Continuo a trovare
formidabili questi brevi trattati che coprono le varie branchie della
filosofia che è riuscito a donarci Vito Mancuso da quando si è
felicemente determinato a lasciare la stagione della teologia per
cimentarsi più utilmente per i lettori alla filosofia.
Ci lasciati da pochi
giorni il più grande dei filosofi italiani contemporanei, giunto
felicemente e lucidissimo in tarda età Emanuele Severino.
Molto vicini il
percorso umano dei due autori, che se ha qualche differenza questa è
dovuta in gran parte al fatto che fra i due passano alcuni decenni, e
oggidì i tempi vanno velocissimi.
Severino teneva
cattedra alla Cattolica con grande successo e seguito fra gli
studenti fino a che la sua illusione di poter fare ricerca
scientifica libera in ina istituzione culturale cattolica lo ha
portato a vedersi comunicare dal Sant’Uffizio che la sua filosofia
divergeva in modo radicale dall’ortodossia cattolica.
Severino a suo dire
prese atto e se ne andò pressochè immediatamente emigrando a Padova
con al seguito gran parte dei suoi studenti.
E la chiesa
istituzionale fece il solito affare tutto in perdita, finendo nella
attuale inconsistenza, anche causandosi amputazioni come quella.
Inutilr ripetere che
Mancuso ha avuto un percorso umano e intellettuale pressochè
sovrapponibile.
Considero
personalmente Severino un maestro, ma non mi nascondo che la lettura
dei suoi libri per i non specialisti è abbastanza un problema.
La sua teoria
sull’”essente” , tanto per fare un esempio, richiede un bel
periodo di iniziazione solo per acquisire i significati del suo
lessico.
Mancuso per nostra
fortuna scrive ovviamente da filosofo calibrando anche lui molto bene
le parole dando spesso al lettore in termini molto chiari la nozione
da lui usata ricorrendo quasi sempre all’etimologia greca, ma è
enormemente più capace di parlare all’uomo contemporaneo pur con
un linguaggio adeguato.
In questi ultimi
libri mi piace moltissimo oltre al vasto saccheggio della filosofia
classica con riferimenti e frasi riportate nella loro interezza,
finalmente l’altrettanto copioso e puntuale ricorso
ai testi delle
spiritualità asiatiche da noi colpevolmente trascurate per troppo
tempo.
Inutile dire che se
Mancuso arriva a farsi leggere anche da una buona fetta di millenial
questo immagino che derivi dal fatto che dalla biblioteca della sua
facoltà di filosofia Mancuso ha saputo fare frequenti intrusioni in
quelle di fisica biologia e neuroscienze, tanto che la visione del
mondo che questo autore ha elaborato, una volta lasciata la teologia
e la metafisica connessa, è proprio basata sulla fisica, sul corpo,
sulla materia, che da Max Plank in poi non è più intesa come la si
intendeva una volta, ma come energia, vibrazione, onda.
Al punto che la sua
visione del mondo Mancuso l’ha se non sistematizzata, per lo meno
definita derivandola dal pensiero di un neuroscienziato innamorato
del filosofo Spinoza, Antonio Damasio, portoghese con cattedra in
California, e l’ha chiamata “emergentismo”.
Tra l’altro in
questo libro specifico il termine emergentismo mi pare che non
compaia nemmeno una volta, ma trattandosi della sua visione del mondo
viene fuori continuamente.
Per Mancuso la forza
fondamentale nell’universo è la relazione che porta
all’aggregazione in forme sempre più grandi e complesse fino al
formazione della vita e poi via via alla produzione del pensiero ed
alla consapevolezza di sé.
Forza fondamentale
che agisce in un ambiente dinamico dove quelli che lui chiama logos e
caos si sfidano in eterno.
Fatta questa
premessa sulla visione complessiva del nostro autore, come c’entra
il discorso filosofico sull’estetica?
Mancuso sceglie di
partire dalle due visioni fondamentali sull’estetica che si sono
fronteggiate nella storia del pensiero.
Quella classica che
che vede la bellezza come un valore universale che esiste di per sé
e che tutti pur passando in tempi e spazi diversi sanno riconoscere
immediatamente.
E quella più
diffusa nei tempi moderni che intende il riconoscimento della
bellezza come piacere o meno e quindi si limita a una percezione
soggettiva, senza una sua sostanza universale e obiettiva.
L’ultra sintesi
che ho riportato sopra in quattro righe, Mancuso la svolge in una
disamina accurata in
120/130 pagine di
piacevolissima lettura.
Leggere un libro
vale nella misura nella quale a lettura ultimata e dopo una adeguata
riflessione rimane qualcosa di consistente che prima non c’era.
Se questo
consistesse solo nei flash sulle più alte pagine della letteratura e
della filosofia che Mancuso ci propone, a mio avviso solo questo
basterebbe per consigliarne la lettura.
Dal “è la
bellezza che salverà il mondo” attribuita al Principe Miskyn
all’inizio dell’Idiota di Dostoevsky
a una citazione
formidabile del libro biblico dei Proverbi “Un anello d’oro al
naso di un maiale, tale è la donna bella,ma priva di senno”
a Meng Tzu (Mencio)
“la bellezza è di natura celeste” solo se si è santi si è
capaci di mantenere ciò che l’aspetto promette.
L’autore sposa la
tesi dell’esistenza di una bellezza obiettiva riconoscibile da
tutti, anche se ammette che non sarà mai possibile stabilire una
volta per tutte un protocollo delle caratteristiche della bellezza.
Per lui non può
esistere estetica senza etica.
Per carità non in
senso moralistico, ma in senso filosofico, come la vedeva Platone per
il quale la somma bellezza era il Bene.
Ed allora alla
contemplazione della bellezza si arriva solo con un procedimento che
consenta di uscire dai propri limiti del sé, dell’ego nel senso
dei propri interessi per andare oltre.
Sempre Platone
diceva che la contemplazione della bellezza mette le ali.
Contemplazione della
bellezza non è semplicemente raggiungere una sensazione di piacere è
qualcosa di più e di oltre perché la bellezza è un atto di
rivelazione.
Mancuso cita una
frase formidabile di Mozart nelle lettere al padre nelle quali dice
che quando componeva non pensa mai di creare qualcosa ma di
trascrivere qualcosa che già esisteva nel cosmo.
Ecco la prospettiva
del cosmo, questo piace molto a Mancuso che qui torna spesso.
Il cosmo governato
da un principio primordiale di armonia, al quale l’uomo aspira a
rapportarsi.
Come sempre auguro
una buona lettura.
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