giovedì 26 giugno 2014

Papa Francesco scomunica i mafiosi, pensando a qualcun altro, più vicino a lui



La dura presa di posizione di Papa Francesco contro ndrangheta e mafia è stata accolta universalmente con favore.
Quando non si adora Dio, il Signore, si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza… La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no!.. Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”.
Questo ha detto il Papa nella piana di Sibari il 21 giugno scorso.
E Monsignor Nunzio Galantino, il vescovo di Cassano all’Jonio che Papa Francesco ha nominato segretario della CEI, ha così chiarito il significato pratico delle parole del papa: “La scomunica significa che ai mafiosi è preclusa la vita nella Chiesa. Hanno scelto il male come sistema di vita. E quando questo accade sei fuori dalla comunione. Non puoi ricevere i sacramenti, fare da padrino, entrare nel comitato del patrono, niente. Non è la tua comunità. E non importa che tu tenga l’immagine della Madonna o un altarino o la Bibbia nelle topaie dove ti nascondi: non significa un bel niente”
Tutto chiaro.
Del resto anche Papa Woytila a suo tempo aveva tuonato contro la mafia con una memorabile invettiva, purtroppo del tutto contraddetta dalla sua totale mancanza di vigilanza sulle indegne operazioni di riciclaggio a favore dei capitali mafiosi, perpetrate dallo IOR.
Quello che lascia perplessi in questa presa di posizione di Papa Francesco è la scelta dello strumento usato, cioè della scomunica.
Questo è uno strumento noto a tutti perché previsto da secoli dal diritto canonico e dalla tradizione della chiesa.
Il problema sta nel fatto che questo istituto nel corso della sua lunga storia si è guadagnato una fama non meno abominevole di quella della mafia.
Innanzitutto perché è uno strumento che rappresenta l'ultima sanzione per punire un delitto commesso da un membro della chiesa, usato quasi sempre da una autorità spirituale non per fini connessi alla religione (salvaguardare i rapporti dei fedeli con Dio) ma, invece, regolarmente per salvaguardare la stabilità delle posizioni di potere politico della gerarchia ecclesiastica in un certo periodo storico, debordando largamente dalla sua missione spirituale – religiosa.
La scomunica è stata per secoli una delle forme principi di condanna a morte, eseguita con metodi raccapriccianti, per sanzionare e punire quelli, che, sulla base della moderna formulazione dei diritti dell'uomo, sono definiti come “delitti di opinione”.
Si veda, come efficace esempio, quello del rogo di Giordano Bruno, un intellettuale di primissimo livello del '600, mandato al rogo, per non costringere le gerarchie ecclesiastiche dell'epoca a dover trovare argomenti appena appena opponibili alle sue asserzioni sull'universo, usandogli l'estrema e simbolica ingiuria di avergli infilato un bastoncino nella lingua per non consentirgli di parlare nemmeno nel momento supremo di quell'inumano supplizio.
Nel caso nel quale lo scomunicato fosse tanto fortunato da non essere suppliziato, la scomunica corrispondeva alla morte civile, cioè alla perdita di status sociale, beni, lavoro, relazioni, venendo relegati alla posizione di appestati.
La scomunica è quindi stata usata largamente ogni qual volta la chiesa non si è trovata in grado di controbattere idee contrastanti con la sua tradizione con idee più convincenti.
E quindi la scomunica ha colpito tutti coloro che nella storia hanno proposto di modificare la tradizione lasciando circolare idee diverse.
Ogni volta è stata scomunica e scisma.
Così è capitato con ortodossi e luterani, per citare i movimenti che hanno trovato un seguito di massa duraturo e definitivo.
Quello che è peggio è che per ragioni di potere, la scomunica diretta ai fondatori di quei movimenti è stata estesa ai governanti dei popoli aderenti e in qualche caso ad interi popoli ,come quelli della Repubblica di Venezia con motivazioni esclusivamente di carattere politico- temporale.
In tempi più recenti il debordamento dalla missione spirituale , del quale si diceva sopra, è addirittura sceso sul terreno della comune lotta politica, con Pio XII e la sua scomunica a tutti gli aderenti ai Partiti comunisti.
Scomunica, curiosamente mai rinnegata, né ritirata ed anzi nella prassi corrente della prima repubblica, estesa nei fatti dalla predicazione pre- elettorale ai partiti socialisti e addirittura socialdemocratici, anche a causa della sua forse voluta genericità di formulazione.
Quella grande anima di Papa Giovanni (è inutile precisare il numero) aveva detto negli anni del Concilio (e anche qui è inutile precisare il numero accanto a Vaticano) : “combattiamo l'errore, ma mai la persona degli erranti”.
Dopo queste celebri parole si era inteso all'interno della chiesa che quelle parole medesime rappresentassero la pietra tombale sopra il secolare istituto delle scomunica.
Ma nel Codice di Diritto Canonico di Papa Woytila , agli artt. 1331 e seguenti la scomunica torna in gran pompa.
Rinunciare alla scomunica evidentemente viene inteso come rinunciare al potere o a far politica e da queste rinunce siamo ancora lontani.
Non va trascurato però il fatto che Papa Francesco ha ripreso quella famosa formulazione di Papa Giovanni in modo forse ancora più esteso con quella sua frase che ha letteralmente sconvolto il Vaticano : “chi sono io per giudicare?”.
Chi giudica sbaglia sempre, e sbaglia, “perché prende il posto di Dio, che è l’unico giudice”. Si arroga “la potestà di giudicare tutto: le persone, la vita, tutto”. E “con la capacità di giudicare” ritiene di avere “anche la capacità di condannare” ( omelia del 23 giugno a Santa Marta).
Papa Francesco è arrivato a gestire la Chiesa nel momento della sua crisi più grave.
Non credo neanche lontanamente che l'elezione di un papa c'entri qualcosa con presunti interventi dello Spirito Santo,perché sarebbe assurdo pensare che lo Spirito, si sia sbagliato clamorosamente infinite volte lasciando eleggere personaggi che si sono poi macchiati dei peggiori delitti.
Come non credo che il Sacro Collegio prenda le sue decisioni nei Conclavi con maggiore preparazione, serietà e consapevolezza di quella mediamente usata in qualunque consesso politico.
Lasciamo quindi decidere al caso ed agli equilibri politici del momento, ma anche in questa situazione, nessuno può dubitare che l'elezione di Papa Francesco rappresenti una svolta radicale.
Come ho ritenuto di evidenziare nei molti post precedenti dedicati a questo Papa ed alle sue azioni di governo, non è opportuno che questo Papa, nella situazione nella quale si trova (in netta minoranza di fronte alle opinioni delle gerarchie nominate dai suoi predecessori) si lanci a discettare di teologia.
Sarebbe uno shock troppo forte rendere pubblico quanto ci sia di insostenibile nella tradizione e nel “depositum fidei” per dichiararlo decaduto.
Meglio lasciare perdere interventi in campo dottrinale e usare invece forti interventi nel campo della prassi, facendo in modo, che la coerenza e la strategia dell'azione, servano di fatto a far capire a quali altri principi il Papa si ispiri.
Ma se la scomunica è un ferro vecchio, malfamato, anacronistico e di potere, come mai proprio Papa Francesco vi ha fatto ricorso?
Tento di arrivarci per deduzione.
Papa Francesco, notoriamente ammiratore di figure di martiri come Mons. Romero, o di icone del cattolicesimo sociale nel mondo in via di sviluppo come Mons. Camara, che usa la scomunica è una cosa che non sta né in cielo né in terra.
Però, quel papa Francesco, che si ispira ai personaggi, sopra elencati, è assolutamente ovvio, che in terre di mafia si trovi in consonanza particolare con gente che abbia una stoffa simile a quella di quei personaggi ,come Don Ciotti.
E Don Ciotti, più di qualsiasi altro, è in grado di aggiornare, in modo credibile, il papa sulla reale situazione della chiesa in quelle terre.
Senza andare a quanto fa, dice e scrive Don Ciotti, limitiamoci a consultare le diverse opere di sociologi e storici, che hanno evidenziato, come nelle terre di mafia e Ndrangheta il clero a tutti i livelli è generalmente e grigiamente connivente con i poteri locali.
I preti martiri di mafia sono chiaramente delle mosche bianche, come mosche bianche erano stati a suo tempo i preti martiri del fascismo.
I Don Abbondio di tutti i tempi amano stare tranquilli e per stare tranquilli sanno che bisogna non permettersi mai di incrociare né intralciare il cammino dei Don Rodrigo, se no cominciano i guai.
State tranquilli e obbedite al Signor Barone, che spesso nei tempi moderni è il Padrino.
Il martire di mafia per antonomasia, il giudice Falcone, come è noto, aveva avuto per primo la capacità di definire cos'è la mafia anche dal punto di vista teorico.
E dando enorme fastidio alla classe politica anche attuale, ha inequivocabilmente chiarito che l'ala militare con coppola , fucili a canne mozze e tritolo purtroppo c'è e va combattuta, ma è fatta apposta per nascondere la vera faccia della mafia, che è tutt'altra cosa.
E' media borghesia delle professioni e degli affari e della politica, che si tiene volutamente in una nube di nebbia, in una “zona grigia” diceva Falcone.
Mafia è il tuo vicino di casa, il tuo medico, il tuo commercialista, il tuo politico di riferimento.
Per questo è oggi molto più difficile di ieri combattere la mafia.
E se a livello di società civile il mafioso è così grigio , indistinguibile , a livello di clero com'è?
E' uno che parla generico, che non attraversa la strada dei notabili, che tiene il popolo tranquillo, che ama il conformismo ,la tradizione e che le cose cambino il meno possibile, perché diversamente vedrebbe a rischio il suo ruolo di cooptato fra i notabili.
Basta vivere così in terre di mafia e sei fregato, perché così divieni di fatto connivente col sistema mafioso.
Un giorno distogli lo sguardo, l'altro fai finta di non capire e il sistema alla fine ti considera dei loro.
Quando capisci che sei quasi inguaiato, cerchi di salvarti la coscienza dicendoti che tu non conosci nessun mafioso classico, di quelli che sparano e quindi concludi con un sillogismo bislacco che tu sei estraneo alla mafia.
Ma non è vero.
Difficile gestire questi vescovi e questi preti in terra di mafia.
Sanno di essere conniventi, ma sanno anche che questo fatto di essere conniventi non si vede.
L'equivoco potrebbe andare avanti all'infinito con enorme danno di credibilità per la chiesa.
Ecco allora il perché del ricorso a una misura estrema come la scomunica.
Vecchia, anacronistica e malfamata, ma inequivocabile.
Però scomunicare i mafiosi che senso ha?
E' come proclamare solennemente, che rubare è peccato, come se non esistesse da venticinque secoli il settimo comandamento.
Ma non dimentichiamo che papa Francesco è stato educato alla sottile scuola dei Gesuiti.
A me sembra evidente che questa scomunica sia un' esempio evidente dell'uso dialettico del discorso : “dire a nuora perché suocera intenda”.
Il Papa non poteva scomunicare mezzo clero d'Italia perché vive in terra di mafia e ci convive senza reagire.
Chi avrebbe detto messa, celebrato matrimoni e funerali, tenuto aperti gli oratori, eccetera, eccetera.
Teniamo conto per di più che nel Meridione l'andare in chiesa per i riti sociali “di passaggio” ,come dice la sociologia religiosa, o anche all'incontro con gli altri compaesani alla messa domenicale è molto più sentito che altrove.
Per rompere il ciclo vizioso della connivenza nella famosa “zona grigia”, occorreva cominciare con una bomba, un bel botto, una scomunica per i mafiosi.
Bella gatta da pelare per i mille e mille Don Abbondio.
Dover mandare a dire ai mille e mille Don Rodrigo, che alla processione della beata patrona non ci potranno andare più, né loro, né i loro picciotti, a rischio della pena canonica di andare al confessionale e tornare a casa senza assoluzione.
Certo che superare decenni di ambiguità non sarà facile.
Ma sarà ancor meno facile far finta di non capire cosa vuole il Papa dal suo clero in terra di mafia.
E' un buon inizio, probabilmente anche metodologicamente intelligente, che richiederà anni di lavoro e di “rieducazione”.
Ma almeno si è partiti.

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