I film-maker fanno
il loro mestiere e per elevata che sia l’opera che producono certo
non trascurano di pensare che verrebbero anche farci qualche
solderello.
Nel caso di questo
film sugli ultimi anni di Craxi ad Hammamet le cose non saranno
andate diversamente ma con qualche patema d’animo in più perché
il personaggio scelto come protagonista era uscito male di scena e la
sua figura politica era fortemente controversa.
Il film quindi
avrebbe potuto essere avversato finendo in un fiasco con relativo
disastro economico.
Personalmente ho
vissuto gli anni di Craxi e non sono mai stato un suo ammiratore né
come leader politico né come personaggio umano, distaccato,
arrogante, in poche parole antipatico in modo deciso.
Ma sono passati
vent’anni dalla sua scomparsa e il mondo è cambiato radicalmente.
Di conseguenza avevo
la curiosità di vedere questo film Hammamet, certo però che tutto
mi aspettavo meno che di dovere fare una lunga fila al botteghino,
quasi tutta gente di una certa età, come mè del resto, ma un sacco
di gente.
Ebbene una ragione
c’era, il film è di indiscussa qualità.
Chi ha fatto questo
film ha raggiunto una fila di risultati difficili da mettere insieme.
Non dico che ha
accontentato tutti perché sarebbe una stupida banalità, ma ha
volato abbastanza alto da stoppare le paranoie delle opposte
tifoserie.
Innanzi tutto il
voto da dare al film come giudizio artistico non può che essere
elevato.
E’ la storia
drammatica di un uomo che dopo essere stato il padrone di questo
paese per un certo numero di anni osannato dal suo partito che lo
aveva incoronato al famoso congresso dell’Ansaldo nell’’89 con
una maggioranza strabocchevole, era stato distrutto dalle indagini di
Mani Pulite.
Trovate le tracce di
ingenti finanziamenti, il leader è stato condannato in via
definitiva.
Tutto bene, tutto
regolare ? ma neanche per sogno!
La sua chiamata di
correo alla Camera quando invitò i colleghi a negare se ne avevano
il coraggio che i soldi li avevano presi e spartiti tutti
quanti,rimase ovviamente senza risposta.
L’inchiesta di
Mani Pulite esaltata dai media con furia giustizialista per anni,
vista vent’anni dopo mostra tutti i limiti che aveva avuto se non
il suo completo fallimento.
Non fa male Stefania
Craxi a ripetere se non a urlare nelle comparsate tele visive alle
quali l’invitano i numeri che dimostrano nella loro assoluta
neutralità il palese fallimento di quella inchiesta.
Un numero
spropositato di indagati, un altrettanto abnorme numero di
incarcerati per arrivare a un estremamente esiguo numero di condanne
in via definitiva.
Se è vero che
sarebbe buona cosa non contestare le sentenze per non nuocere alla
credibilità della magistratura, è altrettanto vero che i numeri non
si discutono per definizione.
Che a quella
magistratura l’eccesso di copertura ed esaltazione mediatica avesse
dato alla testa è difficile da contestare, come giudicare
diversamente quella celebre frase del loro capo quando esternò
qualcosa di simile a “se il popolo dovesse richiederci un
intervento….”
Che nella conduzione
delle indagini si fosse imposta una selezione dei bersagli che
escludeva il maggiore partito di opposizione il PCI è altrettanto
difficile da contestare.
Che il popolo che lo
assalì all’uscita del Rafael con le monetine non fosse formato da
illuminati cittadini che passavano di lì per caso oggi lo sappiamo
tutti.
Tutti fatti ormai
tranquillamente accettati pressochè da tutte le parti politiche.
Però, rimane un
però grosso come un macigno.
Per fare un esempio
accusato di reati non meno infamanti, quel Lucifero di Andreotti ebbe
gli attributi, come si dice per presenziare quando ormai il potere
l’aveva perso ed a un’età decisamente avanzata a quasi tutte le
udienze.
Craxi invece si è
lasciato fregare da quel suo io abnorme che lo rendeva arrogante e
scostante.
Voleva un
impossibile tribunale fra “pares”.
O meglio voleva che
una classe politica pavida e tremante di fronte a quella
magistratura, pronta a far tintinnare le manette anche al Quirinale,
se del caso, avesse un sussulto di dignità e riconosciuta la realtà
del magna magna condiviso da tutti, votasse una amnistia generale.
Sarebbe stata la
fine dei vertici di quella classe politica, ma si sarebbe salvato il
sistema dei partiti.
Non ne ebbero il
coraggio e preferirono ballare un ultimo valzer indecente sul
Titanic.
Per regalare
all’Italia il ventennio berlusconiano, cioè il nulla.
E’ vero che
rispetto ad Andreotti il contesto era diverso e che se Craxi non si
fosse reso latitante gli si sarebbero quasi sicuramente aperte le
porte di San Vittore.
Ma anche da San
Vittore si può fare politica se uno è messo in quelle condizioni.
Quell’errore
enorme lo ha fatto è innegabile, la battaglia anche da San Vittore
se ci credeva avrebbe avuto un senso, da Hammamet no.
Ma proprio in questo
da Hammamet no sta l’alto livello del film proprio per la estrema
drammaticità della battaglia che ad Hammamet si era combattuta nella
psiche di Craxi.
Avrebbe voluto
essere il suo eroe riferimento di una vita, il Garibaldi in esilio,
ma sapeva di non potere esserlo.
Avrebbe voluto
essere lo statista ridotto all’esilio da un colpo di stato
architettato da magistratura, servizi,Cia, poteri forti, ma sapeva
che i suoi argomenti erano deboli.
Avrebbe tanto
desiderato avere intorno i “mille” di Calatafimi magari pensando
ai mille che lo avevano osannato all’Ansaldo.
Ma il tintinnio di
manette in quegli anni era terrorizzante.
Addirittura il suo
erede politico designato, i suoi luogotenenti,tutti volatilizzati,
nessuno che avesse avuto il coraggio di spendersi per salvare il
salvabile ma nemmeno per tirare fuori una parola a suo favore, anche
se da lui avevano avuto tutto.
Mi è piaciuta
moltissimo la trovata scenica di intrecciare tutta la vicenda di
Hammamet con la presenza diretta e poi tramite il figlio dell’uomo
che nel partito teneva le fila della borsa e che fin dall’Ansaldo
lo aveva affrontato a muso duro denunciandogli la insostenibilità di
una classe politica di yes man,che rubacchiavano a man bassa.
Il personaggio
scomparso in modo mai chiarito, viene sostituito dal figlio più o
meno fuori di testa, che nella narrazione scenica rappresenta
probabilmente il “transfer” dei dubbi interiori dello stesso
protagonista.
Questo singolare
personaggio compare ad Hamamet, accolto da Craxi con evidente
affetto, pur sapendo che si portava nello zaino una pistola per farsi
giustizia sommaria di chi aveva secondo lui “rovinato”la vita a
suo padre.
Tanta è forte la
tensione drammatica dei sensi di colpa che il portatore di quel
transfer, dopo un lungo periodo di odio-amore per il leader
socialista, non tenta di ucciderlo,ma finisce al manicomio.
Illuminante la frase
messa sulle labbra dello psichiatra al quale la figlia Craxi chiede
:ma come si può curarlo?
Lo psichiatra
risponde :non c’è una cura per una malattia che non è una
malattia.
Nella nostra psiche,
giusta o malata, siamo noi che abbiamo da combattere.
E infatti Craxi ha
dovuto convivere con quelle tensioni, rimorsi,odii,sensi di colpa
fino alla fine e questa forse è stata la peggiore condanna che la
sorte potesse riservargli.
Il film voleva
esternare questo groviglio di sentimenti e secondo me ci è riuscito.
Se poi vogliamo non
risparmiarci una digressione politica direi che la drammaticità
degli eventi di Hammamet è ancora più accentuata dalla incredibile
sorte che alla quale è stata condannato il socialismo o più
modernamente la socialdemocrazia.
La storia, dopo la
caduta del muro di Berlino ne ha indiscutibilmente decretato la
vittoria sul comunismo e sul liberismo, ma questa forza politica
langue in tutto il mondo salvo i paesi scandinavi.
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