Contemporaneamente all’uscita di questo numero della Rivista, Limes ha tenuto a Trieste la terza edizione de :“Le giornate del Mare 2022” presentata col titolo : Trieste e il Trimarium.
Accenno per chi è interessato ma non pratica abitualmente la geopolitica che uno dei termini sinceramente inusuali, considerati però fra l’abc della materia è “talassocrazia”, cioè il potere, la potenza declinata sull’acqua.
Non è un caso allora evidentemente che questa disciplina consideri gli Stati Uniti tuttora la potenza imperiale egemone assoluta proprio perché è l’unica detentrice di ben sette flotte che permettono il controllo dell'intero pianeta.
Sembrerà strano ma sopratutto nel nostro paese sembra proprio che non si sia abituati a prendere in considerazione l’importanza dei mari e quindi la presenza o meno di una flotta adeguata che in qualche modo trasmetta all’esterno il peso specifico del Paese nel quale viviamo.
Sappiamo tutti che viviamo in un paese a forma di stivale e che quindi simo dotati di coste e di mare più che di terra.
Ma che quello che in geopolitica si definisce la proiezione di potenza del paese o se vogliamo rimanere nei semplici termini da bar sport il peso che gli altri attribuiscono al nostro paese è essenziale perchè è in base a quel giudizio che di fatto il resto del mondo ci fa giocare in serie A o B o C o ancora più giù.
Ecco pressoché tutti gli analisti che hanno contribuito a questo numero si sforzano di rendere consapevoli i lettori di quanto sia importante saperci porre come potenza marittima anche magari con obiettivi strategici limitati, ma almeno consapevoli delle regole del gioco.
Presumo che sia arduo porsi il compito sopra accennato visto che anche il di solito brillantissimo direttore Caracciolo, questa volta nel saggio introduttivo mi è sembrato quasi un po spento, come se si fosse ormai rassegnato a parlare di proiezione sul mare per dovere ma temendo di non ricevere l’ascolto che sarebbe necessario.
Però a quanto ho potuto constatare seguendo l’evento di Trieste sul canale di Limes su Youtube, questa terza edizione ha avuto un buon successo anche a ragione del livello decisamente elevato dei partecipanti Capo di Stato Maggiore e Ministro della Difesa compresi.
Il volume è comunque decisamente ben impostato ed esaustivo.
Viene fornito un indispensabile excursus storico sulla formazione della nostra Marina e sull’evoluzione nel tempo della sua posizione strategica.
Dal Mediterraneo, al Mediterraneo allargato con possibilità di proiettarsi anche oltre.
Non è messa male la nostra Marina e a sentire quando dicono i vertici gli obiettivi strategici sono stati individuati correttamente.
Ovviamente poi dipende dalla politica trovare i finanziamenti necessari.
Apprendiamo dalle analisi di questo volume che ancora una volta da parte degli oggi tanto invocati “tecnici” ci sono sia le idee che le competenze necessarie.
Manca la volontà politica?
Difficile dirlo perché siamo alla vigilia della formazione del primo governo di destra-destra della storia repubblicana, e quindi non ci sono precedenti, vedremo.
Il lato debole in questa questione, cioè della non consapevolezza nell’opinione pubblica dell’importanza della proiezione dl Paese sul mare, sta in qualcosa difficilmente definibile.
Psiche collettiva?
Qualcosa di simile, perché è fuori discussione che a settant’anni dalla fine del fascismo e della seconda guerra mondiale, pare che lo shock collettivo non sia ancora stato metabolizzato.
Incredibilmente come in Russia il politicamente corretto vuole che la parla guerra non sia nemmeno pronunciata.
Nel volume viene non a caso riferito che alla Commissione competente della Camera in una delle ultime audizioni il Capo di Stato Maggiore non ritenendo di poter nemmeno pronunciare la parola guerra ha sempre ricorso a espressioni inglesi,ritenute meno coinvolgenti.
Stanti così le cose ci viene più volte ripetuto che per spiacevole che sia la realtà è che se un popolo si arma per difendersi e per proiettare la propria strategia sugli altri deve anche mostrare di possedere una psicologia collettiva che gli consenta di imbracciare le armi in casi di necessità.
Ove il medesimo popolo ritenga di non voler assumersi questo atteggiamento come impegno o dovere è opportuno e doveroso che gli venga detto chiaramente che la sua scelta significa ascrivere il Paese medesimo nell’elenco delle prede.
Ecco questo pare non essere affatto chiaro, cioè di questa equazione è evidente che non c’è alcuna consapevolezza nella società italiana.
Il fatto che siamo in buona compagnia ad esempio coi Tedeschi e in atri scenari geografici coi Giapponesi, non ci esime dal porci seriamente il problema.
Detto questo mi permetto di avanzare due osservazioni.
Mi ha stupito che un cast di analisti così abituati a valutare l’importanza in geopolitica dei miti e delle percezioni collettive non abbia ritenuto di dedicare un saggio a ricapitolare la storia delle Repubbliche Marinare italiane che sono ben vive nel bagaglio scolastico di ciascuno di noi.
Altra osservazione. Mi stupisce che pur essendo ben consci del fatto che l’opinione pubblica è ormai avvezza da anni a non prendere nemmeno in considerazione l’idea di trovarsi intrappolata direttamente in una guerra gli analisti di Limes non insistano abbastanza in qualche modo nel rendere più digeribile il concetto di attitudine a presentarsi come credibilmente disponibili a imbracciare le armi in caso di minaccia ai nostri vitali interessi, che è pure fondamentale, presentando come obiettivo più vicino e più verosimile il battersi politicamente per conservare una strategia di equilibrio delle forze.
Vedi l’iconico Congresso di Vienna tanto bene cantato e decantato dal maggiore geopolitico vivente cioè Henry Kissinger.
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