata su un dio creatore dal  nulla e non di un universo eterno sempre esistito in forme oggi non conosciute prima del “big bang” e che sempre esisterà senza alcun bisogno di ricorrere al concetto di dio.
Ci può essere qualche modo per concepire l’idea di dio in modo diverso e che possa trovare un senso nell’universo della scienza?
Può corrispondere al concetto di dio il linguaggio universale dell’universo sintetizzabile nella matematica?
Può avvicinarsi a una spiegazione il concetto di “deus sive natura” di Baruch Spinosa?
Ed allora cerchiamo veramente nei fatti ausilio alla filosofia ed alla scienza, non solo a parole, che poi vengono contraddette dalla riproposizione della solita dottrina tradizionale, come se questa non fosse in assoluto contrasto con l’una e l’altra.
E via di seguito su questa linea di pensiero.
Oppure il papa poteva semplicemente, lasciare perdere il riferimento all’”intelligent design”, riferirsi solamente al pensiero evangelico di fondo a favore di poveri ed emarginati e invitare all’azione superando egoismi e indifferenza.
Peccato, perché la contraddizione è talmente evidente da rendere quest’enciclica di efficacia davvero dubbia.
Se poi si fa caso alle ricorrenti riproposizioni da parte di papa Francesco della dottrina più tradizionale e tradizionalista in materia di bioetica, viene il dubbio che abbia intenzione di proseguire il suo pontificato andando avanti a dare un colpo al cerchio e un altro alla botte e questo non sarebbe certo una buona idea.
Non resta che sperare di vedere in futuro più atti concreti, meglio se vistosi e simbolici sulla linea di un recupero del puro evangelo e sempre meno riproposizioni dottrinali.


Nessun commento: