Papa Francesco scomunica i mafiosi,
pensando a qualcun altro, più vicino a lui
La dura presa di posizione di Papa
Francesco contro ndrangheta e mafia è stata accolta universalmente
con favore.
“Quando non si adora
Dio, il Signore, si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i
quali vivono di malaffare e di violenza… La ‘ndrangheta è
questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male
va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no!.. Coloro che
nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi,
non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”.
Questo ha detto il Papa
nella piana di Sibari il 21 giugno scorso.
E Monsignor Nunzio
Galantino, il vescovo di Cassano all’Jonio che Papa Francesco ha
nominato segretario della CEI, ha così chiarito il significato
pratico delle parole del papa: “La scomunica significa che ai
mafiosi è preclusa la vita nella Chiesa. Hanno scelto il male come
sistema di vita. E quando questo accade sei fuori dalla comunione.
Non puoi ricevere i sacramenti, fare da padrino, entrare nel comitato
del patrono, niente. Non è la tua comunità. E non importa che tu
tenga l’immagine della Madonna o un altarino o la Bibbia nelle
topaie dove ti nascondi: non significa un bel niente”
Tutto chiaro.
Del resto anche Papa Woytila a suo
tempo aveva tuonato contro la mafia con una memorabile invettiva,
purtroppo del tutto contraddetta dalla sua totale mancanza di
vigilanza sulle indegne operazioni di riciclaggio a favore dei
capitali mafiosi, perpetrate dallo IOR.
Quello che lascia perplessi in questa
presa di posizione di Papa Francesco è la scelta dello strumento
usato, cioè della scomunica.
Questo è uno strumento noto a tutti
perché previsto da secoli dal diritto canonico e dalla tradizione
della chiesa.
Il problema sta nel fatto che questo
istituto nel corso della sua lunga storia si è guadagnato una fama
non meno abominevole di quella della mafia.
Innanzitutto perché è uno strumento
che rappresenta l'ultima sanzione per punire un delitto commesso da
un membro della chiesa, usato quasi sempre da una autorità
spirituale non per fini connessi alla religione (salvaguardare i
rapporti dei fedeli con Dio) ma, invece, regolarmente per
salvaguardare la stabilità delle posizioni di potere politico della
gerarchia ecclesiastica in un certo periodo storico, debordando
largamente dalla sua missione spirituale – religiosa.
La scomunica è stata per secoli una
delle forme principi di condanna a morte, eseguita con metodi
raccapriccianti, per sanzionare e punire quelli, che, sulla base
della moderna formulazione dei diritti dell'uomo, sono definiti come
“delitti di opinione”.
Si veda, come efficace esempio, quello
del rogo di Giordano Bruno, un intellettuale di primissimo livello
del '600, mandato al rogo, per non costringere le gerarchie
ecclesiastiche dell'epoca a dover trovare argomenti appena appena
opponibili alle sue asserzioni sull'universo, usandogli l'estrema e
simbolica ingiuria di avergli infilato un bastoncino nella lingua per
non consentirgli di parlare nemmeno nel momento supremo di
quell'inumano supplizio.
Nel caso nel quale lo scomunicato fosse
tanto fortunato da non essere suppliziato, la scomunica corrispondeva
alla morte civile, cioè alla perdita di status sociale, beni,
lavoro, relazioni, venendo relegati alla posizione di appestati.
La scomunica è quindi stata usata
largamente ogni qual volta la chiesa non si è trovata in grado di
controbattere idee contrastanti con la sua tradizione con idee più
convincenti.
E quindi la scomunica ha colpito tutti
coloro che nella storia hanno proposto di modificare la tradizione
lasciando circolare idee diverse.
Ogni volta è stata scomunica e scisma.
Così è capitato con ortodossi e
luterani, per citare i movimenti che hanno trovato un seguito di
massa duraturo e definitivo.
Quello che è peggio è che per ragioni
di potere, la scomunica diretta ai fondatori di quei movimenti è
stata estesa ai governanti dei popoli aderenti e in qualche caso ad
interi popoli ,come quelli della Repubblica di Venezia con
motivazioni esclusivamente di carattere politico- temporale.
In tempi più recenti il debordamento
dalla missione spirituale , del quale si diceva sopra, è addirittura
sceso sul terreno della comune lotta politica, con Pio XII e la sua
scomunica a tutti gli aderenti ai Partiti comunisti.
Scomunica, curiosamente mai rinnegata,
né ritirata ed anzi nella prassi corrente della prima repubblica,
estesa nei fatti dalla predicazione pre- elettorale ai partiti
socialisti e addirittura socialdemocratici, anche a causa della sua
forse voluta genericità di formulazione.
Quella grande anima di Papa Giovanni (è
inutile precisare il numero) aveva detto negli anni del Concilio (e
anche qui è inutile precisare il numero accanto a Vaticano) :
“combattiamo l'errore, ma mai la persona degli erranti”.
Dopo queste celebri parole si era
inteso all'interno della chiesa che quelle parole medesime
rappresentassero la pietra tombale sopra il secolare istituto delle
scomunica.
Ma nel Codice di Diritto Canonico di
Papa Woytila , agli artt. 1331 e seguenti la scomunica torna in gran
pompa.
Rinunciare alla scomunica evidentemente
viene inteso come rinunciare al potere o a far politica e da queste
rinunce siamo ancora lontani.
Non va trascurato però il fatto che
Papa Francesco ha ripreso quella famosa formulazione di Papa Giovanni
in modo forse ancora più esteso con quella sua frase che ha
letteralmente sconvolto il Vaticano : “chi sono io per giudicare?”.
Chi giudica sbaglia sempre, e sbaglia,
“perché prende il posto di Dio, che è l’unico giudice”. Si
arroga “la potestà di giudicare tutto: le persone, la vita,
tutto”. E “con la capacità di giudicare” ritiene di avere
“anche la capacità di condannare” ( omelia del 23 giugno a Santa
Marta).
Papa Francesco è arrivato a gestire la
Chiesa nel momento della sua crisi più grave.
Non credo neanche lontanamente che
l'elezione di un papa c'entri qualcosa con presunti interventi dello
Spirito Santo,perché sarebbe assurdo pensare che lo Spirito, si sia
sbagliato clamorosamente infinite volte lasciando eleggere personaggi
che si sono poi macchiati dei peggiori delitti.
Come non credo che il Sacro Collegio
prenda le sue decisioni nei Conclavi con maggiore preparazione,
serietà e consapevolezza di quella mediamente usata in qualunque
consesso politico.
Lasciamo quindi decidere al caso ed
agli equilibri politici del momento, ma anche in questa situazione,
nessuno può dubitare che l'elezione di Papa Francesco rappresenti
una svolta radicale.
Come ho ritenuto di evidenziare nei
molti post precedenti dedicati a questo Papa ed alle sue azioni di
governo, non è opportuno che questo Papa, nella situazione nella
quale si trova (in netta minoranza di fronte alle opinioni delle
gerarchie nominate dai suoi predecessori) si lanci a discettare di
teologia.
Sarebbe uno shock troppo forte rendere
pubblico quanto ci sia di insostenibile nella tradizione e nel
“depositum fidei” per dichiararlo decaduto.
Meglio lasciare perdere interventi in
campo dottrinale e usare invece forti interventi nel campo della
prassi, facendo in modo, che la coerenza e la strategia dell'azione,
servano di fatto a far capire a quali altri principi il Papa si
ispiri.
Ma se la scomunica è un ferro vecchio,
malfamato, anacronistico e di potere, come mai proprio Papa Francesco
vi ha fatto ricorso?
Tento di arrivarci per deduzione.
Papa Francesco, notoriamente ammiratore
di figure di martiri come Mons. Romero, o di icone del cattolicesimo
sociale nel mondo in via di sviluppo come Mons. Camara, che usa la
scomunica è una cosa che non sta né in cielo né in terra.
Però, quel papa Francesco, che si
ispira ai personaggi, sopra elencati, è assolutamente ovvio, che
in terre di mafia si trovi in consonanza particolare con gente che
abbia una stoffa simile a quella di quei personaggi ,come Don Ciotti.
E Don Ciotti, più di qualsiasi altro,
è in grado di aggiornare, in modo credibile, il papa sulla reale
situazione della chiesa in quelle terre.
Senza andare a quanto fa, dice e scrive
Don Ciotti, limitiamoci a consultare le diverse opere di sociologi e
storici, che hanno evidenziato, come nelle terre di mafia e
Ndrangheta il clero a tutti i livelli è generalmente e grigiamente
connivente con i poteri locali.
I preti martiri di mafia sono
chiaramente delle mosche bianche, come mosche bianche erano stati a
suo tempo i preti martiri del fascismo.
I Don Abbondio di tutti i tempi amano
stare tranquilli e per stare tranquilli sanno che bisogna non
permettersi mai di incrociare né intralciare il cammino dei Don
Rodrigo, se no cominciano i guai.
State tranquilli e obbedite al Signor
Barone, che spesso nei tempi moderni è il Padrino.
Il martire di mafia per antonomasia, il
giudice Falcone, come è noto, aveva avuto per primo la capacità di
definire cos'è la mafia anche dal punto di vista teorico.
E dando enorme fastidio alla classe
politica anche attuale, ha inequivocabilmente chiarito che l'ala
militare con coppola , fucili a canne mozze e tritolo purtroppo c'è
e va combattuta, ma è fatta apposta per nascondere la vera faccia
della mafia, che è tutt'altra cosa.
E' media borghesia delle professioni e
degli affari e della politica, che si tiene volutamente in una nube
di nebbia, in una “zona grigia” diceva Falcone.
Mafia è il tuo vicino di casa, il tuo
medico, il tuo commercialista, il tuo politico di riferimento.
Per questo è oggi molto più difficile
di ieri combattere la mafia.
E se a livello di società civile il
mafioso è così grigio , indistinguibile , a livello di clero com'è?
E' uno che parla generico, che non
attraversa la strada dei notabili, che tiene il popolo tranquillo,
che ama il conformismo ,la tradizione e che le cose cambino il meno
possibile, perché diversamente vedrebbe a rischio il suo ruolo di
cooptato fra i notabili.
Basta vivere così in terre di mafia e
sei fregato, perché così divieni di fatto connivente col sistema
mafioso.
Un giorno distogli lo sguardo, l'altro
fai finta di non capire e il sistema alla fine ti considera dei loro.
Quando capisci che sei quasi inguaiato,
cerchi di salvarti la coscienza dicendoti che tu non conosci nessun
mafioso classico, di quelli che sparano e quindi concludi con un
sillogismo bislacco che tu sei estraneo alla mafia.
Ma non è vero.
Difficile gestire questi vescovi e
questi preti in terra di mafia.
Sanno di essere conniventi, ma sanno
anche che questo fatto di essere conniventi non si vede.
L'equivoco potrebbe andare avanti
all'infinito con enorme danno di credibilità per la chiesa.
Ecco allora il perché del ricorso a
una misura estrema come la scomunica.
Vecchia, anacronistica e malfamata, ma
inequivocabile.
Però scomunicare i mafiosi che senso
ha?
E' come proclamare solennemente, che
rubare è peccato, come se non esistesse da venticinque secoli il
settimo comandamento.
Ma non dimentichiamo che papa Francesco
è stato educato alla sottile scuola dei Gesuiti.
A me sembra evidente che questa
scomunica sia un' esempio evidente dell'uso dialettico del discorso :
“dire a nuora perché suocera intenda”.
Il Papa non poteva scomunicare mezzo
clero d'Italia perché vive in terra di mafia e ci convive senza
reagire.
Chi avrebbe detto messa, celebrato
matrimoni e funerali, tenuto aperti gli oratori, eccetera, eccetera.
Teniamo conto per di più che nel
Meridione l'andare in chiesa per i riti sociali “di passaggio”
,come dice la sociologia religiosa, o anche all'incontro con gli
altri compaesani alla messa domenicale è molto più sentito che
altrove.
Per rompere il ciclo vizioso della
connivenza nella famosa “zona grigia”, occorreva cominciare con
una bomba, un bel botto, una scomunica per i mafiosi.
Bella gatta da pelare per i mille e
mille Don Abbondio.
Dover mandare a dire ai mille e mille
Don Rodrigo, che alla processione della beata patrona non ci potranno
andare più, né loro, né i loro picciotti, a rischio della pena
canonica di andare al confessionale e tornare a casa senza
assoluzione.
Certo che superare decenni di ambiguità
non sarà facile.
Ma sarà ancor meno facile far finta di
non capire cosa vuole il Papa dal suo clero in terra di mafia.
E' un buon inizio, probabilmente anche
metodologicamente intelligente, che richiederà anni di lavoro e di
“rieducazione”.
Ma almeno si è partiti.
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