Se Salvini fosse
stato colto dalla sicurity di un supermercato Coop a mettersi nella
borsa una confezione di biscottini succulenti per non pagarli alla
cassa, nessuno avrebbe avuto nulla da ridire a proposito di una
inevitabile conseguente azione penale verso un cittadino, colto in
frangranza del reato di furto, magari con destrezza.
Ma ben altra
cosa è indagarlo per sequestro di persona (relativamente al divieto
di sbarco per i clandestini raccolti dalla nave Diciotti, divenuta
ormai famosa), e cioè per un atto emesso assolutamente
nell’esercizio delle sue funzioni di ministro degli interni , che
guarda caso è anche perfettamente conseguente al suo programma
elettorale, cioè alle direttive politiche per le quali i cittadini
elettori gli hanno garantito ampi consensi, che tra l’altro i
sondaggi ci dicono che nel frattempo si sono allargati di molto.
Il Procuratore che
si è preso la briga di costruirci sopra un’azione penale, sapeva
dal principio che il suo lavoro avrebbe prodotto un grandissimo
effetto mediatico, ma un bel nulla sul piano pratico, perché la
tanto decantata Costituzione prevede che un ministro non può venire
giudicato dalla magistratura ordinaria, ma solo dai suoi pari, e cioè
dal così detto Tribunale di Ministri, e quindi i suoi atti non
gireranno per tribunali, ma per i palazzi del potere.
E dato che l’attuale
governo del quale il ministro Salvini fa parte gode di una
maggioranza parlamentare fra le più ampie che si ci siano mai state.
Per di più se
vogliamo occuparci delle conseguenze politiche di quest’azione
penale, non potremo fare a meno di notare che nulla sarebbe stato più
efficace per ricucire in modo robusto le relazioni rima sfilacciate
fra Salvini e Berlusconi, che si vede emotivamente ricaricare nel
ricordo di quelle che lui ha sempre giudicato “persecuzioni
giudiziarie” e che forse dato l’assolutamente abnorme numero di
azioni intentategli contro, in parte lo saranno anche state.
Con il che nel
Tribunale dei Ministri la maggioranza pro-Salvini si prospetta
addirittura “bulgara” cioè a livello di due terzi, dato che
Berlusconi lo appoggerà questa volta con sincero entusiasmo.
E allora perché
l’incriminazione di Salvini in una materia che dal punto di vista
tecnico giuridico è quanto mai complessa, scivolosa e tutt’altro
che univoca?
Non credo che quel
procuratore si sia mosso per mettersi sotto i riflettori, perché non
può non sapere bene che fra pochissimo quegli atti passeranno in
altre mani e del suo nome nessuno più si ricorderà.
Probabilmente lo ha
fatto in assoluta buona fede e nella convinzione di dover difendere
la forma del dettato della legge, anche se come si è appena detto,
quel dettato in questa fattispecie è tutt’altro che evidente.
Molti
magistrati sono stati educati in modo da privilegiare la forma sopra
qualsiasi cosa, e questo non è certo un merito delle nostre facoltà
giuridiche.
A titolo di esempio
vorrei ricordare il caso di quella procuratrice, per di più molto
giovane che si è trovata ad emettere un atto che di fatto sospendeva
il lavoro all’Ilva , la maggiore acciaieria d’Italia e forse
d’Europa, con conseguenze catastrofiche per le famiglie dei
lavoratori e le commesse in corso dell’azienda.
Questo per
dire che anche se la grande maggioranza delle vicende giudiziarie non
va oltre i confini privati delle parti, in alcuni casi, ci sono atti
delle procure o dei tribunali che hanno conseguenze più che
rilevanti sulla vita di tutta la comunità nazionale e che quindi in
termine tecnico, sono altamente “politiche”.
Non riconoscerlo
significa fare la politica dello struzzo, che non è mai una cosa
intelligente e razionale.
Il barone di
Montesquieu quando scrisse “De l’esprit des loix”, ed eravamo
nel 1748, cioè, onore a lui, ben quarant’anni prima della
Rivoluzione Francese, fece prendere forma in modo organico alla
teoria della divisione di poteri dello stato, creando uno dei
concetti più fondamentali sui quali si fondano le nostre democrazie
moderne.
Ma sia lui che
Alexis de Tocqueville, altro genio fondatore della moderna scienza
politica, che un secolo dopo Montesquieu ha ampliato la portata delle
sue teorie, hanno capito da subito che la divisione è
essenziale ma che non si può fare usando l’accetta.
Prova ne è
che nella democrazia francese contemporanea è
previsto esplicitamente un collegamento fra esecutivo e giudiziario
con una figura del governo presso la procura generale col compito di
farsi portavoce presso l’apparato giudiziario di quelle istanze che
i cittadini elettori hanno favorito nei programmi dei partiti che
sono stati portati al governo dalle ultime elezioni.
Non parliamo
degli Stati Uniti, dove , i lettori e gli spettaori dei
“legal triller” americani ben sanno, i “District Attorney”,
cioè i procuratori che gestiscono la pubblica accusa sono
regolarmente eletti dai cittadini nel corso delle elezioni locali.
Quindi quando
Salvini dice ,facciano quello che vogliono, ma io sono stato eletto e
loro no, non è che parla da eversore, ma semplicemente dice che nel
sistema italiano, previsto dalla presunta “costituzione migliore
del mondo”, c’è molto a cui sarebbe bene mettere mano.
Purtroppo la
nostra Costituzione è stata scritta è vero da una costituente
formata da personalità di elevate qualità, ma che purtroppo erano
ossessionate prima di ogni altra cosa, dal terrore quasi paranoico
che li spingeva a costruire dighe che impedissero la rinascita del
fascismo in Italia.
Ed allora la spinta
a costruire organi dotati di poteri limitati e superbilanciati da
altri poteri.
Sempre pensando a
fare al contrario di quello che avrebbero fatto i fascisti, salvo la
magistratura, che doveva essere ultra-indipendente dal potere
politico.
E’ comprensibile
che allora ragionassero così, ma oggi, che senso ha?
L’unico legame fra
politica e magistratura è il Vicepresidente (Presidente di fatto)
del Consiglio Superiore della Magistratura, che è un esponente
politico.
Nella prima
repubblica,che oggi è di moda screditare, quando partiva un’azione
penale di chiara rilevanza pubblica (vedi il sopra citato caso Ilva)
o che implicava la politica (come il caso Salvini), l’azione veniva
iniziata dal procuratore aggiunto o sostituto x o y, ma quasi subito
per iniziativa diretta o a seguito di qualche autorevole telefonata,
il “caso” veniva avocato a sé per via gerarchica
dalla procuratore
capo o dalla procura generale.
Orrore! Strillava la
sempreterna “sinistra al caviale”, vogliono insabbiare!
Certo che il
rischio c’era, ma c’era anche in ballo l’interesse pubblico,
cioè “politico” che solo gli eletti sono legittimati a trattare
per elementare definizione delle istituzioni democratiche, perché
così è la democrazia.
La “moral suasion”
del Quirinale, che viene regolarmente invocata in questi casi dai
“padri nobili”, in genere ex membri della Consulta vissuti per
anni a quasi mezzo milione al mese alla nostra salute
è del tutto
insufficiente e sopratutto manca del requisito essenziale della
trasparenza.
La “moral suasion”
officiata dal Vice presidente del Csm è ancor meno trasparente e
spesso pare che proprio non ci si sforzi più di tanto.
E allora?
E allora il sistema
attuale di equilibrio dei poteri per quanto riguarda la magistratura
è sbilanciato.
Ai tempi deprecati
della DC, la balena bianca, il potere che quel partito assommava in
sé era tale per cui nei caso sopra citati, bastava che il presidente
del consiglio del momento alzasse il telefono per parlare con qualche
toga di alto livello e il problema si risolveva miracolosamente.
Ma oggi siamo
lontanissimi da quei tempi e non è affatto male che sia così.
Oggi c’è lo
strombazzato “governo del cambiamento” e quindi che la cosa ci
sia o non ci sia nel “contratto”, dovrebbe essere evidente ai due
partiti partner che il problema della giustizia è grosso come una
casa e che quindi è una delle priorità metterci le mani.
Se il prode
“Giggino” di Maio lo capisse prima di beccarsi la sgradevole
comunicazione giudiziaria che prima o poi capiterà anche a lui, sarà
veramente una bella cosa.
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