Bastava vedere Angelino Alfano tessere l’elogio della riforma del lavoro nel telegiornale di ieri sera per rendersi conto che questa cosa puzza.
Se poi uno andava a consultare qualche gioslavorista o economista del lavoro come ha fatto sempre ieri sera Sky Tg24 Economia si chiariva del tutto le idee su cosa sta combinando questo presunto governo dei tecnici.
Facciamola breve, l’impressione che si ricava è che con il marchingegno del licenziamento “economico” si apra la strada alla possibilità di licenziamento “ad libitum”, a discrezione dell’imprenditore e cioè si abolisca di fatto l’art.18.
I giuslavoristi hanno già detto che il meccanismo escogitato è talmente mal delineato e macchinoso che gli unici a guadagnarci da questa brillante riforma saranno gli avvocati del lavoro.
Questo benedetto art. 18 viene invocato nell’1% dei casi di licenziamento e quindi la sua rilevanza non è sicurametne tale da farne una quastione prioritaria in un momento di crisi.
Se si vuole tentare di caprici qualche cosa su questo argomento si tenga presente che si la riforma in questione riguarda i licenziamenti individuali e non quelli collettivi per i quali la porta per il licenziamento “economico” è spalancata da sempre, tanto che ogni giorno chiudono aziende “per motivi economici” lasciando a casa i loro dipendenti.
E allora di cosa stiamo tutti discutendo in questi giorni? Del sesso degli angeli come ai tempi della scolastica medioevale?
Il cuore del problema sta nel fatto che l’art. 18 non è importante di per sé, perché come abbiamo detto interessa un numero limitato di casi.
L’art 18, come ha sostenuto in modo finalmente trasparente la CGIL, ha un grande valore simbolico,perché è una delle poche cose che danno la sensazione alla parte più debole cioè il lavoratore di avere una qualche tutela e di non essere alla mercè di eventi incontrollabili.
In un momento di crisi nera avviata e diventare ancora più nera nei prossimi mesi essendo il paese in piena recessione (produzione e Pil negativi) si va a toccare il simbolo della garanzia che ha il lavoratore italiano contro l’arbitrio delle controparti più forti.
Oggi il problema è quello delle folle dei lavoratorin cacciati dal mercato del lavoro che si ingorssano. La priorità assoluta è quindi facilitare la creazione di sviluppo e di posti di lavoro.
I giovani sono obbligati a venerare san precario da un bel pezzo e per loro le variazioni dell’art 18 non porteranno nemmeno mezzo posto di lavoro, e in più daranno loro la sensazione di essere ancora più abbandonati a sé stessi.
Questa parte della riforma sull’art. 18 è una impuntatura ideologica più degna del peggior berlusconismo che di un presunto governo dei tecnici.
L’unica “pars construens” della riforma, è quella riguardante le procedure “di entrata” nel mondo del lavoro invece di quelle in uscita, che sembra tentare di incentivare quella figura dell’apprendistato incautamente messa da parte anche per responsabilità sindacale negli anni delle vacche grasse per emarginare quelle forme di lavoro che allora sembravano ingiustamtente discriminatorie verso i giovani.
A parte il fatto che nella situazione di oggi c’è poco da fare gli schizzinosi, la figura dell’apprendistato è qualcosa di connaturale al dna italico delle corporazioni artiginali dei mestieri nei comuni medioevali e della civiltà contadina dove spettava ai più anziani ed ai più tecnicametne preparati fornire le nozioni e le abilità ai giovani.
Disgraziatamente però da noi dove la cultura di questa figura professionale era più solida, la classe politica e sindacale l’ha sempre se non avversata certo non favorita.
Il sistema educativo italiano, essenziale per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro, è stato da decenni orientato a favorire l’accesso all’istruzione “generalista” dei licei, relegando in serie B l’istruzione tecnica professionale.
E’ stato un errore strategico colossale e la prova provata di questo discorso si trova in Germania, dove il sistema paese funziona e prospera in buona parte perché costruito sulle scuole tecnico professionali e sull’apprendistato.
E’ su questa parte della riforma che occorrerebbe lavorare se esistessero ancora forze politiche in grado di rappresentare i lavoratori.
Se poi dovessimo concludere che questo parlamento non rappresenta più nessuno andiamo a votare e finamola con la foglia di fico dei tecnici.
Nessun commento:
Posta un commento