martedì 6 settembre 2011

Martinazzoli ultimo e sofferto segretario DC

Alla notizia della scomparsa di Martinazzoli non sono riuscito a trattenere la solita considerazione, pedestre fin che si vuole : ecco per l’ennesima volta le cieche Parche si prendono i più specchiati galantuomini e lasciano i mariuoli a fare danni su poltrone dove non avrebbero mai dovuto sedersi.
La storia personale di Martinazzoli è in fatti quella che in matematica si definisce una grandezza incommensurabile rispetto alla caratura dei politici del teatrino politico attuale.
Il livello intellettuale molto al di sopra della norma come sempre non gli è giovato più di tanto.
Anche in quegli anni la gente ammirava le intelligenze così brillanti, ma sentendosi irrimediabilmente lontana non aveva troppo simpatia per quel tipo di uomini.
Per una casuale ma interessante combinazione della storia Martinazzoli mi è sempre sembrato la versione laica del suo conterraneo Giovanni Battista Montini.
Stessa profondità intellettuale, stesso rigore nel proprio stile di vita, stessa consapevolezza della complessità dei problemi della vita e quindi quell’atteggiamento eternamente problematico, sempre diretto al maggior approfondimento possibile di ogni aspetto.
Questo rigore nell’analisi ha fatto ritenere Montini spesso una personalità incontestabilmente grande ma non certo un decisionista.
Martinazzoli soffriva della stessa malattia. Troppo colto, troppo profondo per dare giudizi immediati e netti.
Ho avuto la ventura di incontrarlo e lo ricordo come un conversatore più che brillante ma senza la nozione del tempo, col difetto di essere portato a lasciarsi trascinare dal fascino intellettuale di un argomento interessante anche se questo si trovava del tutto al di fuori del tema iniziale.
Brillante avvocato di una provincia ricca era abituato al modo di parlare della sua corporazione e quindi non poteva trattenersi dalle citazioni colte.
Per dare l’dea dei tempi nei quali ha dovuto prendere la responsabilità del partito basterebbe dire che erano i tempi non sono di tangentopoli, ma anche dell’incriminazione di Andreotti per reati di mafia. Era stato scelto proprio perché la sua storia politica e personale era assolutamente al di sopra di ogni sospetto, forse però non era l’uomo giusto per navigare in quelle acque.
Per dirla in un modo che lui avrebbe censurato, per fare un lavoro “sporco” ci voleva qualcuno passabile ma non così intransigentemente lavato con Omo.
E a lui toccò il compito ingrato di seppellire il gigante DC in un gorgo storico così veloce che probabilmente non gli aveva dato il tempo di rendersi conto di cosa stava facendo.
Ma la colpa non è stata la sua, l’autore vero del disastro fu Mariotto Segni, che purtroppo per lui e per noi era assolutamente in buona fede, convinto di mettere il paese al sicuro col suo referendum.
La DC è stata distrutta dal referendum sul maggioritario.
Pensare di superare le carenze di cultura politica di una classe dirigente con delle alchimie di ingegneria costituzionale o con espedienti elettorali è da sempre un’idea peregrina.
Segni e associati erano dei legulei, non erano quegli esperti di scienza politica che sarebbe stato necessario coinvolgere e hanno fatto, se pure in buona fede, un terribile pasticcio.
Hanno ragionato in modo semplicistico senza approfondire abbastanza un problema complesso, molto complesso.
Il sistema maggioritario, per farla breve, è il cuore del sistema politico inglese, diversissimo dalla tradizione e dalla cultura politica italiana.
La Dc fondava il suo potere coprendo la vasta area del centro per sua natura aliena da scelte drastiche al momento delle elezioni.
Tutto il contrario del sistema conseguente a un sistema elettorale maggioritario.
Ma anche nel maggioritario la DC avrebbe potuto sfruttare la sua articolazione territoriale capillare , purché il sistema fosse stato un vero maggioritario classico e non quella pasticciata che è venuta fuori.
Prendere un pezzo del sistema inglese e portarlo in Italia lasciando fuori le strutture che gli danno vita era ed è un pasticcio che non può funzionare.
Come avevo già sottolineato nel post del post del 31 agosto scorso, manca in Italia l’elemento di base per fare funzionare il sistema all’inglese e cioè il collegio uninominale unico (cioè con un solo candidato per partito) ,locale e di piccole dimensioni 70/80 mila abitanti, cosa che porterebbe la Camera a un numero di deputati molto elevato, come è nella Camera di Comuni inglese.
I collegi elettorali, seguendo questo principio, andrebbero completamente ridisegnati e sarebbero diversissimi da quelli attuali.
Ma questo non è stato fatto allora e oggi dei populisti assolutamente incolti in scienza politica spingono cittadini del tutto non informati a fare esattamente il contrario.
Martinazzoli purtroppo tutto questo non l’aveva captato.
I suoi successori in compenso non l’hanno ancora capito oggi.

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