venerdì 18 settembre 2020

Yuval Noha Harari : “Homo Deus”

 




In un momento storico afflitto culturalmente da un pensiero unico parecchio appesantito dal pregiudizio del politicamente corretto a tutti i costi, un scrittore come Harari, che per di più è anche accademico, sembra spesso il classico elefante in un negozio di cristalli.

Caspita se le spara grosse.

Per certe categorie di lettori come come preti,rabbini e mullah e seguaci almeno al primo impatto sarà addirittura fonte di sofferenza.

Per chi invece si riconosce in quella che lui chiama la rivoluzione scientifica, invece sarà una costante goduria.

Piano però, le sue affermazioni, anche se assolutamente appoggiate da solide evidenze, sono spesso un pugno nello stomaco, che ci fa brancolare nel buio alla ricerca di una qualche via di uscita meno sgradevole.

Ma confrontarsi con le evidenze scientifiche anche quando i nostri pregiudizi religiosi o culturali tendono a farcele rifiutare, è un lavoro al quale dobbiamo costringerci, sia che gli scenari relativi alle rivoluzioni tecnologiche in arrivo siano una realtà con quale dovranno convivere già i più giovani di noi o invece riguarderanno più avanti nel tempo i nostri figli o i nostri nipoti.

Questo libro è con tutta evidenza il seguito logico di “Sapiens, da animali a dei” , citato infatti fin dalla copertina.


L’incipit non può essere che uno e cioè appunto la rivoluzione scientifica dal ‘500 in avanti.

Le leggi del moto di Isaac Newton,il dialogo sui massimi sistemi di Galileo, Charles Darwin con l’evoluzione, via via fino a Albert Einstein e la relatività, il principio di indeterminazione di Heisemberg e la fisica quantistica, tutti citati nell’opera precedente, che non è male richiamare.

In realtà però questo libro comincia su una chiave positiva mettendo in evidenza il fatto che la rivoluzione scientifica ha consentito all’umanità di ridurre in modo drastico le precedenti carestie, di affrontare le epidemie con una efficenza una volta impensabile, e infine a ridurre le guerre all’insignificanza.

Bella la considerazione che Harari fa sulla guerra quando dice che nel nostro mondo moderno la ricchezza non è più nella terra o nelle risorse naturali,ma ormai è migrata nella conoscenza e questa non può essere acquisita tramite la guerra.


Dopo queste eclatanti vittorie l’uomo, dice Harari, è incamminato ad acquisire l’immortalità, la felicità e la divinità.

Che coraggio! Dice proprio così e in modo diretto.

Il capitolo è intitolato con estrema chiarezza “gli ultimi giorni della morte”.

La vita è sacra come è scritto nella dichiarazione di diritti umani, dice Harari, ma questo non significa che si debba continuare a credere che sarebbe sacra per un decreto di un presunto dio e che quindi la morte sarebbe nelle mani del medesimo dio, come la vita.

La scienza invece ci dice semplicemente che la morte è un problema tecnico, come tanti altri, un malfunzionamento al quale è possibile porre rimedio se solo ci decidessimo a farne parlare non preti e teologi, ma gli ingegneri.

Del resto l’aspettativa di vita è raddoppiata nel corso dell’ultimo secolo e quindi arrivare in una prima tappa a 150 anni è cosa verosimile.

Citando non a caso Epicuro Harari dice che adorare dio è una perdita di tempo, perché noi non siamo qui né per servire un dio, per servire uno stato, bensì per servire noi stessi, cioè per ricercare la nostra felicità.

E a questo punto Harari ripete una riflessione che viene fuori più volte nell’opera precedente e cioè che raccoglitori-cacciatori nel periodo lunghissimo che va da 70.000 (rivoluzione cognitiva) a 12.000 (rivoluzione agraria) anni fa vivevano più felici di noi anche se godevano di enormemente meno risorse.

Harari cita studi che dimostrano per esempio che il livello di benessere degli anni ‘90 non è migliorato rispetto a quello degli anni ‘50 per mettere in evidenza che è dimostrato che il livello di felicità dell’umanità non è legato al semplice disporre di più risorse.

La felicità dipende dalle aspettative piuttosto che da condizioni obiettive.

Come aumenta il progresso le nostre aspettative si moltiplicano, ma le sensazioni piacevoli durano notoriamente poco.

Funzioniamo così per un errore intrinseco del meccanismo dell’evoluzione che ci spinge ad aumentare le possibilità di sopravvivenza e di riproduzione, ma non ad aumentare la felicità.

Come possiamo venirne fuori?

Attenzione perché il tentativo di risposta che fornisce Harari a questa domanda è la chiave di lettura di tutto il libro: rivolgendoci agli ingegneri dice Harari (pensando evidentemente all’ingegneria genetica) che sono in grado di manipolare la biochimica umana, corpo e mente.

Per godere di un godimento duraturo, l’Homo Sapiens deve re-ingegnerizzarsi.

Infatti tutti gli immensi progressi che l’umanità ha fatto sopratutto negli ultimi 500 anni li ha fatti scoprendo e perfezionando strumenti sempre più sofisticati, ma ora è venuto il momento di mettere le mani sul nostro corpo e sopratutto sulla nostra mente per aumentarne le capacità oppure per “mescolare” il nostro corpo con attrezzi tecnologici esterni non organici.

Secondo Harari infatti non c’è ragione di pensare che il Sapiens sia l’ultima stazione, si può andare oltre.


Quando l’intelligenza artificiale supererà le capacità umane, la specie Sapiens verrà sostituita da una altra specie.

Deuteronomio 11: 13-17 : “se obbedirete diligentemente ai comandi che oggi vi do...io darò al vostro paese la pioggia…...il frumento….”

Ma gli scienziati oggi sanno fare molto meglio del dio biblico, dice Harari, basterebbe andare a vedere gli impianti di desalinizzazione dell’acqua di mare in uso proprio nella terra di Israele,che hanno reso quel paese indipendente dalla pioggia; questi umani hanno anche inventati fertilizzanti e antiparassitario che hanno reso indipendente la coltivazione dei cereali dal regime così detto “naturale”.

E’ curioso che il termine “naturale” ,che va tanto di moda e che viene continuamente citato da chi vuole presentarsi come acculturato e moderno, non abbia alcuna base scientifica, anzi per la scienza proprio non ha alcun senso, perché tutto il reale è un flusso in permanente evoluzione, e quindi il riferimento a presunti archetipi fissi definiti naturali è una categoria di pensiero delle religioni, ma non certo della scienza.

Harari dice poi che tentare una definizione di naturale diventa impossibile anche perché ognuno crede in una gruppo diverso di leggi naturali in quanto sarebbero state scoperte e rivelate da gruppi diversi di profeti.

Le chiese non si azzardano a contestare Darwin frontalmente (salvo le sette creazioniste dell’intelligent design) perché sanno che ne uscirebbero perdenti, ma sono ancora fortissime nel far coltivare i loro pregiudizi, come questo del presunto naturale, che dovrebbe uscire non si sa come dalla ineluttabile legge dell’evoluzione.


Harari riconosce che la maggior parte di noi non riesce più a raccapezzarsi di fronte a un mondo che cambia così velocemente ma afferma categoricamente che non c’è alcun modo di tirare il freno quand’anche lo volessimo, perché se ci provassimo ad esempio e fermare l’economia, andrebbe tutto in pezzi.

Questa spinta inarrestabile verso un futuro ultra-umano, secondo Harari sembra sfruttare la capacità della nostra mente, del nostro inconscio a raccontarci le storie proponendocele in modo da rendercele accettabili.

Allora per esempio se ci spaventa la facoltà di intervenire sul nostro corpo e sulla mostra mente per incrementare le nostre facoltà, ci raccontiamo la medesima cosa proponendocela solo come strumento per superare le malattie e le disabilità.

Infatti ci rallegriamo per la possibilità di consentire a un paraplegico di riprendere a camminare con un esoscheletro o con arti artificiali, ma comandati dal pensiero, (cioè tramite impulsi elettrici del nostro cervello come avviene con un arto naturale) ,per non costringerci a parlare direttamente di usare quegli stessi mezzi sui sani per incrementarne le capacità.

Come ci rallegriamo per la scoperta dei mezzi per arrestare la perdita di memoria degli anziani, per non costringerci a parlare direttamente della possibilità di incrementare la memoria di chiunque.

Allo stesso modo ci rallegriamo della possibilità di manipolare i geni per stoppare una malattia genetica per non costringerci a parlare direttamente della possibilità di disegnare a tavolino un Sapiens talmente incrementato da passare a una specie diversa e superiore.

Esultiamo della possibilità di curare la schizofrenia “mescolando” la mente del paziente con dati provenienti da un computer, per non costringerci a dover parlare direttamente di incrementare il nostro cervello con la enorme potenza di calcolo e di data base che può fornirci un computer collegato o addirittura mescolato al nostro corpo.

E’ una forma di furbizia della nostra mente che ci consente di metabolizzare il concetto diversamente scioccante che siamo sulla via di superare la ferrea e inesorabile legge dell’evoluzione, non, raccontandoci le solite narrazioni religiose

Su questo argomento Harari ha scritto nella precedente opera usando un’immagine decisamente forte, quando dice che dovremmo mettendoci noi al tavolo da disegno di dio per superare i limiti biochimici dell’uomo, anche estendendo la vita dall’organico all’inorganico.

In questa prospettiva, Harari, che di professione è storico accademico, afferma che la missione della storia non è quella di predire il futuro, ma quello di aiutarci a liberarci dal passato e di immaginare alternative, ricordandoci sempre che la più grande costante della storia è il constatare che tutto cambia.


Per spaventarci un po’ meno in questa scioccante prospettiva di dare vita anche all’inorganico,Harari cerca di spiegare cos’è un algoritmo, che è un po il concetto chiave in questa prospettiva di una nuova umanità, che prossimamente potrebbe soppiantarci.

Perchè gli algoritmi sono importanti e quindi è importante capire cosa sono?

Perchè sono un pò il punto di possibile saldatura fra l’organico e l’inorganico in quanto vengono usati quotidianamente in tutti e due i campi, dato che gli organismi sono anche loro algoritmi.

Un algoritmo è una metodica serie di passi che si può usare per fare calcoli, risolvere problemi e arrivare a decisioni.

L’algoritmo non è un calcolo particolare, ma il metodo seguito quando si fanno i calcoli.

Per esempio, spiega Harari, se volete calcolare una media fra due numeri dovete sommarli e dividere per due il risultato.

Questa operazione è un algoritmo.

Come un algoritmo è una ricetta di cucina che vi indica i passi da fare in successione per creare una particolare piatto.

Un algoritmo è la macchinetta distributrice di caffè e bibite del nostro ufficio.

Gli umani sono algoritmi che producono non tazzine di caffè, ma copie di loro stessi.

Quelle che noi chiamiamo sensazioni emozioni e desideri , sono nei fatti degli algoritmi che non sono nulla di diverso che processi di calcolo.

Il processo di riproduzione anche umano, afferma brutalmente Harari è basato su un mero calcolo di probabilità che fa in automatico la nostra mente sulla base di sensazioni favorevoli o sfavorevoli in relazione ai nostri potenziali partners.

Povero romanticismo, che brutta fine, ma tant’è ,quello che dice Harari è documentato dalle moderne neuroscienze, non è una sua fantasia e quindi almeno prendiamone atto.


Superare l’idea che ha radicato in noi la tradizione biblica seconda la quale la caratteristica peculiare dell’uomo sarebbe il possesso di un’anima unica ed eterna.

Harari dice che la scienza moderna ha fatto saltare questo dogma prima con le scoperte di Darwin sull’evoluzione e sulla sopravvivenza del più adatto; poi con la teoria della relatività che sostiene chi spazio e tempo si possono torcere, piegare; la meccanica quantistica che sostiene che qualcosa può apparire dal nulla e che un gatto può essere vivo o morto nel medesimo tempo.

Tutte affermazioni che si prendono gioco del nostro senso comune, dice Harari.

Non è possibile possedere un’eterna essenza individuale che rimarrebbe immutabile nella vita per sopravvivere dopo la morte, per la semplice ragione che qualcosa di non divisibile e non mutabile non può sopravvivere al meccanismo della evoluzione.

Non può esistere un’entità olistica che non sia un assemblaggio di più parti, mentre l’anima per definizione non ha parti, mentre l’evoluzione per definizione significa cambiamento, flusso continuo.

Per l’evoluzione la cosa che abbiamo di più simile a un’anima è il DNA, che però è proprio un veicolo di mutazioni.


Superare il terrore verso cose intelligenti ma senza autocoscienza, (come robot e computer)

L’altra storia che la tradizione culturale biblica ha radicato in noi per giustificare la presunta superiorità umana è il fatto che il Sapiens ha una mente cosciente.

L’autocoscienza sarebbe una collezione di esperienze che diverrebbero un flusso di coscienza, di sensibilità.

Robot e computers non hanno coscienza perché non ostante le loro abilità non sentono nulla e non desiderano nulla.

E’ vero ,però non dimentichiamoci il fatto che in noi umani molti circuiti che processano sensazioni ed emozioni nella nostra mente producono azioni completamente inconsce.

Questo è certo, anche se, afferma Harari sappiamo ancora troppo poco sui processi mentali e in particolare nessuno ha realmente un’idea su come una congerie di reazioni biochimiche e correnti elettriche nel cervello producono soggettive sensazioni di pena, rabbia o amore.

O di come il movimento di elettroni da un punto all’altro del cervello ci porta ad una sensazione soggettiva di odio o amore.

L’unica cosa evidente è che si tratta di processi molto complicati.

Perchè il 99% dei processi del nostro corpo inclusi i movimenti dei muscoli e le secrezioni ormonali hanno luogo senza alcun bisogno di sensazioni coscienti.

Si è scoperto che parecchie specie animali sono senzienti.

Hanno coscienza, ma non autocoscienza si dice.

Solo gli uomini hanno la cognizione di un passato e di un futuro, forse perché solo gli uomini dispongono di un linguaggio capace di comunicare concetti astratti o di fantasia.

Usando di questa abilità il Sapiens è divenuta l’unica specie capace di flessibilità nella cooperazione anche fra un enorme numero di persone.

Queste abilità portarono a formare capacità di organizzazione, portando al successo i gruppi più organizzati.

In più gli umani hanno forme di moralità innate che ad esempio portano alla ricerca dell‘uguaglianza che appare quindi come il valore di consenso universale.

Tanto che le società meno egualitarie sono quelle che funzionano peggio.

Harari insiste sul concetto che aveva ampliamene sviluppato nell’opera precedente quando ha parlato della rivoluzione cognitiva che 70.000 anni fa ha consentito al Sapiens di fare un salto di qualità concependo entità inesistenti nella realtà e quindi di pura fantasia, portando il Sapiens medesimo a concepire forme di religione e di arte, sopravanzando così radicalmente le abilità delle altre specie.

Perchè questa capacità di creare entità fittizie ha dato loro la capacità di comunicare anche in numeri elevati di persone e di organizzarsi nel modo più funzionale possibile.


Da allora la storia è diventata per l’uomo un singolare equilibrio fra realtà e finzione, essendosi dimostrata la finzione essenziale e funzionale ad ogni forma di organizzazione sociale.

Le religioni ribadisce Harari sono state con le loro narrazioni mitiche fondamentali per fornire credenze che cementassero comunità di credenti intornio a fantasie condivise.

Le religioni, come da decenni ha documentato l’antropologia religiosa sono state inventate dall’uomo proprio per uno scopo sociale-politico e sono per loro natura distinte dalla spiritualità che è altra cosa.

La religione è un patto, un contratto con presunte divinità.

La spiritualità è invece una ricerca, è un viaggio.

Le religioni mirano a cementare un ordine sociale politico, mentre le spiritualità mirano ad allontanarsene.

Questa è la ragione per la quale la spiritualità per la religione è una pericolosa minaccia.

La scienza è basata sui fatti, le religioni sui dogmi, che non sono solo giudizi etici, ma anche “pretese fattuali”.

Le religioni mescolano tre cose :

-giudizi etici

-affermazioni fattuali

-una mescolanza di giudizi etici e affermazioni fattuali

Un esempio è il divieto di aborto che rende chiaro quanto l’affermazione fattuale sia arbitraria.

Affermazione fattuale è stata la famosa “donazione di Costantino” cioè il documento papale sul quale si era basata per secoli la pretesa del potere temporale del papato sulla parte occidentale dell’impero romano, che faceva risalire la presunta “donazione di Costantino” a una specie di contratto appunto fra Costantino e Silvestro I datato 30 marzo 315.

Fino a quanto il prete linguista Lorenzo Valla nel 1441 ha dimostrato che quel pezzo di carta invece di risalire al quarto secolo era un evidente falso elaborato 400 anni dopo da prelati curiali.

Harari pur denunciando le intrinseche debolezze delle religioni sostiene che è comunque necessario che sopravviva qualcosa dello stesso tipo per mantenere l’ordine sociale.

La stessa democrazia dice Harari funziona solo se i cittadini condividono dei comuni obiettivi e questo ha di fatto spesso significato condividere credi religiosi.

Il lettore tenga presente che Harari non distingue volutamente fra religioni e ideologie e quindi fra i credi religiosi comprende socialismo e liberalismo.

Come avviene che uno sia liberale e l’altro socialista?

Harari come al solito va giù piatto affermando che di fatto le mie visioni politiche non riflettono il mio autentico io.

Sono piuttosto il modo col quale sono stato allevato, le mie frequentazioni sociali e il lavaggio del cervello che ho subito fin dalla nascita.

Il comunismo è stato sconfitto dalla storia a causa del modo come è stato applicato in paesi concreti, ma il liberalismo che ha vinto lo ha fatto perché ha saputo pragmaticamente fare proprie le istituzioni sociali inventate dal socialismo come l’educazione la sanità e il lavoro per tutti con le stesse condizioni di partenza e il welfare.

Le religioni sono diventate insignificanti, ma come farà l’uomo a trovare un equilibrio di fronte alla

destabilizzazione del nostro senso comune provocato dalle scoperte scientifiche ?


Harari dice : La contraddizione fra il libero arbitrio e la scienza contemporanea è l’elefante nel laboratorio

I nostri geni,ormoni e neuroni possono agire in modo deterministico , a caso o con una combinazione dei due, ma non sono mai liberi.

Del resto se gli umani fossero liberi, come avrebbe fatto l’evoluzione a modellarli?

Sembrano liberi come gli scimpanzè nel senso che possono scegliere cosa desiderano, ma la domanda di fondo è se sono in grado di scegliere i loro desideri veramente e non a seguito di un processo biochimico che avviene nel loro cervello.

La realtà è che io non scelgo i miei desideri, io solo li avverto ed agisco di conseguenza.

Ma se gli organismi mancano di libero arbitrio, questo implica che noi possiamo manipolare ed anche controllare i nostri desideri usando farmaci, ingegneria genetica o diretta stimolazione del cervello.

Esperimenti dimostrano che è possibile intervenire anche su complessi sentimenti come amore ed odio tramite stimolazioni nel punto appropriato, per esempio si può paralizzare l’area che provoca la depressione, senza doversi fare infilare elettrodi, ma solo indossando un particolare casco tecnologico.

In conclusione l’anima eterna è reale come Santa Claus, perché in realtà gli umani non sono individui, ma sono dice Harari solo “dividui”.

Per lo meno noi abbiamo due entità in conflitto , il sé che fa esperienza ed il sé che ci compone narrazioni e che non ci narra tutto quello che succede, ma solo una media, fa da censore su momenti di orrore e mette in archivio preferibilmente storie che hanno buon fine, perché abbiamo un disperato bisogno di trovare un significato ai nostri sforzi ed alle nostre sofferenze.

Addirittura il nostro subconscio agendo in modo contro- intuitivo segue un sistema sofisticato per farci preferire la continuazione di sicure sofferenze in futuro, pur di non costringerci ad ammettere che alcune nostre sofferenze passate sono state del tutto inutili.

Nel mondo dell’umanità futura gran parte di essa vedrà persa la propria capacità di essere utile alla società.

Allora il sistema continuerà a trovare valore nell’umanità nel suo complesso ma non nei singoli individui.

Troverà valore solo in in un numero ridotto di super-umani, un a élite di umani che hanno incrementato le proprie abilità e facoltà.


Gli umani sono in pericolo di perdere il loro valore economico perché l’intelligenza si sta separando dalla coscienza

Nuovi tipi di intelligenza non cosciente saranno presto in grado di eseguire i loro compiti meglio degli umani.

Per eserciti e imprese sarà inevitabile riconoscere che l’intelligenza è essenziale,ma la coscienza è opzionale, e non avranno più bisogno di coscienza ed esperienza soggettiva.

Si veda ad esempio l’auto senza guidatore.


Impietosamente Harari cita il corposo elenco di professioni sul viale del tramonto.

Non solo quindi gli autisti di tutti i tipi.

Ma avvocati,giudici, poliziotti, quando si useranno su vasta scala le misurazioni che già esistono per verificare se l’interrogato dice la verità.

Non avrà scampo perché la verità viene processata in un’area del cervello diversa da quella che processa la menzogna, quindi basta mettersi davanti a un monitor adatto, già esistente che riproduca l’attività del cervello nelle varie aree.

E quale medico potrà mai competere con un data base che contenga assolutamente tutti i casi clinici, sintomi, diagnosi e relative terapie?

Idem coi farmacisti, Harari cita già esistenti esempi di farmacie gestite da robot.


Quando algoritmi senza mente saranno capaci di insegnare, diagnosticare e disegnare meglio di noi, noi cosa faremo?

Anche gli organismi sono algoritmi, cioè sono un assemblaggio di algoritmi organici messi insieme dalla selezione naturale.


I calcoli algoritmici non sono influenzati dal materiale col quale il calcolatore è costruito.

Quindi non c’è ragione di pensare che un algoritmo naturale possa fare cose che un algoritmo inorganico non potrà mai fare.

Niente da fare, si creerà una classe non solo di disoccupati, ma di persone non occupabili.

Il problema quindi è quello di creare nuovi lavori che gli umani sappiano portare avanti meglio degli algoritmi.


Per stare al passo l’unica via percorribile dagli umani è allora quella di imparare studiando durante tutta la vita e di reinventarsi più volte.

Gli algoritmi potranno deprivare l’umanità della sua autorità e libertà, perchè la tecnologia del ventunesimo secolo può abilitare algoritmi esterni a “hackerare” l’umanità in modo da conoscere mè stesso meglio di come mi conosco io, lavorando sui dati.

A questo punto gli umani non si sentiranno più autonomi perché il loro sistema biochimico sarà destrutturato e monitorato da un onnipresente sistema di sensori.


La nuova religione sarà il dataismo

L’arma che consentirà ai nuovi umani di conquistarsi la loro parte sarà l’informazione.

Il fatto che le medesime leggi matematiche si applicano sia agli algoritmi biochimici,sia a quelli elettronici, ha fatto cadere la separazione fra organico ed inorganico, animali e macchine.

Giraffe, pomodori ed esseri umani, dice Harari sono solo metodi differenti di processare i dati.

In un mondo così fatto dove è andato a finire il potere? si interroga Harari.

Il potere è di chi riesce a processare i dati più velocemente per usarli ai suoi fini.

Dl resto abbiamo visto che anche durante la rivoluzione cognitiva di 70.000 anni fa il Sapiens seppe assumere nel mondo una posizione dominante proprio usando il suo vantaggio competitivo nel saper processare i dati facendo cooperare larghi gruppi umani.

Bellissimo il ricorso che Harari fa all’antichissima cultura hindù che possiamo trovare nei Veda e nelle Upanishad che suggerisce agli umani di unirsi all’anima universale del cosmo, il proprio Atman si può unire all’Atman universale.

Quando verrà il momento che gli scienziati hanno denominato della “Singularity”, l’umanità sarà sopravanzata dalle macchine.

Bisognerà allora essere collegati con tutto il sistema, perché in questo si troverà la ricerca di senso per l’uomo, essere parte del flusso divenendo così parte di qualcosa superiore a noi stessi.

Ricordate l’Atman indù?

Possiamo tentare di incrementare il sistema umano di processare i dati, ma potrebbe non essere abbastanza.


Conosci tè stesso diceva la filosofia classica.

Quando tu ascolti le tue sensazioni, i tuoi sentimenti, segui un algoritmo che l’evoluzione ha sviluppato per milioni di anni e che ha superato il test della selezione naturale. I tuoi sentimenti, le tue sensazioni sono allora la voce di milioni di antenati.

Ascolta i tuoi algoritmi, essi sanno come tu ti senti.

Si può dubitare che la vita sia riducibile a un flusso di dati.

Come i dati possano produrre coscienza e esperienze soggettive, ad oggi non sappiamo come avvenga, come potremmo anche scoprire che dopo tutto gli organismi non sono algoritmi.

Il conosci tè stesso può voler dire : prendi coscienza di quello che ignori.


Harari ci lascia in eredità tre domande chiave :

1-gli organismi sono algoritmi e la vita è proprio processare dati?

2-cosa ha più valore l’intelligenza o la coscienza?

3-cosa succederà alla società nel momento della singularity quando una intelligenza non cosciente conoscerà noi meglio di noi stessi?

Questa è l’ultima sferzata di Harari, il libro finisce con tre domande, anche se ovviamente l’autore ha cercato di suggerire possibili risposte, in tutte le pagine precedenti, fra le quali richiamerei quella a mio parere più pesante :

sostituire preti rabbini e mullah con ingegneri e re-ingenizzare il nostro corpo e la nostra mente. Osare!





sabato 5 settembre 2020

Yuval Noah Harari : Sapiens breve storia dell’Umanità

 



Chi scrive si è a suo tempo laureato con una tesi di storia economica, che è pur sempre storia, però non ha avuto il piacere di apprendere nemmeno le nozioni più elementari della storia dell’universo e della storia umana antica né nel corso curricolare della scuola italiana, né in seguito.

Casualmente ho avuto la fortuna di essere introdotto a queste nozioni in età adulta da una brillantissima conferenza di Margherita Hack.

Come può succedere una cosa così incongruente?

Dalla lettura di questo libro si deduce che il mio caso personale è estremamente diffuso perché c’è da secoli un pregiudizio che nel migliore dei casi snobba i così detti uomini preistorici con la qualifica di “uomini delle caverne” facendone oggetto di scherno ,in attesa dell’apparizione della presunta civiltà, illuminata dalle religioni universali.

In ogni caso l’uomo della strada non ha la minima nozione dell’arco di tempo nel quale questi nostri antenati sono vissuti, nè di come sono vissuti.

Il problema è che questo lasso di storia è sostanzialmente riportato dai testi di storia sulla falsariga della narrazione che ne danno i testi biblici, condivisi dalle tre religioni abramitiche, legate al mito della creazione dell’universo da parte di un dio personale che avrebbe fatto tutto dal nulla.

La scienza moderna dalla scoperta di Charles Darwin in poi ha dimostrato da un pezzo che non c’è mai stata alcuna creazione da parte di nessun architetto, che avrebbe perseguito un disegno intelligente.

Non fosse per altro, per la semplice ragione, sotto gli occhi di tutti ,che sono tali e tante le storture di questa presunta creazione (oltre ovviamente alle bellezze e grandezze) che se fosse mai esistito questo grande Architetto costui sarebbe stato tutt’altro che intelligente.

Ma il pregiudizio dovuto a migliaia di anni di indottrinamento clericale permane, anche perché fino a non troppo tempo fa chi non dava a vedere di condividere la visione del mondo di quelle chiese era perseguitato per lo più fino alla morte, non dimentichiamocene.

Grande è quindi il merito di Harari di aver saputo scrivere un libro corposo e spesso duro da accademico ben accreditato, in modo leggibile e intrigante, capace di ristabilire lo stato delle cose.

Ho volutamente inserito accanto al titolo anche l’immagine della copertina nella traduzione inglese (l’orginale è uscito in ebraico dato che Harari tiene la cattedra di storia alla Hebrew University di Gerusalemme) perché si vedesse che non stiamo parlando di un opera per addetti ai lavori ma di un libro che ha già venduto milioni di copie.

Cominciamo quindi dando i riferimenti fondamentali che in storia sono le date.


- Secondo la scienza moderna l’universo è nato dal Big Bang 13 miliardi e mezzo di anni fa

- fra i 4 ed i 3 miliardi di anni fa si è verificato il fenomeno della nascita della vita organica da materiale inorganico

- 2,5 milioni di anni fa dai Primati hanno cominciato a staccarsi esseri umani a noi simili

- 300.000 anni fa è comparsa la specie Homo Sapiens, cioè noi

- 150.000 anni fa i Sapiens hanno popolato l’Africa Orientale

- 120.000 anni fa si è verificata la prima migrazione fuori dall’Africa Orientale

- 70.000 anni fa si è verificata la seconda migrazione fuori dall’Africa e per tutte le parti del pianeta


Fermiamoci qui per il momento.

Osservare epoche di tale ampiezza dà un immediato senso di smarrimento, come quando ci si immerge nelle immensità dello spazio per esempio osservando la Via Lattea in una notte d’estate.

Come si passa attraverso queste epoche, difficili perfino da concepire nelle loro dimensioni temporali?

Si passa lentamente passo per passo come è noto per via di evoluzione casuale.

Il Sapiens si è trovato a convivere più che lungamente con specie che gli assomigliavano come il Neanderthal, che l’evoluzione ha bloccato, favorendo la nostra specie, anche se si è appreso che i Neanderthal erano più forti e più intelligenti di noi.

Come mai? Come ha potuto accadere una cosa così contro-intuitiva?

L’estrema utilità di questo lavoro di Harari sta proprio nell’aver saputo fornire le chiavi di lettura a interrogativi fondamentali come questo.


La rivoluzione cognitiva

Eravamo più deboli e meno intelligenti dei Neanderthal, ma circa 70.000 anni fa abbiamo cominciato a fare cose veramente speciali dice Harari.

Cominciammo la seconda migrazione dall’Africa per andare in Europa e in Oriente inventando imbarcazioni,lampade ad olio, archi e frecce, e gli aghi fondamentali per cucirci vestiti atti a farci sopportare il freddo, espressioni artistiche, gioielli, abbiamo inventato la religione, il commercio e la specializzazione sociale.

Quindi nuove abilità, tecnologia, solo questo?

No questo è il risultato di un salto di qualità ben più profondo che Harari definisce la “rivoluzione cognitiva” che il Sapiens ha costruito dentro a sé stesso.

Ecco il campo nel quale il Sapiens ha distanziato tutte le altre specie : la capacità di astrazione che consente sopratutto di usare la fantasia, la creatività,la finzione per arrivare alla creazione artistica ed all’invenzione dei miti religiosi.

Non a caso Harari inserisce in questo capitolo l’immagine della statuetta dell’uomo-leone di Holenstein Stadel,come di assoluto valore iconico.

Si tratta di una scultura in avorio preistorico scoperta in una grotta tedesca negli anni ‘30 datato a circa 32.000 anni fa, riproducente l’immagine di una figura umana, ritenuta dagli studiosi femminile, con la testa di un leone, dimostrazione evidente della capacità di inventare, di immaginarsi cose non esistenti nella realtà.

E’ questo il punto di forza della nostra specie, vedere rappresentare e comunicare quello che non c’è nel mondo reale.

Ma non basta, forse non sarebbe bastato quanto sopra descritto per condurci alla rivoluzione cognitiva se non fosse stato coniugato con la abilità-capacità di comunicare le nostre invenzioni-fantastiche o solo astratte ad una collettività in modo tale che le nostre idee, creazioni e miti divenissero condivisi da una collettività di Sapiens anche molto vasta, consentendo a questa di lavorare appunto a scopi comuni e condivisi.

La psicologia cognitiva indica il così detto “limite del gossip” , cioè la capacità di ciascuno di noi di comunicare una cosa agli altri ad un ambito non superiore ai 150 individui.

Ma questo limite viene superato con la condivisione delle creazioni artistiche e sopratutto dei miti.

I babbuini questo non lo sanno fare e non lo seppero fare nemmeno le specie più vicine a noi come i Neanderthal.

Non a caso Harari cita il potere delle religioni universali e delle ideologie come ad esempio il nazionalismo, oggi declinato come sovranismo di indurre alla cooperazione fornendo un illusione identitaria estremamente potente.

Il linguaggio è un midium fondamentale per diffondere le idee, ma più fondamentale ancora è stata la capacità di immaginarsi e comunicare le fantasie, le cose che non esistono, ma alle quali possiamo fare riferimento con estrema utilità.

Nell’universo dice Harari non esistono, non sono mai esistiti dei,nazioni, denaro, diritti umani, leggi, giustizia, che non siano nell’immaginazione della mente umana.

I così detti primitivi cementavano la loro unione con le loro fantasie animiste danzando intorno al fuoco e immaginandosi fantasmi e spiriti.

Le nostre istituzioni funzionano esattamente sulla stessa base.

Harari per fare assimilare questa concezione storica piuttosto scioccante, racconta quello che chiama “il mito della Peugeot, nata come piccola azienda familiare ,intorno alla figura reale del fondatore.

Che però anche dopo la morte della persona fisica del fondatore andò avanti a prosperare fino a diventare una grande industria, ovviamente non più più riconducibile e identificabile con la persona umana del suo fondatore, né in quella dei suoi operai e dei suoi manager e azionisti.

La Peugeot è un’astrazione, se vogliamo seguire il discorso di Harari una pura invenzione umana consistente nel concetto astratto di società per azioni, che non ha consistenza nel mondo fisico ma in quello del diritto e dell’economia.

La società a responsabilità limitata è concepita in modo che la proprietà diviene indipendente rispetto a persone e famiglie e si riferisce solo a titoli di credito denominate azioni.

Singolarmente questa finzione ha scelto come logo dell’azienda la figura iconica della testa di leone, chi richiama direttamente la statuetta preistorica della quale si è parlato sopra.

Questa società, dice Harari è stata creata col medesimo meccanismo mentale col quale stregoni e sacerdoti hanno creato demoni e dei.

Tutto consiste nel fatto di creare storie e convincere altri a crederci.

Risulta più efficace un abile prete che cento soldati, rileva a un certo punto Harari.

Fra la “fede” religiosa e la “fiducia” nel valore del denaro al fondo non c’è alcuna differenza, il procedimento mentale è identico.

La difficoltà non sta nel raccontare una storia, ma nel convincere gli altri a crederci.

Deve essere percepito un vantaggio reciproco, come è avvenuto per l’appunto con la creazione fantastica del denaro, delle valute, basate oggi su nulla di reale e concreto se non nella fiducia in esse, fiducia legata a uno scambio o un’utilità.

Non a caso nota Harari il commercio basato su uno scambio avviene solo fra i Sapiens.

Così come la religione e l’espressione artistica, si potrebbe aggiungere.

Capacità di fantasticare, ma insieme a capacità di condividere,di cooperare.

Uno dei vantaggi competitivi fondamentali dei Sapiens è stato, rileva Harari, l’applicazione di questa nuova abilità nelle tecniche di caccia.

Per affrontare animali enormi come i Mammut e dalla loro caccia procurarsi altrettanti enormi riserve di carne occorreva saper cooperare, dividendosi in squadre anche numerose, con compiti diversi per spingere, per lo più incendiando erba, animali o branchi di animali in stretti passaggi o in buche per affrontarli da posizioni più favorevoli.

Harari dice: la scienza ci dice che siamo simili in maniera imbarazzante agli scimpanzè, ma le cose cambiano se superiamo la soglia dei 150 individui perché a quel punto per gli scimpanzè si presenterebbe il caos e invece per i Sapiens non è un problema perché hanno saputo inventare i miti usandoli come collante indispensabile per fare cooperare migliaia di persone.

Dalla rivoluzione culturale in poi, cioè da 70.000 anni fa in poi, le capacità fisiche emotive e intellettuali dell’uomo sono rimaste le stesse e ce lo rivela il mondo del subcosciente.

Perchè le neuroscienze hanno rivelato che di fronte a un pericolo imminente il cervello ci dà in automatico una prima risposta basata sulla così detta sindrome del mammut, né più né meno di come succedeva allora.

Perchè oggi in un epoca di enorme abbondanza rispetto a 70.000 anni fa tendiamo per istinto a mangiare oltre alle reali necessità, né più né meno di come si faceva allora?

Perchè il Sapiens evolve molto ma molto lentamente e quindi la distanza fra questi Sapiens e noi è molto più tenue di quello che pensa la vulgata una volta corrente.


Fra la rivoluzione cognitiva 70.000 anni fa e la rivoluzione agricola 12.000 anni fa in quel lunghissimo periodi di 58.000 anni

Focalizziamo allora la nostra attenzione a quel lungo periodo di storia che va dalla rivoluzione cognitiva di 70.000 fa, alla rivoluzione agricola di 12.000 anni fa.

Ecco questo periodo che nella vulgata precedente degli storici quasi neppure esisteva, perché evidentemente lo stato delle discipline di allora non prendeva quasi nemmeno in considerazione

“l’uomo preistorico” è enormemente rivalutato dalla lettura che ne dà Harari ed ovviamente non solo lui.

Citerei sulle stessa medesima linea di pensiero ad esempio il lavoro dal titolo significativo “Against the Grain, a Deep History of The Earlier States” di James C. Scott della Yale University.

Cerchiamo di immaginare la vita dei raccoglitori cacciatori di questo lunghissimo periodo, quando vigeva una forma di più o meno relativo nomadismo, prima dell’avvento della rivoluzione agricola che portò con sé con gli stanziamenti fissi legati appunto alla necessità di coltivare terreni.


- Non c’era se non nella forma limitatissima di pochi oggetti personali ,la proprietà privata, tanto meno della terra.

- Non c’era alcuno stato e tanto meno impero e quindi non c’era proprio nessuno a cui pagare alcun tributo.

- Non c’era alcun esercito che ti imponesse di andare a combattere per interessi molto spesso del tutto diversi dai tuoi.

- Non c’era alcun padrone di terre che ti imponesse di versargli una parte di raccolto più o meno ad libitum, cioè a suo giudizio e non in base a criteri obiettivi.

- Non c’erano sacerdoti di religioni universali che ti imponessero di credere in una sola visione del mondo, potevi credere in quello che ti pareva e quindi nessuno imponeva il ricorso all’autorità di un dio esterno per interpretare il mondo, bastava guardarsi intono e se volevi potevi seguire la spiritualità animista, che tendeva a vedere spiriti animati in ogni cosa reale.

Non è cosa da poco godere della libertà dalla concezione teista che ti impone l’autorità esterna di un presunto dio creatore, con il codazzo dei suoi immancabili sacerdoti e interpreti che sarebbero seguiti in realtà per mettersi a servizio della stabilità del potere civile.

- Non c’erano padroni che ti imponessero alcun orario o modo di lavoro.

Anzi confronto le condizioni di vita di quel periodi con quello dell’epoca successiva della rivoluzione agricola il lavoro era molto più leggero.

Harari dice che per la caccia bastava dedicare un giorno su tre.

Per la raccolta non più di tre sei ore al giorno e la dieta era varia, con notevoli conseguenze positive sullo stato di salute.

- Non c’era l’ossessione della competizione, della rincorsa del successo o della ricchezza.

- C’era generosità, cooperazione e solide amicizie.

- La demografia era al minimo e quindi l’influenza della presenza del Sapiens sull’eco-sistema era estremamente limitata, prima della rivoluzione agricola.


Harari finisce per dichiarare che i raccoglitori cacciatori son stati la specie di uomini più avveduti ed abili di tutti tempi, che godevano di un esistenza più confortevole e grata in misura molto maggiore di chi è venuto dopo di loro.

Perchè la rivoluzione agricola ha comportato alla fin fine la necessità di accollarsi lavoro e preoccupazioni sempre maggiori ai vantaggi ricevuti.

Dalla rivoluzione cognitiva a quella agricola passano grosso modo 50.000 anni, un periodo enorme di storia che ci era praticamente del tutto ignoto.

Oggi apprendiamo che quei nostri progenitori sono vissuti più felici di chi ne è seguito.

E’ veramente un dato sorprendente che sconvolge le nostre cognizioni tradizionali, pesantemente condizionate non da evidenze scientifiche ma dai pregiudizi religiosi installati dalle narrazione biblica imposta per secoli non dalla forza di una visione del mondo, ma dalla spada.

La narrazione biblica è stata messa per iscritto come è noto dallo scriba del re Giosia intorno al 600 a.C. e le tre religioni abramitiche universali che a questi testi si rifanno fanno partire la civiltà umana dalle loro narrazioni.

Prima, nella descrizione storica della bibbia l’uomo era assimilato più meno agli animali, fino a quando non ha stipulato un patto con il dio appunto dei racconti biblici.

Ecco perché è nato il concetto di preistoria.

Quel prefisso pre è in realtà un arbitrario giudizio di valore , come dire che prima di Abramo non ci sarebbe stata alcuna storia.

E invece ai soli 2/3.000 anni di interpretazione della storia della civiltà che sarebbe nata nei tempi della narrazione biblica si contrappongono decine di migliaia di anni della storia come è andata veramente e cioè , sulla base delle evidenze storiche, non nella fantasia degli autori biblici ,assemblati da quello scriba di re Giosia, a sostegno del mito del Regno della Grande Israele, che tra l’altro secondo le evidenze storiche non è mai realmente esistito, dal momento che il regno di Israele non è mai riuscito ad andare oltre a un ridottissimo ambito territoriale.

Entusiasmante quindi recuperare la realtà storica e riscoprire antenati del tutto ignoti che hanno vissuto un periodo lunghissimo a quanto pare più felici di quanto siamo noi moderni.

Facendo un calcolo se pure a spanne 70.000 anni meno i 12.000 dell’inizio della rivoluzione agricola fanno 58.000 anni, un periodo di lunghezza enorme, che l’arroganza delle fedi istituzionali di Ebrei,Cattolici e Musulmani hanno voluto sottrarre dalla nostra stessa conoscenza, evidentemente per non oscurare e ridimensionare drasticamente l’influenza sulla storia umana delle loro mitologie, che rimangono comunque relegate a un ben piccolo periodo, comunque lo si voglia giudicare, anche senza ricorrere all’evidenza della quasi completa irrilevanza raggiunta da quelle fedi.

58 diviso tre fa circa 20 e quindi il mito biblico rappresenta un ventesimo della storia umana, ricordiamocene.


La rivoluzione agricola o la più grande impostura della storia

Detto tutto questo si capisce come mai Harari ha intitolato il capitolo della rivoluzione agricola, venuta dopo la vita felice dei raccoglitori-cacciatori durata ben 58.000 anni esplicitamente :”la più grande impostura della storia”.

Evidentemente perché la vulgata precedente degli storici ci presentava la rivoluzione agricola come la nascita della vera civiltà dopo un oscuro periodo abitato da poveri cavernicoli.

La nascita dell’agricoltura nella famosa mezzaluna fertile della Mesopotamia grosso modo fra Tigri ed Eufrate, vendutaci culturalmente per secoli come l’icona del paradiso terrestre o comunque come luogo di nascita della civiltà moderna da Harari viene bollata come pura fantasia se si intende che da allora le persone sarebbero diventate più intelligenti e tanto meno più felici.

La rivoluzione agricola ha portato con sé

-l’esplosione demografica,

-più lavoro,

-dieta più ristretta se non ridotta al solo frumento,

-condizioni sanitarie peggiori,

-guerre frequenti,

-sottomissione ad èlite arbitrarie ed esose,

-in poche parole qualità della vita peggiore se non molto peggiore.

-Con la rivoluzione agricola è venuto l’inizio della aggressione dell’eco-sistema.

Per gli animali domesticati è stato l’inizio di una vera catastrofe per le loro condizioni di vita.

-L’attaccamento per una casa ha comportato l’inizio della separatezza nei confronti dei vicini con conseguenze anche psicologiche notevolissime, spingendo l’uomo all’individualismo, prima sconosciuto.

I raccoglitori-cacciatori vivevano alla giornata non avevano una vera nozione di futuro perché del futuro non avevano alcuna paura, non come i contadini che se qualcosa faceva andar male il raccolto si trovavano in miseria e perseguitati dalle élites al potere se non avevano quel famoso “surplus” per pagare i tributi.

Dalla pratica della cooperazione fra amici si passò allo sfruttamento ed all’oppressione.

- Con la rivoluzione agricola arriva oltre al concetto di proprietà privata, quello ancor più invasivo di gerarchia e di autorità e con questi la divisione in classi sociali.

- Cominciano le leggi, pensiamo al codice di Hammurabi del 1776 a.C.

Il forte aumento della produzione di frumento derivante dalla rivoluzione agricola porta alla necessità di gestire le scorte sopratutto da parte dei poteri pubblici.

E’ stata quindi la banale necessità di ricorrere alla contabilità che ha indotto i Sumeri nella Mesopotamia a inventarsi prima i numeri e poi un primo alfabeto.

Le prime testimonianze di scrittura che abbiamo sono infatti tavolette sulle quali sono inscritti dati contabili di transazioni o di scorte di magazzino, debiti e crediti.

Intanto però la scoperta della scrittura fa fare un passo avanti incredibile alle capacità di comunicazione e di cooperazione.

Le religioni e i miti fondanti degli imperi vanno di pari passo.

Quelli che noi chiamiamo i valori sono chiaramente variati da epoca ad epoca e spesso di li trovarono in contraddizione fra loro.

Il pio benestante medioevale andava in chiesa a sentire il discorso della montagna e poi da cavaliere si riteneva in dovere di andare a squartare i nemici del suo signore.

Nell’epoca moderna dice Harari si esaltano insieme la libertà e l’uguaglianza che non stanno insieme perché la mia libertà si basa sulla decurtazione della libertà di chi sta meglio di me.

Ma precisa Harari sono proprio queste contraddizioni fra i nostri riferimenti ideali, che sono i motori della cultura, della creatività e del dinamismo della nostra specie, perché le culture umane sono in costante flusso.

Questo flusso è accidentale o la storia ha una direzione?

Harari afferma che c’è una tendenza all’unità perché le culture dialogano e si influenzano.

Di tutte le invenzioni umane quella del denaro ha surclassato quella degli dei in quanto a penetrazione universale e durata nel tempo, l’invenzione del denaro è il sistema di mutua fiducia più efficiente e universale che sia mai esistito a cominciare da una misura d’orzo dei Sumeri, la fiducia condivisa scavalca ogni divario culturale e non fa discriminazioni.

Con la rivoluzione agricola sono sorti gli imperi,che sono stati l’istituzione politica più comune al mondo a cominciare da quello di Sargon il grande formatosi in Mesopotamia nel 2.250 a.C.

L’ideologia imperiale è inclusiva e onnicomprensiva, vede l’umanità come la grande famiglia.

Un’altra formidabile contraddizione fra i riferimenti culturali è il fatto che le guerre contro le potenze coloniali nel secolo scorso sono state combattute prendendo a bandiera gli stessi principi di libertà, uguaglianza propri di che quegli imperi che quei territori avevano occupati.

Bisogna riconoscere che tutte le culture umane sono il retaggio di imperi, semplicemente perché così detta la storia.

Harari sembra voler dire che è sciocco il senso di disgusto col quale si parla oggi degli imperi coloniali perché furono gli imperi

- a unificare mosaici di regni,

- a creare una coscienza nazionale significativa

- a costruire per la prima volta una rete di infrastrutture efficiente

- a creare le basi di sistemi giudiziari e amministrativi efficenti

Agli schifati detrattori a priori degli imperialismi europei probabilmente troppo poco informati dei fatti, Harari cita per esempio il fatto più che significativo che la cultura del thè è stata introdotta in Indi dagli Inglesi, così come lo studio del sanscrito la cui precedente non conoscenza impediva di capire la storia di quel paese,

Il denaro, gli imperi e le religioni sono stati gli elementi unificanti dell’umanità dal primo millennio a.c.


La rivoluzione scientifica

L’analisi di Harari arriva quindi a delineare la terza fondamentale rivoluzione della storia (dopo quella cognitiva e quella agricola), che l’autore indica chiaramente come la più importante di tutte, quella scientifica che avviene intorno al 1.500.

E’ infatti negli ultimi 500 anni che l’umanità ha assistito a uno sviluppo incomparabile della capacità umane.

Qual’è il punto di forza che ha consentito il salto?

Secondo Harari il principio sul quale si basa la scienza, che è la disponibilità ad ammettere l’ignoranza.

E’ un salto culturale enorme rispetto alla soggezione ai pregiudizi religiosi che imponevano di credere in una visione del mondo completa definitiva e veritiera per definizione perché avuta dall’autorità di un presunto dio esterno al mondo.

E quindi il nuovo dogma basato sulla scienza moderna è che non esistono dogmi, non esiste alcuna verità definitiva., le nostre conoscenze sono sempre provvisorie, non esiste la verità, ma la migliore probabilità, fino a prova contraria.

Sembra contro-intuitivo ma la base della rivoluzione scientifica sta nella acquisita consapevolezza che gli umani non conoscevano le risposte alle questioni più importanti, al contrario di quello che indottrinavano le religioni almeno quelle abramitiche.

Se l’uomo ha enormemente espanso le sue capacità di capire il mondo è proprio perché è riuscito a superare quei pregiudizi.

Prima della rivoluzione scientifica le culture umane non credevano nel progresso ed al contrario facevano riferimento ad una mitica età dell’oro da ricercare nel passato.

Si moriva perché così avevano decretato gli dei.

La scienza moderna dice che si muore a causa di volgari deficienze tecniche che almeno in parte si possono quindi aggiustare.

Le conseguenze di questa assunzione aprono all’umanità scenari imprevisti da fantascienza, ma per approfondire l’argomento il lettore dovrà pazientare e trasferirsi sul successivo lavoro di Harari intitolato significativamente Homo Deus.

Sarà politicamente scorretto, ma Harari non nasconde l’evidenza e cioè il fatto che la scienza moderna con tutto quello che ha generato è nata da menti occidentali (Galileo,Newton, Darwin, Einstein etc.).

E probabilmente è per questo che l’imperialismo europeo andrebbe rivisitato in modo più obiettivo e vicino alla realtà.

Rivoluzione scientifica e colonialismo andarono a braccetto, perché senza quel bagaglio di conoscenze sarebbe stato impossibile a pochi europei conquistare il mondo.

Altra cosa forse sgradevole ma obiettiva rivelata da Harari è che la scienza non avrebbe mai fatto gli enormi progressi che ha fatto se non ci fossero stati i capitalisti che ci scommettevano sopra finanziando ricerche e progetti, per guadagnarci, ovviamente.

Fantastica un’altra enorme contraddizione sottolineata da Harari è che la scoperta dell’America è di fatto l’emblema e la sorgente della rivoluzione scientifica, ma Colombo non ha mai riconosciuto di avere commesso un errore di valutazione galattico sostenendo fino alla morte che quella terra che aveva scoperto doveva essere l’India perché non voleva assolutamente ammettere che la Bibbia fosse errata in quanto non aveva conoscenza dell’esistenza del continente americano, quando avrebbe dovuto contenere tutta la verità sul mondo.

Harari in un certo senso sostiene che modernità e rivoluzione scientifica sono andati a braccetto con il capitalismo, definito nel suo meccanismo essenziale da Adam Smith nel 1776 quando “scopre” il fenomeno del “sovrappiù”.

Il sistema capitalista nasce e comincia a girare quando il produttore inizia a produrre qualche bene in sovrappiù rispetto a quello che serve a mantenere la propria famiglia, perché avendo a disposizione questo sovrappiù comincia ad assumere aiutanti per aumentare la produzione e guadagnare sempre di più.

Questa di Adam Smith, dice Harari è stata un’idea rivoluzionaria ,anche da un punto di vista filosofico-morale perché contiene in sé l’ammissione implicita che l’egoismo genera altruismo, in quanto la molla che fa girare il meccanismo capitalista è la ricerca del guadagno personale, che però genera automaticamente ricchezza a favore degli altri.

Purchè però il famoso sovrappiù venga reinvestito, non sperperato.

Cioè tutto funziona se il capitale viene investito non accumulato come ricchezza improduttiva.

Harari insiste sul carattere poco conosciuto dell’imperialismo europeo che nacque per opera di imprese private, come la famosissima Compagnia delle Indie.

Le conquiste coloniali con quello che ne è derivato non lo hanno fatto ,almeno all’inizio imperatori, re e soldati, pagati raccogliendo tasse, ma da imprenditori privati raccogliendo credito, che poi restituirono.

Lo stesso Harari però contemporaneamente afferma che quei ferventi sacerdoti del capitalismo che predicano la necessità di tenere lontana la politica dalla imprese dovrebbero sapere che la fede assoluta nel libero mercato ha lo stesso valore razionale della credenza in Babbo Natale, perchè nella realtà non esiste una forma di mercato del tutto libero dalla politica.

Anzi Harari non nasconde che la rivoluzione capitalista moderna non è detto che si riveli un colossale imbroglio come è stata la rivoluzione agricola nel senso che il mito della crescita continua potrebbe costringere una parte dell’umanità e vivere nella fame e nel bisogno.

La crescita continua sembra oggi fondata su un nuovo tipo di surplus, il consumismo di cose delle quali non abbiamo realmente bisogno. Durerà?

Quelle che Harari definisce “comunità immaginate”, cioè basate sulla nostra immaginazione, ma potentissime come gli imperi e le chiese avevano il compito di mantenere l’ordine sociale.

Oggi le nuove comunità immaginate non sono più statiche, sono un flusso continuo, eppure dopo il 1945 si è verificato il periodo più lungo e duraturo di pace che si sia mai visto nella storia, con la violenza al minimo storico, ma siamo più felici?

Si è arrivati all’eliminazione delle carestie su vasta scala ed all’allungamento della vita, ma siamo sicuri che chi è più ricco e sta meglio è anche più felice?

E l’alienazione e la mancanza di senso della vita, dove li mettiamo?

E’ dimostrato che le persone che godono di forti legami familiari e che vivono in comunità coese sono più felici degli altri.

Ma lo stato degli individui è sempre più solitario e le famiglie sono in crisi.

Gli antichi con la loro filosofia ci hanno dimostrato che è più felice chi si accontenta di quello che ha.

Lo scontento del Terzo Mondo è fomentato più da una reale povertà o dalla semplice esposizione agli standard del primo mondo?

Harari non ci risparmia considerazioni spaventosamente spiacevoli come questa : da un punto di vista strettamente scientifico la vita umana è assolutamente priva di senso perché gli umani sono il risultato di ciechi processi evoluzionistici , senza alcuna finalità e senza scopo.

E allora la felicità risponde solo ad un autoinganno?

Harari, significativamente come non pochi teologi eterodossi guarda con interesse alla spiritualità buddista che constata il fatto che le nostre mutevoli sensazioni sono vibrazioni effimere in continuo cambiamento, e che quindi non ci si può fidare di loto perché non danno mai sollievo a turbamenti.

Ci si libera dalla sofferenza non quando si insiste su questa o quella sensazione, sempre passeggera, ma quando si scopre la natura impermanente delle sensazioni e si smette di cercarle, questo è il fine delle meditazioni buddiste.

Accettare le sensazioni per quelle che sono , cioè vivere nel presente

Torniamo al “nosce te ipsum” o “gnosi sauton” se lo volete nell’originale che era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi.

Capire chi realmente siamo non significa rincorrere le sensazioni, pensieri, apprezzamenti e antipatie.


Arriva l’Homo deus

Arrivato a condividere col lettore queste riflessioni, a volte cupamente pessimiste ,Harari comincia a condurre il lettore nei pascoli verdi che contraddistingueranno il suo successivo lavoro sull’Homo Deus e infatti comincia a parlare dell’Homo Sapiens che all’alba del ventunesimo secolo sta per valicare i propri limiti.

Comincia a spezzare i vincoli della selezione naturale, sistituendole con quelle della progettazione intelligente.

Nel 2.000 un bio artista brasiliano ha prodotto con l’ingegneria genetica un coniglio verde fosforescente.


La progettazione intelligente può avvenire

-tramite l’ingegneria genetica

-la cyberingegneria combinando parti organiche con parti non organiche

-l’ingegneria della vita inorganica

Harari dice : perché non risalire al tavolo da disegno di Dio e progettare un Sapiens migliore?

Incidendo anche nelle nostre capacità intellettuali ed emozionali.

Il massimo sembra la possibilità di leggere nel pensiero altrui, si cambierebbe veramente il mondo.

E il cervello che può accedere ad una banca dati collettiva della memoria umana?

Il Sapiens ormai può liberarsi dai ceppi della biologia e riprogettarsi fino ad arrivare alla sostituzione dell’Homo Sapiens con una specie del tutto differente sia per caratteristiche fisiche ma anche di diversi modi cognitivi ed emozionali.

Harari dice che questo è un grosso problema culturale e psicologico, perché l’essere umano ritiene lo spirito intoccabile.

Difficoltà superabile però dal fatto che i primi super umani essendo progettati dai precedenti Sapiens conserverebbero di questi le concezioni culturali.

Cosa è proibito fare dal punto di vista etico?

La domanda è corretto porla, senza dimenticare però che non si può disinventare quello che si è già inventato.

Settanta mila anni fa l’uomo non era altro che un animale insignificante in un angolo dell’Africa, poi coi millenni è divenuto anche troppo il padrone del pianeta fino a portarlo vicino al disastro ecologico.

Oggi è sul punto di diventare un dio dotato dell’eterna giovinezza e della capacità di creare e di distruggere.

Ma abbiamo forse diminuito le sofferenze del mondo? Non sappiamo rispondere,riconosce Harari.


venerdì 28 agosto 2020

Alec Ross : il nostro futuro, come affrontare il mondo nei prossimi anni

 





Il traduttore ha reso come dall’immagine di copertina qui sopra il titolo originale “The industries of the future” di Alec Ross, che si presenta come Senior Advisor for innovation per tutto il periodo nel quale Hillary Clinton ha retto il Dipartimento di Stato e poi con ruolo sempre di primo piano nella campagna elettorale che ha portato Obama alla Casa Bianca.

Il libro è uscito per la prima volta nel 2016 e quindi sopratutto a causa della materia che tratta non è recentissimo, ma non è affatto superato da trattazioni analoghe più recenti come l’”On the future” di Martin Rees uscito due anni dopo.

Questi libri, come la più impegnativa e famosa trilogia di Noha Harari, ci mettono davanti agli occhi scenari esaltanti ma da brivido.

Per farla breve basterebbe il titolo proprio del secondo dei libri di Harari sopra citati, che recita in modo lapidario nientemeno che “Homo deus”, per intuire dove si va a parare.

La lettura di libri di questo tipo provoca decisamente uno shock anche in chi è abituato a tenersi aggiornato, ma non è un addetto ai lavori.

Insomma, per farla breve, è esaltante venire a sapere che i nostri nipoti vivranno in un mondo nel quale la specie Homo Sapiens si sarà evoluta in parte in una specie superiore di super uomo o addirittura di Homo Deus vero e proprio.

Ma crea un problema non da poco non solo il fatto che nessuno sa come noi e i nostri figli sapremo gestire una evoluzione così radicale, ma ancora di più preoccupano quelle due paroline

scritte sopra “in parte”.

Questo significa che quella specie di paradiso in terra che si staglia all’orizzonte verosimilmente non sarà per tutti ma solo per una parte,e cioè che ci si sta incamminando verso una società sempre più divisa e ineguale nella quale andranno avanti solo coloro che sapranno acquisire la conoscenza diciamo brevemente delle nuove tecnologie.

Gli altri cioè i non tecnocrati, si troveranno veramente in un brutta posizione.

Però l’estrema utilità di questi libri sta nel saper aprire gli occhi, naturalmente per chi lo vuole e rifiuta di fare lo struzzo.

Temo che il peso dei pregiudizi che ciascuno si porta dietro, unito alla pigrizia di un malinteso quieto vivere potranno creare gravi problemi a chi iscrive fra gli struzzi.

Per una ragione elementare, che ,come è assolutamente certo che non si può dis-inventare la bomba atomica non si possono dis-inventare nemmeno le seguenti nuove tecnologie :


-L’intelligenza artificiale

Quando se ne parla a molti si chiude il cervello, trattandosi di matematica pura.

Stiamo parlando dei famosi algoritmi, dei quali ognuno di noi ha sicuramente sentito parlare.

Si tratta cioè della scrittura con termini e simboli matematici delle varie fasi di una procedura.

Non è assolutamente niente di trascendentale, ma richiede un momento di riflessione e di analisi.

Un esempio banale : quando dobbiamo aprire una porta, dobbiamo per lo più introdurre una chiave nel buco della serratura e poi girare la chiave una o più volte per poi far muovere la maniglia.

Questa è una elementare procedura della quale tutti siamo pratici.

Chi lo sa fare può tradurre questa procedura in termini matematici tramite appunto un algoritmo.

Ma perché? Per complicarci la vita ?

No affatto, la scrittura dell’algoritmo “aprire la serratua” non diventerebbe altro che “la stringa digitale” indispensabile per consentire per esempio a quei piccoli aggeggi entrati oramai in moltissime nostre case denominati di “domotica” come l’ormai famosa Alexa” di Amazon.

Una volta installata come si sa , poniamo un anziano che non benefici dell’ assistenza di una badante può dire : Alexa accendi la luce del bagno, apri la porta, accendi il caffè, accendi la Tv, chiamami al telefono mia figlia, o conversare chiedendo che tempo farà o che giorno è oggi, o chi ha vinto il derby del giorno prima e Alexa fa quello richiesto e risponde con molto garbo.

L’intelligenza artificiale fa anche altre cose estremamente più complesse come tradurre tutte le lingue del mondo con sempre migliore precisione e fare in parole povere tutto quello che sappiamo essere il lavoro impiegatizio.

Bello in teoria.

Potenzialmente disastroso però in pratica, perché vuol dire azzerare in pochi anni milioni di posti di lavoro.

E non straparliamo improvvisandoci esperti di cose delle quali non conosciamo approfonditamente pressoché nulla, profetando che l’intelligenza artificiale non potrà mai fare quello che fa l’uomo.

Evitiamo di farci dare dei trogloditi e informiamoci prima.

Ormai sono anni che nelle università di tutto il mondi si parla della “singularity”, cioè di una specie di secondo big bang, quando in un momento non lontano l’intelligenza artificiale sorpasserà le capacità di quella umana.

In quelle università si sa che è solo questione di quando, perché ormai siamo vicini e la tecnologia per arrivarci c’è già ed è la tecnica con la quale le macchine sono già oggi in grado di “studiare” come evolversi per incrementare le loro prestazioni, senza bisogno di ulteriore intervento umano.

E’ questa consapevolezza che ci colpisce molto e induce molti a rifiutare l’evidenza.


-Fintech Bitcoin e blockchain

Per fintech si intende l’applicazione a regime del digitale nelle banche “retail”, cioè quelle tradizionali con sportelli.

Sarà la fine della coda agli sportelli per fare operazioni che si possono fare comodamente dal proprio smartphone.

Questo penso non solo lo sappiamo da tempo ma lo abbiamo già sperimentato tutti o quasi.

Un grosso vantaggio legato anche alla vicina fine del contante.

Il portafoglio si avvia ad essere un oggetto d’antiquariato come la penna col pennino per l’inchiostro.

Il problema per l’occupazione però sarà pesante, si stanno perdendo centinaia di miglia di posti di lavoro nel giro di pochi anni.

Blockchaine e Bitcoin sono per adesso cose da iniziati o quasi, ma promettono grandi cose, tipo cambiare radicalmente il sistema finanziario.

Il meccanismo non è semplice nemmeno per chi ha dimestichezza coi computer.

Semplificando al massimo è un modo per usare i Bitcoin o analoghi senza ricorrere ai dollari o all’euro, ma autoproducendosi una moneta digitale che ha un suo valore di cambio conosciuto in ogni momento.

La procedura di creazione si chiama “mining”.

Se voglio usare Bitcoin uso lo slot che ho nel mio ledger, traduciamo in modo approssimativo con una riga che ho nel mio libro contabile e qui scrivo la cifra che userò.

Il punto di forza dei Bitcoin è il fatto che la cifra che userò mettiamo per fare un acquisto diventa realmente mia nel mio libro contabile essendo in tempo reale verificata da un sistema di crittografia accessibile solo da una chiave privata che ovviamente io posseggo.

Come faccio la transazione tutti la possono verificare e questo è l’altro punto di forza dei Bitcoin e della blockchain.

Sicurezza a prova di bomba dicono chi li usa anche se inconvenienti ci sono stati, oltre al fatto che finora è stato un tipo di valuta molto più volatile di quelle tradizionali.

Gli esperti del settore se non si sbilanciano sul futuro dei Bitcoin, sono quasi unanimi nel ritenere che la tecnica del blockchain avrà un futuro strabiliante.



- Big data

Connesso all’intelligenza artificale c’è il fatto che il mondo nel quale viviamo ha scoperto una nuova materia prima, che non è più il frumento a cose del genere o il petrolio o cose del genere, o i metalli preziosi, ha scoperto i dati, che oggi i così detti social ,ma non solo, raccolgono in misura impensabile.

Non credo che ci sia ancora qualcuno che non sappia che oggi ciascuno di noi, che lo sappiamo o no, che lo vogliamo o no ,è costantemente sottoposto a un processo che si chiama di “profilazione” cioè di raccolta dati su tutto ciò che ci riguarda e che quotidianamente seminiamo nel web.

E non si illuda chi pensa di svignarsela perché letteralmente non tocca né un computer né uno smartphone, se non lo fa lui, lo fa qualcuno per lui, perché oggi non si può letteralmente fare nessuna delle cose necessarie alla vita senza passare per le vie digitali.

E allora ci vuole chi sia capace di raccogliere questi benedetti dati o di andarli a cercare dove ci sono già.

Poi bisogna saperli trattare, metterli insieme in un certo ordine perché si possa usarli per scopi molto mirati, dopo aver riassunto in modo comprensibile e intuitivo le linee che emergono dalla raccolta.

Tanto per dirne una, Ross descrive un programma informatico introdotto in Nuova Zelanda per fare in modo che l’agricoltore abbia il terreno analizzato nei dettagli in modo che moderni trattori con cabine che assomigliano ,dice Ross, più al cockpit di un aereo di linea che alla cabina di un vecchio trattore rilascino sul terreno i nutritivi necessari mirati al singolo centimetro quadrato.

Quale è stato il risultato di una tale agricoltura digitalizzata?

E’ stato qualcosa di incredibile perché la Nuova Zelanda ha aumentato le sue esportazioni agricole in Cina (paese da un miliardo e mezzo di abitanti) del 450 per cento!


-Cybersecurity

Il mondo dei dati come nuova materia prima di importanza capitale porta con sé il mondo degli hackers, cioè dei ladri di dati.

Ladri specializzati semplicemente nel cercare di alleggerire i nostri portafogli che non ci sono più, ma che si sono trasformati in depositi bancari.

Oppure per rubare dati sensibili come segreti industriali, strategie di avversari.

Fino ad arrivare a una forma del tutto nuova di azioni di guerra vera e propria.

Perchè mai, si può oggi chiedere un capo di governo, devo pagare l’ira di dio per mantenere un esercito coi relativi costosissimi armamenti ,quando trovo sul mercato abilissimi hacker ucraini, russi o cinesi che sono in grado di bloccare il sistema energetico o le telecomunicazioni del mio nemico, senza usare truppe, razzi o carri armati?

Non è fantascienza è già stato fatto.

Ross cita l’hakeraggio subito dalla Aramco, la più importante impresa petrolifera del mondo posseduta dagli sceicchi sauditi, che è stata letteralmente ferma per una settimana fino a quando i responsabili non hanno addirittura sostituito fisicamente tutti i computer infettati,ridotti all’impotenza da hackers evidentemente abilissimi.

Episodi praticamente di cyberguerra si verificano ripetutamente per esempio quando per ragioni ignote ma ben comprensibili, alcuni degli impianti nucleari iraniani si “impallano” e devono sospendere l’attività per un po di tempo.

Ross vede un futuro molto roseo per gli esperti di cybersicurity.


- Robotica

Credo che quasi tutti abbiano sentito parlare del Robot chirurgico DaVinci che esegue delicatissime operazioni ad esempio di cardiochirurgia con una precisione impossibile per l’essere umano.

Pensate a un luminare in una disciplina di nicchia che da Milano o Londra può con questo mezzo operare in un ospedale del mondo in via di sviluppo.

Per usi più terra terra in Giappone, i robot servono per altri impieghi.

Questo paese ,che tra l’altro è leader di una fetta di questo mercato, ha un grosso problema demografico aggravato da una chiusura culturale verso l’immigrazione per la qual cosa ha bisogno assoluto di un numero estremamente elevato noi diremmo di badanti, che proprio non ci sono e allora ricorre alla grande ai robot.

Non parliamo poi dei robot industriali per scopo di automazione, che sono già presenti a milioni delle nostre fabbriche.

Oggi si studiano autentici robot umanoidi.

Ma non si può parlare di robotica se non si pensa a quella che è già una delle tecnologie che lasceranno più il segno nel cambiare le nostre vite e le nostre città.

Stiamo parlando delle “driverless car”, le auto senza guidatore.

Non è che ci saranno, ormai ci sono.

La tecnologia è già diventata realtà e richiede armai solo poche implementazioni.

Il problema, l’ostacolo vero sembra essere non un muro, un passante avventato o una brusca frenata.

Questi sono problemi già risolti, il maggiore ostacolo sembra essere culturale e questa è la ragione per la quale ad esempio il gigante Google che più di altri ha coltivato questa tecnologia, si autolimita e si impone di procedere a piccoli passi.

Alec Ross, giustamente ci ricorda che la cultura occidentale classica della quale siamo imbevuti ci ha presentato da secoli i miti di Icaro che prova il volo, Prometeo che ruba il fuoco agli dei fino ad arrivare al Dr. Frankenstein di Mary Shelley come dei grandi visionari , ma che finiscono per divenire dei perdenti predestinati, perché avrebbero osato troppo.

C’è una paura atavica nell’affrontare il nuovo e bisogna esserne consapevoli.

Il pur grande Dante riassumeva da par suo la filosofia aristotelica-tomista del suo tempo con il celebre “stati contenti umana gente al quia”.

Ma sappiamo che fortunatamente l’uomo non è stato affatto “contento” nel significato etimologico di legato e si è liberato dei vincoli contenuti nei vecchi pregiudizi.

E infatti dopo Dante sono arrivate le leggi del moto di Isaac Newton, le osservazioni di Galileo, l’Origine delle specie di Charles Darwin, l’esplosione atomica nel deserto che porta il terribile nome di Jornada del Muerto nel New Mexico, e il mondo con la scienza moderna non è più stato come prima.

Non sarà semplice proprio sul piano psicologico-culturale, ma metabolizzeremo le nuove tecnologie.

Per fare un esempio banale sopratutto in Asia i robot che fanno i camerieri sono già prassi corrente.


-Bionica, arti bionici , esoscheletro per disabili

Questi sono settori intrecciati alla robotica anche se arrivano ad applicazioni più particolari.

Anche qui siamo all’apertura di meravigliose conquiste che già possono cambiare la vita per esempio ai paraplegici.

Sono già in sperimentazione “occhi artificiali”,telecamera, sensori, traduttori di impulsi,trasmettitori ai centri nervosi neurali.

Nel futuro ci siamo già, c’è poco da fare.

Le neuroscienze hanno fatto passi da gigante anche se le nostre conoscenze sul funzionamento del cervello vanno meno veloci del previsto data la complessità della materia, anche se i dati di base erano sconosciuti fino a ieri quando non esistevano ancora le macchine che consentono di avere in pratica le immagini del lavoro delle singole parti del nostro cervello quando sono attivate per particolari funzioni e questo spiega perché ci vuole del tempo.

E’ importante sottolineare però che questo genere di tecnologie già oggi consentono di inserire direttamente o comunque collegare il corpo umano con congegni elettronici al fine di aumentare le capacità umane o di correggere situazioni di infermità.

Il campo è nuovo ed è aperto ad applicazioni impressionanti, perché il congegno esterno non è più comandato unicamente da un suo programma iterno (pensiamo alla tecnologie dei pace-makers che rilasciamo impulsi ogni tanti secondi) ma sono comandati da impulsi elettrici nostri, provenienti dal nostro cervello.

Questo cambia tutto, è ben altra cosa.


-Nanotecnologie

Ci risiamo con la fantascienza che oramai è diventata realtà.

Il settore è in piena evoluzione ormai da anni anche se di queste nuove tecnologie se ne parla meno delle altre, forse perché spaventano di più.

Ma nella farmaceutica e nella cosmetica già oggi si usano le nanotecnologie.

Pensiamo a dove può arrivare la diagnostica medica usando nanoparticelle.

Una volta si fantasticava sopra a una specie di nano-sommergibile capace di navigare per il nostro sistema circolatorio o per fare analisi o per rilasciare farmaci in aree particolari.

Con le nanotecnologie si può far molto di meglio e con più precisione.

Perchè spaventano queste tecnologie?

Forse perché abbiamo ancora da metabolizzare il mondo del big data che ci ha fatti diventare materia prima per le grandi società che trattano i dati spesso a nostra insaputa, figuriamoci dover pensare di avere in circolo qualche nano-aggeggio che trasmette ad altri le nostre funzioni per adesso e in un domani non troppo lontano cosa stiamo pensando.



-Genomica

Si è arrivati da tempo a “sequenziare il DNA” che è come sappiamo la parte diciamo immortale del nostro essere nel senso che serve a contenere tutte le notizie che ci riguardano e che possiamo tramandare.

Il problema è che il DNA può contenere un “errore” genetico, foriero anche di gravi conseguenze, o acquisire una mutazione dall’influenza del mondo esterno, che si traduce ancora in un errore con possibili gravi conseguenze eccetera.

Pensiamo al cancro, dovuto in estrema sintesi ad un errore nella duplicazione delle cellule, sempre contenuto in una piccola sequenza del DNA.

Oggi, semplifico in modo indecente, è possibile fare il copia e incolla, cioè se si individua l’errore causa ad esempio di una malattia, si potrebbe tagliare quella sequenza “erronea” e sostituirla con una “sana”.

E’ estremamente complesso ma pur con molte limitazioni si può e si fa.

Ci sono limitazioni legislative in Occidente sugli interventi nel genoma umano, ma non è un caso che dove c’è più libertà come in Cina c’è anche, diciamo, l’istituto di genomica più importante del mondo.

Si spalanca la finestra per l’homo deus che sconfigge o ritarda la morte per un tempo indefinito, meraviglioso.

Però c’è anche da gestire per esempio la possibilità di fabbricarsi i figli con le tali caratteristiche.

O fabbricare eserciti di umanoidi pronti ad ubbidire ovviamente solo a una parte.

Il sequenziamento del DNA ha portato a intervenire con l’ingegneria genetica anche in campi una volta considerati off limits come nella psichiatria.

Per esempio oggi è stata identificato un centinaio di geni che portano alla schizofrenia.

Si stanno identificando i geni che causano le comuni depressioni fino alla tendenza al suicidio.

Con queste conoscenze e queste tecnologie si è già aperta anche la strada che va verso Jurassic Park.

Si riuscirà a riportare sulla terra per esempio il più famoso degli estinti e cioè il mammouth?

Si se si troverà abbastanza DNA da impiantare nell’utero di un animale non troppo diverso dal mammouth.

E’ chiaro da quanto si è solo accennato sopra che quando si comincia parlare di Homo deus come una prospettiva solo di tempo, ma concreta, il riferimento e la fiducia o la fede verso le religioni tradizionali ed alle loro diverse mitologie va a farsi benedire, per rimanere in tema.

Ma questo ovviamente non significa che non diventi ancora più vivo e necessario il ricorso alle spiritualità ed all’etica, laiche però, cioè acquisite col procedimento che porta alla conoscenza.

Le religioni con le loro narrazioni mitiche sono fuori, sono diventate irrilevanti nel senso che se avevano già poche cose da dire convincenti e dimostrabili prima, figuriamoci ora che sono comparsi questi scenari del tutto nuovi.

La lettura di libri come questo dovrebbe essere assolutamente prioritaria nei curricula scolastici.

Si spera che anche se la politica arriverà fuori tempo massimo, la professionalità e la passione della classe docente ci metta una pezza.

Perchè non si vede come i nostri giovani possano affrontare il futuro se non conoscono nemmeno le basi di cosa è già l’oggi.









lunedì 22 giugno 2020

Catherine Nixey : The Darkening Age : the christian destruction of the classic world






E’ stato anche tradotto col titolo : nel nome della croce. La distruzione cristiana del mondo classico.

Sarà un libro polemico e poco ortodosso.
In qualche punto l'autrice si sarà anche fatta prendere la mano dalla voglia di sostenere la sua tesi, facendo storcere il naso a qualche più misurato accademico del settore.
Però obiettivamente l'accurata bibliografia contenuta nelle note e poi a corredo del libro, sta a testimoniare il fatto che l'autrice ha fatto un lavoro serio e complessivamente documentato a dovere.
Ciò non ostante la lettura di questo lavoro lascia alquanto scioccati e non poco arrabbiati con noi stessi.
Perchè qui in Italia più o meno tutti siamo di cultura cristiana cattolica e questo libro lancia senza ombra di eqiuivoco al cattolicesimo l'accusa di avere volutamente distrutto la cultura classica per imporre i propri dogmi.
Proprio perchè siamo tutti di cultura cristiana all'affermazione di cui sopra sorge immediata una vocina nel nostro data base culturale che ribatte : ma come : se tutti sappiamo che sono stati gli scriptoria dei monaci medioevali a riportare a noi la cultura classica, cosa dice quest'autrice?
Quest'autrice dice non nega affatto che un grande patrimonio che rientra in quello che intendiamo come cultura classica ci sia arrivato materialmente tramite l'opera degli scriptoria dei monaci medioevali.
Dice un'altra cosa che però è parecchio indigesta, perchè sostanzialmente questa cosa la ignoravamo per la precisa ragione che una organizzazione potente come la chiesa cattolica ha voluto farcela ignorare, per non essere messa in ulteriore difficoltà, dato che oggi non se la passa molto bene.
La Nexey dice in sostanza che i monaci medioevali ci hanno fatto arrivare solo la parte della cultura classica che hanno voluto, distruggendo di fatto la possibilità di tramandare ai posteri tutto il resto, che ovviamente consideravano in contrasto con la loro costruzione dogmatica.
Per apprendere in modo obiettivo come funzionava il procedimento dei "copisti" medievali invito caldamente il lettore a leggere "Misquoting Jesus" di Bart Ehrman, tradotto in Italiano ricercando come sempre un titolo effetto con :Gesù non l'ha mai detto,Millecinquecento anni di errori e manipolazioni nella traduzione dei Vangeli.
Tanto per capire di che cosa si parla, se uno vuole capire.
Quanto abbiamo detto sopra riguarda i testi.
Il resto del libro della Nixey, è dedicato alla distruzione sistematica da parte dei cristiani anche dei templi, statute, dipinti, mosaici appartenenti alle religioni greca e romana.
Un patrimonio immenso.
Capisco che il lettore che non abbia una specifica conoscenza degli avvenimenti relativi agli anni della nascita ed espansione a macchia d'olio del cristianesimo, diffcilmente sarebbe attratto dalle opere degli specialisti sull’argomento, ma prorpio perchè parliamo di cose che quasi tutti ignoriamo e che quindi vorremmo chiarirci, potremmo soddisfare il nostro interesse magari leggendo un’opera divulgativa dedicata alla vicenda di Ippazia come per esempio l'Ipazia di Silvia Ronkey.
Però ecco sarà scioccante apprendere per esempio che cose che ci sono state appiccicate nel cervello fin dal catechismo quando eravamo bambini come la narrazzione delle terribili persecuzioni dei cristiani che hanno fabbricato schiere di martiri sono non del tutto false, ma largamente esagerate perchè nella realtà storica furono enormemente inferiori alle persecuzioni operate pochi decenni dopo dai cristiani medesimi contro tutti coloro che osavano ancora praticare anche in privato le vecchie religioni o anche solo praticare la conoscenza e le scuole di filosofia questi sono fatti ben conosciuti dagli storici ma larghissimamemente ignorati dalla gente.
Persecuzioni cristiane feroci e generalizzate a seguito degli editti degli imperatori ormai cristiani delle quali l’educazione cattolica tace per nascondere sotto il tappeto, lo sporco che oggidì non si può più nascondere.
La macchina propagandistica del cattolicesimo istituzionale passava e passa come uno schiacciasassi sopra a tutto quello che crea "turbamento fra i fedeli", anche se come è noto la potenza di quella macchina si è oggi fortemente indebolita.
In altre parole queste cose certo non vengono raccontate nella incredibile ancora esistente "spiegazione del Vangelo della domenica" che si pratica in tutte le chiese.
Anche se per la verità, qualche raro prete rende giustizia alla propria intelligenza ed a quella dei suoi fedeli invitandoli a leggere, a documentarsi e a non pensare che il cristianesimo sia un minestrone preparato una volta per tutte che necessita solo di essere riscaldato di tanto in tanto.