mercoledì 22 luglio 2015

Emigrare è un diritto non si discute, ma perché il pensiero unico deve esaltarlo come un valore? Scappare può essere l’ultima ratio, ma non è un’azione eroica




Analizzando i numeri degli immigrati ospitati nei singoli paesi, si può rilevare che effettivamente non è vero che in Italia saremmo sommersi dagli immigrati.
E’ vero però che per una serie di ragioni la gente percepisce questo fenomeno con crescente preoccupazione e fastidio.
L’inefficienza e la mancanza di programmazione e di idee del politico competente (il Ministro Alfano) non fanno altro che dare ulteriore fuoco alle polveri.
Non meno irritante e controproducente è il pensiero unico sostenuto più vistosamente dalla solita sinistra al caviale, secondo il quale sarebbe nostro ovvio dovere tenere aperte le porte a prescindere dal numero e dal tipo di immigrazione.
Pochi giorni fa abbiamo visto internet inondato dal video della lezione di educazione civica impartito da Frau Merkel che ha fatto piangere la famosa ragazzina palestinese la quale, dopo avere espresso il suo grande desiderio di rimanere in Germania, si è sentita pacatamente rispondere dalla Cancelliera: ma vedi bene che non possiamo accogliervi tutti!
In Germania i politici ritengono ancora loro dovere esporre e fare rispettare le regole.
Fosse così anche da noi!
Quello che mi meraviglia però in questo ormai lungo dibattito sulle ondate migratorie è la filosofia che sembra esserci dietro, secondo la quale sarebbe ineluttabile prepararsi a migrazioni bibliche dai paesi poveri a quelli ricchi, il tutto fondato sul presupposto che tutti quelli che la pensassero diversamente sarebbero da qualificarsi come rozzi ignorantoni, razzisti e anche un po’ fascisti, ma soprattutto ignoranti.
Ecco, la penso diversamente sul problema immigrazione e non credo affatto di ignorare i termini del problema.
-prima di tutto non condivido, ed anzi giudico un offesa all’intelligenza della gente il mantra che vuole considerare un valore, un titolo di merito, il fatto stesso di emigrare dal proprio paese.
Mai prima nella storia lo scappare dal proprio paese in difficoltà è stato giudicato come un merito, a meno di non pensare per esempio all’esilio, per definizione temporaneo, scelto dagli anti-fascisti ,che andavano all’esteno per continuare la lotta contro il regime in modo più produttivo e per prepararsi meglio al ritorno.
Nelle attuali ondate migratorie non si vede nulla di tutto questo.
Si dice : scappano perché nei loro paesi c’è la guerra.
Va bene lo capisco, però le guerre si possono anche combattere.
La democrazia e la libertà nella storia sono arrivate perché qualcuno ha giudicato di dovere, se necessario, dare anche la vita, pur di lasciare un paese migliore ai propri figli e nipoti.
Scappano perché diversamente sarebbero perseguitati dai loro avversari politici?
Tutti convinti antifascisti?
Ne dubito fortemente e dubito ancor più fortemente che Alfano sia capace di porre in essere un qualunque sistema sensato ed efficiente per individuare nella massa i rifugiati per documentabili ragioni politiche, dare ospitalità a questi e rispedire a casa gli altri.
Certo che per mettere mano a situazioni come queste bisogna prendere delle decisioni politiche forti.
Occorre conoscere bene le situazioni dei singoli paesi e scegliere la fazione da appoggiare e quella da contrastare.
Ma non buttiamoci sempre a capofitto nel masochismo nazionale.
L’Italia ha esperti di Africa e Medio Oriente di alto livello, in grado di “consigliare” un governo che decidesse di prendere l’iniziativa in questi campi.
Non mancano le conoscenze, manca la volontà politica.
Non si dica che non facciamo nulla perché ci mancano i soldi.
Chi sa di cosa sia veramente la cooperazione internazionale sa benissimo che non si tratta affatto di una grande Caritas laica, ma che i finanziamenti che si danno in questi casi sono quasi sempre una partita di giro: noi vi diamo un finanziamento di 10 milioni e voi li spendete per costruire la tale infrastruttura naturalmente tramite imprese italiane.
Non è carità pelosa, perché nulla centra con la carità, è solo politica, per chi la sa fare, e i nostri partner europei, in questo campo se la cavano benissimo, dal periodo coloniale in poi.
Se poi spendessimo dei soldi per finanziare l’educazione universitaria in Italia delle classi politiche africane ecc. questi sarebbero soldi spesi bene, sempre come fanno da sempre i nostri cugini europei e come noi non sappiamo fare.
Ci aveva provato con successo Fanfani, a fine anni ’60, poi ha proseguito in modo disastroso Craxi, buttando via un sacco di soldi.
Quello che voglio dire è che è una cosa penosa il fatto che questa attuale classe politica più che mediocre con la sua carenza di idee e con conseguente mancanza di iniziative, ha convinto la gente che l’immigrazione sia soprattutto proprio un problema di carità, di buon cuore, di assistenza.
C’è ovviamente anche questo, ma per degli statisti o anche dei semplici politici appena appena capaci, questi dovrebbero essere soprattutto problemi politici, ed in politica non si da niente per niente, perché questa è la natura della politica.
Se riconosci lo status di rifugiato a chi fugge dal regime del Generale X, automaticamente ti dichiari alleato del Colonnello Y, suo avversario, la vogliamo capire?
Vogliamo parlare pubblicamente di queste cose o andiamo avanti a fingere che sia tutta una grande Caritas?
E se implicitamente l’Italia si dichiara alleata del Colonnello Y, prima di tutto ne deve essere consapevole, e poi si deve porre il problema se ne vale la pena e se è il caso di aiutarlo dando una mano agli esuli della sua parte, che abbiamo ospitato o magari anche di fornirgli qualche sistema di armamento.
O è tutta una farsa e nessuno pensa alle implicazioni politiche di queste scelte?
Certo che mette i brividi pensare a un dibattito parlamentare anche solo nel chiuso delle commissioni esteri fra le forze politiche che si schiererebbero col Generale x e quelle che si schiererebbero col Colonnello Y.
Abbiamo politici che quando venivano intervistati a sorpresa dai giornalisti delle Iene dimostravano chiaramente di ignorare perfino la geografia.
Ma, speriamo bene.
I recenti fatti (rapimento di quattro tecnici italiani) in Libia hanno riportato l’attenzione sulla situazione di quel paese.
E’ una situazione al limite, ma proprio per questo è particolarmente significativa.
Non per essere cinici, ma quando un paese è tanto allo sbando da non esistere nemmeno più come stato, se una potenza esterna fosse governata da autentici statisti (per fare un esempio nostrano mi tocca andare indietro fino a Giolitti) questi troverebbero facile inserirsi per fare il proprio gioco perché saprebbero di avere la quasi sicurezza che gli altri attori internazionali, nemmeno se ne accorgerebbero delle loro trame, tanta è la confusione che vi regna.
Questo è il momento giusto, per chi ci sa fare.
Si faccia pure finta di dare appoggio a quel povero pellegrino di Leon, che il Segretario dell’Onu ha incaricato di fare dialogare gli pseudo-governi di Tripoli e di Tobruk, con risultati nulli e contro- producenti, ma si facciano invece le proprie scelte fra le fazioni in lotta.
Si scelga per esempio di appoggiare l’ex generale di Gheddafi, Kalifa Haftar, alleato dell’egiziano Al Sissi e lo si armi contro l’Isis e i Fratelli Musulmani del governo di Tripoli, tanto a questo punto la Libia non è in grado di fornire quasi più né petrolio né gas.
Ogni scelta è ovvio non sarebbe indolore, né di tutto riposo, ma dimostrerebbe almeno che l’Italia ha un piano e che non è una vuota spettatrice, non ostante i molti soldi che il nostro paese ha investito in Libia nel passato.
Rimanendo alle considerazioni sui rifugiati, è vero che ,ammesso che si possa seriamente appurare che si tratta veramente di rifugiati- perseguitati politici, ci sono dei tempi tecnici per identificarli e poi per trovar loro una sistemazione.
Ma non è possibile che le nostre famiglie nelle quali la metà se non più dei giovani sono senza lavoro, possano stare a vedere centinaia o migliaia di persone per le quali lo stato coi nostri soldi spende 35 Euro al giorno ( che significano esattamente 1.050 al mese) per periodi anche molto lunghi ad annoiarsi a far niente.
Non è moralmente tollerabile una cosa del genere, qui non c’entra essere di destra o di sinistra, qui c’entrano solo elementari considerazioni di buon senso.
Che dovrebbero fare accettare l’idea ovvia, che prima si debbono prioritariamente trovare i soldi per dare ai nostri giovani un salario di cittadinanza, e poi , ma solo dopo, si useranno altri soldi per i rifugiati.
D’accordo che non è così semplice perché per i rifugiati si usano soldi stanziati ad hoc dalla UE, ma i politici sono li apposta per fare il loro mestiere e non possono fare cose percepite come insensate.
Poi, come dice Frau Merkel, per coloro (in numero limitato) che si possono ospitare devono valere delle regole precise e cioè deve essere chiara l’accettazione da parte loro di una serie di doveri e la prioritaria volontà di integrarsi.
-dal problema immigrati perché richiedenti asilo, passiamo poi se pure in sintesi al problema immigrati per ragioni economiche.
Si è finalmente quasi elaborata la conclusione che per coloro che arriveranno d’ ora in poi per ragioni economiche, non c’è più posto e che quindi occorrerà attrezzarsi per rispedirli indietro.
Ma anche qui si stenta a formulare un giudizio sensato, che non sia prigioniero di un buonismo di maniera sempre più irritante e insopportabile.
Ci hanno costretti a considerarli tutti eroi.
Onore all’estremo coraggio o incoscienza che dimostra chi si sottopone alle traversie delle traversate del deserto e poi all’imbarco sui barconi.
Ma nel giro del tempo abbiamo imparato a fare quattro conti.
Si dice, anzi lo dichiarano gli interessati che quei viaggi costano loro alcune migliaia di Euro a testa.
Cifre di un importo non trascurabile per noi, ma enormi se valutate al livello del costo della vita nei loro paesi di origine.
Penso che sia lecito chiedersi se quei soldi investiti in attività economiche anche solo agricole elementari (pozzo e asino, che è la forza motrice dell’Africa) non sarebbero molto più utili per lo sviluppo economico del pianeta, che non una badante o un manovale in più in Europa.
Questa linea di discorso diventa ancora più solida se si pensa al peso del fattore umano.
E’ a conoscenza di tutti coloro che abbiano familiarità con un immigrato extra-comunitario che quelli che emigrano sono i migliori ,i più determinati dei loro paesi di origine, che con quella emigrazione perdono pezzi della loro colonna vertebrale.
E’ sensato favorire anche solo culturalmente sui media questo tipo di emigrazione, giudicandola inevitabile, come il susseguirsi ineluttabile delle stagioni?
Forse sarebbe il caso di studiarsi un po’ meglio il fascicolo.
Ma ci rispondono i soloni soprattutto della sinistra buonista al caviale : ma questa è la globalizzazione, è ineluttabile.
Ma quando mai. Si sono governate perfino le invasioni barbariche, figuriamoci se non è possibile governare le emigrazioni.
Prima occorre però elaborarsi una filosofia, una strategia a lungo periodo.
Che almeno si cominci a considerare il problema senza arrestarsi davanti a tabù presunti intoccabili.

Perchè se scoprissimo che il buonismo al caviale trionfante nasconde solo la convenienza di prendersi forza lavoro a basso prezzo e ad alta natalità, che almeno i teorici del buonismo vengano allo scoperto e ce lo dicano apertamente.

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