Se c’era un modo per poter rendere comprensibile, nei suoi fondamentali, una delle situazioni geopolitiche , mi si passi il termine, più incasinate del mondo, come è Taiwan , si direbbe, che questo numero di Domino c’è riuscito brillantemente.
Fabbri, come è nel suo stile asciutto e diretto, ha scelto l’unica via possibile.
Descrivere le cose come stanno, per spiacevoli , contro-intuitive e politicamente scorrette, possano essere.
Se qualche lettore vuole ascoltare il mio consiglio, cioè di uno che da quando è uscito Domino non si è mai perso un numero e tutti li ha recensiti, si fotocopi l’ultima e la penultima pagina dell’editoriale di Fabbri e, non dico se le metta in quadro, (anche se lo meriterebbe) ma se le tenga a portata di mano ,perchè è un formidabile sunto, lui che parla difficile ,per vocazione, direbbe sinossi, di geopolitica da tenersi a mente prima di avventurarsi nell’analisi di qualunque situazione o regione geografica.
Il titolo del volume è azzeccato perché riassume la commedia dell’assurdo che si è impossessata di questa area del mondo.
Taiwan, l’isola che non c’è.
Fa bene Fabbri a mettere in chiaro che se è vero che il vero oggetto del contendere strategico fra le due superpotenze, Usa e Cina è proprio Taiwan e che purtroppo nessuno può dire che mai la contesa potrebbe spingersi a fare scoppiare la terza guerra mondiale, né all’uno né all’ altro interessa veramente mettere le mani sulla terra o sulle cose di Taiwan, industria dei preziosissimi microcip compresi.
In realtà a nessuno dei due interessa alcunchè dei taiwanesi.
E allora? Cosa vogliono?
Se, prima di cercare una risposta, il lettore pensa con la logica della geopolitica, ci arriva facilmente.
L’unica loro preoccupazione è controllare lo stretto, il collo di bottiglia, abbastanza ampio 160 km.
Ma non abbastanza per le capacità delle flotte moderne.
Il problema quindi è avere il controllo o comunque impedire che l’altro egemone o aspirante egemone ci metta le mani o più realisticamente la flotta.
Nel modo come siamo abituati a ragionare oggi ,con mentalità economicista e per di più di nazioni terragne e non talassocratiche, riesce difficile assegnare il massimo di valutazione al controllo di uno stretto, ma non dimentichiamoci che questo era ad esempio la visione del mondo della Regina Vittoria, dalla quale gli Usa non a caso hanno ereditato l’impero.
Altro elemento della commedia dell’assurdo al quale si stenta a credere è che gli interessati diretti, cioè i Taiwanesi, sono forse quelli che hanno le idee più confuse.
E se hanno le idee confuse i diretti interessati, figuriamoci noi.
Disabituati a studiare storia e geografia con la serietà che le due materie richiederebbero, per quanto riguarda il nostro mondo europeo o occidentale, figuriamoci quando dobbiamo rivolgerci all’Asia, andiamo subito nel panico.
Comunque ,ragionando a spanna,siamo portati a credere che da sempre su quell’isola siano vissuti dei cinesi.
Errore, apprendiamo da questo volume, c’erano dei nativi che non erano affatto cinesi , i cinesi veri erano stati portati lì relativamente da poco e precisamente dalla compagnia delle indie orientali dagli Olandesi, come mano d’opera a bassissimo prezzo.
Poi nel seicento l’impero cinese occupò l’isola.
Successivamente nell’ottocento (il secolo delle umiliazioni per i cinesi) arrivarono i giapponesi.
Persa la guerra quest’ultimi ,gli alleati favorirono l’occupazione dell’isola da pare delle truppe del Kuomintang, sconfitte dalla rivoluzione comunista cinese di Mao e sempre i medesimi alleati, guidati dagli Usa riconobbero come unico legittimo regime cinese proprio quello isolano di Chiang Kai Shek ,capo del Kuomintag, che instaurò un regime ultra nazionalista e tutt’altro che democratico.
Infine arrivò la sottile mossa di Kissinger che convinse Nixon a mettersi d’accordo con la Cina per isolare la Russia, che era ancora URSS, nel pieno della guerra fredda.
Venne di conseguenza la fine dell’appoggio a Taiwan ,anzi addirittura la fine del riconoscimento di Taiwan ,perché questo era il prezzo da pagare ai Cinesi.
Ma Kissinger ,erede delle sottigliezze machiavelliche dei Richelieu e dei Talleirand aveva giocato la solita carta della doppiezza.
Infatti gli Usa riconoscevano (acknoweledge), ma non accettavano esplicitamente in Pechino una sola Cina.
E la commedia va avanti così fino ad oggi.
La partita è talmente scivolosa e assurda che i taiwandesi si sono saggiamente del tutto assuefatti a considerare l’equivoco in atto il minore dei mali e di fatto si predispongono a fare durare il più a lungo possibile la situazione così com’è.
Naturalmente Fabbri dà il palinsesto, ma poi l’analisi è sviluppata in modo dettagliato da una serie di saggi che esaminano non solo la situazione di Taiwan, ma come le altre nazioni della regione hanno reagito a quella situazione.
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