sabato 29 gennaio 2022

Luca Zaia Ragioniamoci sopra .Dalla pandemia all’autonomia Marsilio Editore – recensione

 



Luca Zaia ,il Governatore del Veneto ,è un personaggio veramente singolare.

Sulla stampa spesso c’è qualcuno che si chiede come mai non si attivi per sostituire il segretario della Lega, Salvini che dopo i pur clamorosi successi iniziali non imbrocca più una mossa azzeccata neanche per sbaglio.

Ma incredibilmente nelle 164 pagine di questo libro il termine “Lega” lo si trova scritto forse una o due volte, non credo di più.

E lo stesso autore tiene a definirsi come amministratore e non come politico.

Lo capisco o almeno cerco di capirlo perché in effetti da tutto il libro traspare una gran voglia ed orgoglio di “fare” cose concrete come amministratore pubblico negli enti locali (Comune, Provincia, Regione) in quel determinato territorio che l’autore sente fortemente come la sua terra. Però l’autore medesimo è stato anche ministro e quindi non può ignorare di calcare il mondi della politica praticamente da sempre.

Voglio dire che dopo aver letto il libro direi che Zia è assolutamente in buona fede quando proclama di sentirsi amministratore più che un politico, ma obiettivamente il discorso ha un senso obiettivo?

Non credo proprio, come non credo abbia un senso la distinzione che oggi appassiona molti fra “tecnico” e “politico”.

Per fare l’esempio più emblematico come si fa a dire che Draghi per tenere l’incarico che a tenuto nelle UE non abbia esercitato tutte le sfumature delle arti politiche?

E’ sicuramente molto più politico lui in quanto competente di politica dei segretari dei partiti che lo sostengono o lo avversano.

Potremmo argomentare che Draghi non è iscritto a nessun partito e non è stato eletto.

Vero ma questo è un altro discorso che comunque non gli impedisce di essere Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ma se torniamo a Zaia la distinzione amministratore-politico è ancora di più di lana caprina e nella sostanza non ha basi obiettive se non nella percezione soggettiva dell’interessato.

E’ un atteggiamento che ripeto capisco che sia giustificato come sensazione dell’autore, ma che non può essere sostenuta perché diviene una formula invocata per sfuggire a una parte importante delle proprie responsabilità, come personaggio pubblico.

Se poi andiamo a vedere che lo stesso atteggiamento è tenuto anche con la stessa convinzione da Massimo Fedriga, Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia scopriamo che si tratta di un modo di pensare molto diffuso nella Lega fin dai tempi di Bossi.

Ma è intrinsecamente sbagliato perché l’amministratore pubblico è un politico per eccellenza, in quanto eletto direttamente dal suo popolo, se così non fosse gli enti potrebbero benissimo essere governati dai dirigenti tecnici, detti anche burocrati, ma questo è proprio quello che i Leghisti aborrono.

E quindi che si prendano la loro responsabilità nella gestione del loro partito senza delegare la gestione politica a presunti fenomeni.

Il meglio del libro di Zaia è l’appassionata esaltazione dello spirito veneto che ha delle sue peculiarità innegabili.

Il Veneto è passato da terra dove si faceva la fame e che costringeva almeno una parte delle famiglie ad emigrare per sopravvivere in ogni parte del mondo, al miracolo del Nord Est degli anni 70 e 80 che ha portato la regione a un elevato livello di benessere con la più alta percentuale di piccoli capannoni industriali del Paese.

La narrazione di Zaia per la mia esperienza personale ha sfondato una porta aperta, dato che la mia famiglia ha antenati veneti e quindi la sua descrizione dello spirito veneto faceva già parte del mio Dna.

Nelle storie della mia famiglia è un fatto scontato quello di considerare il cittadino Veneto come uno che nasce con la cultura lavorativa della partita Iva, con lo spirito del piccolo imprenditore autonomo nel sangue, che si costruisce la propria autonomia con la caparbietà con la quale fa il suo lavoro.

Zaia sforna pagine e pagine nelle quali narra e documenta con orgoglio quanto ha fatto il Veneto per contrastare l’epidemia dimostrando di avere un sistema sanitario di eccellenza e ben gestito.

Rivendica le sue scelte sopratutto nella determinazione di aver parlato ogni santo giorno alla sua gente in una conferenza stampa facendo il punto della situazione in modo da responsabilizzare tutti tenendoli informati costantemente di quello che facevano i loro “amministratori”.

E’ noto che Zaia è forse il più convinto assertore delle virtù dell’autonomia regionale.

Lui dice in sostanza : abbiamo fatto molto e con successo, ma se avessimo avuto più autonomia avremmo potuto fare ancora meglio per contrastare la pandemia come ha fatto per esempio Israele prendendo due piccioni con una fava cioè bloccando la diffusione della pandemia consentendo però alla gente ed all’economia di procedere quasi normalmente.

Sono interessanti le sue proposte in merito all’ autonomia differenziata cioè da conquistarsi “per merito”.

Zaia è il classico self made man, venuto da una famiglia contadina povera del veneto profondo, che ha saputo emanciparsi lavorando duramente.

Ha saputo prendere l’ascensore sociale basato sul lavoro sopratutto autonomo ed è convinto che questa sia la ricetta buona per tutti.

Ci parla di sanità e istruzione da finanziare al massimo e da considerare fiori all’occhiello.

Ma sa benissimo anche a ragione della sua formazione professionale (prima perito agrario e poi Medico Veterinario) che l’enorme potenziale che il Veneto può e deve sfruttare è il turismo sostenuto anche dalle eccellenze agricole di quella Regione.

Zaia ha una marcia in più rispetto ai politici dei quali ho letto e recensito le biografie e consiste nel fatto che ha realmente una visione strategica della politica.

Scrive e ripete nel libro che ora il Veneto rispetto al passato è ricco, ma che i soldi ci vogliono ma non bastano.

Ci vuole la cultura per affrontare un presente e un futuro sempre più complicati.

La sua concezione di autonomia è prima di tutto un’acquisizione culturale.

Grossa affermazione per un esponente della nostra classe politica, che di solito non sa andare oltre a proclami populisti ispirati da una tattica di corta visione.







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