giovedì 25 marzo 2021

Dino Messina : Italiani per forza. Le leggende contro l’unità d’Italia che è ora di sfatare - recensione

 






Chi scrive avendo oramai una certa età fa parte di coloro che pur essendo nati a guerra quasi finita hanno ricevuto nella loro non breve permanenza sui banchi di scuola un’offerta formativa come si dice oggi che privilegiava la storia del Risorgimento in assoluto, senza affrontare colpevolmente i molto più cruciali argomenti legati a guerra fascismo antifascismo e democrazia.

Le generazioni successive sono state più fortunate avendo potuto usufruire di un insegnamento di storia contemporanea sicuramente più aggiornato e consono ai tempi.

Quindi io dovrei essere molto ferrato sulla storia del Risorgimento.

Leggendo questo ottimo libro appena uscito mi accorgo che non è così forse a causa del fatto che la storia mi era stata presentata veramente alla vecchia maniera come successione noiosissima di eventi scadendo spesso nella esaltazione patriottica.

I libri di storia di quegli anni purtroppo non contemplavano l’integrazione della storia con materie come l’economia, la sociologia, l’antropologia, la geopolitica eccetera.

L’idea di inter- disciplinarietà oggi divenuta ovvia allora proprio non attaccava.

L’ammodernamento decisivo nella didattica della storia l’hanno dato probabilmente gli storici sopratutto francesi della nouvelle histoire seguiti da buoni divulgatori che hanno redatto tra l’altro le serie : “come si viveva ai tempi di…” riportando la storia da noiose guide telefoniche a narrazioni nelle quali potevamo riconoscere noi stessi e le radici dei movimenti che hanno lasciato un segno indelebile nella storia.

Fatta questa premessa è superfluo aggiungere che questo lavoro di Dino Messina si inserisce perfettamente in questo modo di fare lo storico, rimanendo ovviamente coerente a una rigorosa analisi delle fonti, ma sempre cercando di far vedere al lettore quali erano le condizioni esistenziali degli uomini di quei tempi.

L’autore in effetti è di professione giornalista del Corriere, per il quale a ha lavorato per trent’anni,

anche se la sua attività è tutta incentrata sugli studi storici.

Sulla questione meridionale si sono scritte intere biblioteche.

La questione oggi sussiste e la disputa su :”il Nord ha depredato il Sud” versus “il Nord è frenato nello sviluppo dalla palla al piede del Sud al quale continua a versare soldi” è ben lungi dall’essere sorpassata.

E’ evidente che la questione esiste e si fonda su dati obiettivi, ma anche che è spesso e volentieri viene presentata da opposti schieramenti fondamentalisti, che partono da pregiudizi ideologici.

E questa è la ragione per la quale un libro come questo è il benvenuto, perché è scritto senza pregiudizi e con lo scopo esplicito di fare chiarezza, fornendo dati e non propaganda a chi desidera farsi un’opinione sulla questione che si possa sostenere su una documentazione seria.

Non c’è nessuna storia da riscrivere, c’è solo da cercare le fonti più attendibili per vedere come sono andate le cose nella maniera più verosimile.

Inutile nascondere che gli slogan spesso beceri della prima Lega Nord che si rifaceva a miti nebulosi storicamente di dimostrazione inesistente hanno obiettivamente offeso i sentimenti dei meridionali, costringendoli a mettere in atto una reazione uguale e contraria.

E’ così venuta alla luce una vasta pubblicistica di carattere apertamente neo-borbonico, che ha finito per appoggiarsi sulla parte più tradizionalista del cattolicesimo italiano, che le ha offerto gli allora potenti mezzi propagandistici dei quali poteva disporre.

Non è certo difficile trovare un certo numero di assistenti universitari ,(allora esistevano ancora) pronti a buttarsi a capofitto su tutto quanto potesse trovarsi per seguire delle tesi preconcette firmando poi col solito trucco di Tal dei Tali dell’Università Talaltra.

Proprio tutto quello che gli storici veri non devono fare e infatti non fanno.

Vendendo come lavoro scientificamente corretti dei puri panphlet propagandistici si è così cercato di far passare per buona una contro-storia dell’Unità d’cc Italia che diceva il contrario di quello che c’era scritto e c’è scritto sui libri di storia.

Cioè per esempio che le truppe piemontesi si sarebbero comportate negli anni delle annessioni come le truppe naziste.

Che il Sud avrebbe subito l’Unità contro voglia e senza appoggiarla.

Che l’economia dei Borbone sarebbe stata più sviluppata di quella di Cavour e via di seguito.

Questo libro riesce a riportare la diatriba sui binari della ragionevolezza sulla base di documenti attendibili e non di miti sostenuti sul nulla o sui soliti trucchi di mettere insieme delle tesi precostituite facendo il taglia e incolla, di testi attendibili ma che dicono ben altro.

Tanto per cominciare i mitici Mille appena sbarcati rimasero mille per pochissime ore per diventare progressivamente diverse decine di migliaia delle quali almeno la metà era formata da meridionali, che volevano scrollarsi di dosso l’arretratezza del governo più reazionario e retrivo d’Europa, quale era quello dei Borbone, l’unico che non concedette ovviamente per conservarla una costituzione.

Poi il mito neo-borbonico si basa più che altro sui famosi pochissimi chilometri di ferrovia Napoli-Portici di ben 7 km.

Inaugurata nel 1839 e usata quasi esclusivamente dalla corte per portare a caccia i Borbone, per dire che l’industria voluta dai Borbone era sviluppatissima.

Il libro del quale parliamo mette giustamente in evidenza il fatto che il problema vero non era tanto il divario Nord Sud, ma l’intollerabile ritardo con il quale l’intera Italia stava allora arrancando dietro Inghilterra e Francia che erano partiti per tempo con la rivoluzione industriale producendo cento volte di più per esempio ferro e cotone di quanto produceva l’Italia Unita.

Risibile comunque paragonare il livello penoso delle infrastrutture lasciato dai Borbone con quello che aveva stava costruendo il Piemonte con grandiosi investimenti.

Il mito neo-borbonico si alimentava poi dalle leggende delle insorgenze verificatesi per mano dei briganti vendendo questi come patrioti – resistenti.

E’ vero che le truppe piemontesi hanno avuto la mano pesante ma che i briganti fossero appunto briganti e non patrioti è storicamente del tutto assodato.

Purtroppo per loro hanno combattuto una guerriglia persa in partenza non foss’altro per la assoluta impossibilità di confrontarsi con un esercito regolare enormemente più numeroso e organizzato.

E’ vero che hanno impegnato il medesimo esercito per un periodo abbastanza lungo, ma si trattava di un esercito addestrato alla battaglia campale e non certo alla guerriglia.

Infatti quando poi i comandi hanno capito l’antifona e hanno cambiato tecnica, per il brigantaggio non c’è stata via di scampo.

Complessivamente buon libro e non solo per la documentazione fornita sulla questione meridionale, ma anche come si diceva per farci capire come si viveva allora.

A questo proposito cito un dato per tutti .

I nostri antenati al tempo dell’Unità avevano un reddito annuo a parità di potere d’acquisto di 2.000 €, sì avete letto bene.

La vita allora era assolutamente più frugale di oggi.

Mi si consenta alla fine una osservazione personale.

Se è storicamente assodato che il regime borbonico era allora forse il più retrivo e arretrato d’Europa, a quando potremo leggerci e documentarci su un bel saggio come questo che abbia per argomento il modo governare delle Santità loro del Vaticano negli stati della chiesa?

Possibile che questo argomento rimanga un tabù ?





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