lunedì 20 gennaio 2020

Il film su Hammamet






I film-maker fanno il loro mestiere e per elevata che sia l’opera che producono certo non trascurano di pensare che verrebbero anche farci qualche solderello.
Nel caso di questo film sugli ultimi anni di Craxi ad Hammamet le cose non saranno andate diversamente ma con qualche patema d’animo in più perché il personaggio scelto come protagonista era uscito male di scena e la sua figura politica era fortemente controversa.
Il film quindi avrebbe potuto essere avversato finendo in un fiasco con relativo disastro economico.
Personalmente ho vissuto gli anni di Craxi e non sono mai stato un suo ammiratore né come leader politico né come personaggio umano, distaccato, arrogante, in poche parole antipatico in modo deciso.
Ma sono passati vent’anni dalla sua scomparsa e il mondo è cambiato radicalmente.
Di conseguenza avevo la curiosità di vedere questo film Hammamet, certo però che tutto mi aspettavo meno che di dovere fare una lunga fila al botteghino, quasi tutta gente di una certa età, come mè del resto, ma un sacco di gente.
Ebbene una ragione c’era, il film è di indiscussa qualità.
Chi ha fatto questo film ha raggiunto una fila di risultati difficili da mettere insieme.
Non dico che ha accontentato tutti perché sarebbe una stupida banalità, ma ha volato abbastanza alto da stoppare le paranoie delle opposte tifoserie.
Innanzi tutto il voto da dare al film come giudizio artistico non può che essere elevato.
E’ la storia drammatica di un uomo che dopo essere stato il padrone di questo paese per un certo numero di anni osannato dal suo partito che lo aveva incoronato al famoso congresso dell’Ansaldo nell’’89 con una maggioranza strabocchevole, era stato distrutto dalle indagini di Mani Pulite.
Trovate le tracce di ingenti finanziamenti, il leader è stato condannato in via definitiva.
Tutto bene, tutto regolare ? ma neanche per sogno!
La sua chiamata di correo alla Camera quando invitò i colleghi a negare se ne avevano il coraggio che i soldi li avevano presi e spartiti tutti quanti,rimase ovviamente senza risposta.
L’inchiesta di Mani Pulite esaltata dai media con furia giustizialista per anni, vista vent’anni dopo mostra tutti i limiti che aveva avuto se non il suo completo fallimento.
Non fa male Stefania Craxi a ripetere se non a urlare nelle comparsate tele visive alle quali l’invitano i numeri che dimostrano nella loro assoluta neutralità il palese fallimento di quella inchiesta.
Un numero spropositato di indagati, un altrettanto abnorme numero di incarcerati per arrivare a un estremamente esiguo numero di condanne in via definitiva.
Se è vero che sarebbe buona cosa non contestare le sentenze per non nuocere alla credibilità della magistratura, è altrettanto vero che i numeri non si discutono per definizione.
Che a quella magistratura l’eccesso di copertura ed esaltazione mediatica avesse dato alla testa è difficile da contestare, come giudicare diversamente quella celebre frase del loro capo quando esternò qualcosa di simile a “se il popolo dovesse richiederci un intervento….”
Che nella conduzione delle indagini si fosse imposta una selezione dei bersagli che escludeva il maggiore partito di opposizione il PCI è altrettanto difficile da contestare.
Che il popolo che lo assalì all’uscita del Rafael con le monetine non fosse formato da illuminati cittadini che passavano di lì per caso oggi lo sappiamo tutti.
Tutti fatti ormai tranquillamente accettati pressochè da tutte le parti politiche.
Però, rimane un però grosso come un macigno.
Per fare un esempio accusato di reati non meno infamanti, quel Lucifero di Andreotti ebbe gli attributi, come si dice per presenziare quando ormai il potere l’aveva perso ed a un’età decisamente avanzata a quasi tutte le udienze.
Craxi invece si è lasciato fregare da quel suo io abnorme che lo rendeva arrogante e scostante.
Voleva un impossibile tribunale fra “pares”.
O meglio voleva che una classe politica pavida e tremante di fronte a quella magistratura, pronta a far tintinnare le manette anche al Quirinale, se del caso, avesse un sussulto di dignità e riconosciuta la realtà del magna magna condiviso da tutti, votasse una amnistia generale.
Sarebbe stata la fine dei vertici di quella classe politica, ma si sarebbe salvato il sistema dei partiti.
Non ne ebbero il coraggio e preferirono ballare un ultimo valzer indecente sul Titanic.
Per regalare all’Italia il ventennio berlusconiano, cioè il nulla.
E’ vero che rispetto ad Andreotti il contesto era diverso e che se Craxi non si fosse reso latitante gli si sarebbero quasi sicuramente aperte le porte di San Vittore.
Ma anche da San Vittore si può fare politica se uno è messo in quelle condizioni.
Quell’errore enorme lo ha fatto è innegabile, la battaglia anche da San Vittore se ci credeva avrebbe avuto un senso, da Hammamet no.
Ma proprio in questo da Hammamet no sta l’alto livello del film proprio per la estrema drammaticità della battaglia che ad Hammamet si era combattuta nella psiche di Craxi.
Avrebbe voluto essere il suo eroe riferimento di una vita, il Garibaldi in esilio, ma sapeva di non potere esserlo.
Avrebbe voluto essere lo statista ridotto all’esilio da un colpo di stato architettato da magistratura, servizi,Cia, poteri forti, ma sapeva che i suoi argomenti erano deboli.
Avrebbe tanto desiderato avere intorno i “mille” di Calatafimi magari pensando ai mille che lo avevano osannato all’Ansaldo.
Ma il tintinnio di manette in quegli anni era terrorizzante.
Addirittura il suo erede politico designato, i suoi luogotenenti,tutti volatilizzati, nessuno che avesse avuto il coraggio di spendersi per salvare il salvabile ma nemmeno per tirare fuori una parola a suo favore, anche se da lui avevano avuto tutto.
Mi è piaciuta moltissimo la trovata scenica di intrecciare tutta la vicenda di Hammamet con la presenza diretta e poi tramite il figlio dell’uomo che nel partito teneva le fila della borsa e che fin dall’Ansaldo lo aveva affrontato a muso duro denunciandogli la insostenibilità di una classe politica di yes man,che rubacchiavano a man bassa.
Il personaggio scomparso in modo mai chiarito, viene sostituito dal figlio più o meno fuori di testa, che nella narrazione scenica rappresenta probabilmente il “transfer” dei dubbi interiori dello stesso protagonista.
Questo singolare personaggio compare ad Hamamet, accolto da Craxi con evidente affetto, pur sapendo che si portava nello zaino una pistola per farsi giustizia sommaria di chi aveva secondo lui “rovinato”la vita a suo padre.
Tanta è forte la tensione drammatica dei sensi di colpa che il portatore di quel transfer, dopo un lungo periodo di odio-amore per il leader socialista, non tenta di ucciderlo,ma finisce al manicomio.
Illuminante la frase messa sulle labbra dello psichiatra al quale la figlia Craxi chiede :ma come si può curarlo?
Lo psichiatra risponde :non c’è una cura per una malattia che non è una malattia.
Nella nostra psiche, giusta o malata, siamo noi che abbiamo da combattere.
E infatti Craxi ha dovuto convivere con quelle tensioni, rimorsi,odii,sensi di colpa fino alla fine e questa forse è stata la peggiore condanna che la sorte potesse riservargli.
Il film voleva esternare questo groviglio di sentimenti e secondo me ci è riuscito.
Se poi vogliamo non risparmiarci una digressione politica direi che la drammaticità degli eventi di Hammamet è ancora più accentuata dalla incredibile sorte che alla quale è stata condannato il socialismo o più modernamente la socialdemocrazia.
La storia, dopo la caduta del muro di Berlino ne ha indiscutibilmente decretato la vittoria sul comunismo e sul liberismo, ma questa forza politica langue in tutto il mondo salvo i paesi scandinavi.



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