venerdì 20 aprile 2012

Grande caos ma anche grandi opportunità

Stiamo vivendo in un momento di grande tensione. Il panorama politico è talmente in burrasca che si avverte chiaramente la sensazione che domani niente potrà essere più come prima. I vecchi politici fanno finta di non capire ma sanno benissimo di essere condannati ad uscire di scena quanto prima. Chi scrive ha vissuto in diretta la caduta degli dei negli anni intorno al ’92 e può assicurare che chi ricopriva cariche politiche nella Dc e nel Pci sapeva benissimo che si era negli ultimi giorni della caduta dell’impero romano,ancora prima che esplodesse tangentopoli, però semplicemente non sapeva assolutamente cosa fare e quindi quella classe politica era condannata. Molti di quei politici che già erano decotti allora si sono riciclati nel berlusconismo e nel PD e questa è stata una delle ragioni per le quali si sono persi vent’anni a far nulla lasciando incancrenire i problemi e lievitare la corruzione. Ora pare proprio che si sia al vero redde rationem. Sembra accertato che la gente non accetterà più di andare a votare turandosi il naso i soliti cataplasmi, in politica da una vita senza avere combinato nulla di rilevante. Il governo Monti è stato un’espediente per uscire dall’anomalia del berlusconismo, ma sta mettendo sempre più in evidenza i suoi limiti. Il problema di Monti non è affatto quello sollevato continuamente dalle destre e cioè che non essendo eletto avrebbe dubbia legittimità e rappresentatività perché essendo la nostra una repubblica parlamentare nella quale i governi si possono formare e disfare in parlamento non esiste l’elezione diretta del premier. Il problema vero è che il governo Monti è praticamente nato su nessun programma se non un genericissimo salvare la baracca dal naufragio sui mercati finanziari. Riuscito solo in parte e temporaneamente quel salvataggio si comincia a rendersi conto che non basta se non c’è un indirizzo programmatico chiaro per il futuro. Ormai non hanno più nessuna rilevanza né i vecchi schieramenti ideologici né i costosissimi carrozzoni politici esistenti. Quando si andrà a votare e prima sarà, meglio sarà, è fondamentale che gli italiani siano messi in grado di votare per la politica economica che ritengono più appropriata. Bisognerebbe poter far capire alla gente che il voto a questo punto deve essere un referendum pro o contro la politica economica delle destre e specularmente pro o contro la politica economica neo-keynesiana dei progressisti. Che significa tutto questo in pratica? Significa avanti con l’austerità fiscale lacrime e sangue, come vogliono tutte le destre liberiste, oppure una politica neo-keynesiana di sviluppo come dovrebbero volere i progressisti. Il resto sono sostanzialmente tutte balle, il nucleo del problema è questo e solo questo. - denunciare, cioè uscire dagli accordi europei esistenti sul “fiscal compact”, cioè sul vincolo di bilancio ecc. per potere fare una politica di espansione, di consistenti lavori pubblici e investimenti sempre consistenti in infrastrutture e manutenzioni strutturali (scuole, ferrovie beni culturali) ; - liberalizzazioni reali che aboliscano gli steccati protettivi di alcune categorie professionali (abolizione degli ordini professionali ecc. privatizzazione degli enti economici locali utili solo per foraggiare politici di nessuna qualità ecc.); - una reale politica di revisione della spesa pubblica per esempio accentrando gli acquisti di beni per la sanità evitando così finalmente di pagare 50 una siringa a Trento e 100 a Palermo, ecc. - chiedere alla BCE di sostenere la politica di espansione con forte immissione di moneta che arrivi alle imprese e in caso di impossibilità di trovare un accorso incamminarsi per l’uscita dell’Italia dalla zona euro. Tutte bestemmie? Fino a poco tempo fa si sarebbe detto di sì, perché prevaleva il pensiero unico bocconiano ideologicamente liberista, che viveva assolutamente incontrastato e senza contradditorio. Oggi non è più così. Si pensi al parere più che autorevole del premio Nobel per l’economia Krugman, che ha espresso le stesse idee (Repubblica del 20-4-12 e NY Times di due giorni prima) o di Nouriel Rubiny della N.York University già capo economista di Clinton (Repubblica del 20-4-12) del tutto sulla stessa linea. In Italia si pensi a Giulio Sapelli a Boeri a Mario Pianta ecc. Forse l’imminente probabile vittoria di Hollande in Francia darà un po’ di coraggio a chi in Italia la pensa in questo modo.

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