martedì 15 luglio 2014

La lunga marcia di Papa Francesco



Ieri è apparso su Repubblica il resoconto del terzo colloquio fra l'ateo- credente, ma non nella dogmatica cristiana, Eugenio Scalfari, novantenne fondatore di quel giornale e Papa Francesco.
Scalfari stesso si premura di chiarire come mai a suo parere questo Papa, trovi interessante e opportuno confrontarsi con lui e dice che al papa non interessa nulla che lui sia giornalista, ma che il suo interesse starebbe proprio nella possibilità di parlare con un ateo, nel senso che non crede nel dio cristiano, ma credente, nel senso che è molto interessato alla dimensione spirituale dell'uomo ed alla religione, che ammira Gesù Cristo per il suo messaggio, che ritiene validissimo e da seguire, ma che non lo crede figlio di dio.
Su questa premessa ci sarebbe da dire moltissimo.
Prima di tutto perchè costituisce una novità assoluta di questi ultimi anni.
Prima che Papa Francesco si avviasse su questa strada, c'erano stati di ancora maggiore rilievo il colloquio del Cardinale Ratzinger, Prefetto dell'ex Sant'Uffizio con uno dei più lucidi e preparati intellettuali laici, Floris D'Arcais, in un gremito teatro di Roma e poi i colloqui fra Papa Ratzinger e un altro intellettuale laico, pure ben preparato nella teologia cattolica.
Come mai questo interesse per il modo di pensare del mondo moderno ,ben rappresentato da quei due intellettuali, e sopratutto, come mai rischiare di avventurarsi in quello, che paradossalmente non è concesso nemmeno ai teologi cattolici non perfettamente allineati, cioè il pubblico confronto delle tesi, con il rischio di dimostrare la povertà dei propri argomenti.
Come a mio avviso, ma non solo a mio avviso, è regolarmente capitato nei confronti sopra elencati.
Nel caso di Ratzinger, intellettuale puro, prestato a fare quello che non era attrezzato per fare, e cioè la gestione della chiesa, la cosa è perfettamente comprensibile e coerente con la sua linea di pensiero, illustrata inequivocabilmente nei suoi scritti.
Ratzinger si è sempre speso, come intellettuale, per cercare (senza riuscirci) di dimostrare quello che aveva voluto dimostrare, pure senza riuscirci, otto secoli prima, quel gigante del pensiero cattolico, che era stato Tommaso D'Acquino e cioè la non conflittualità fra ragione e fede cristiana.
Il pensiero di Ratzinger ha mille limiti, ma quello più evidente è quello di porsi come fondamentale il problema di conciliare ragione e fede, facendo riferimento ad Agostino, invece che a Tommaso.
Agostino non attribuiva alcuna priorità alla ragione umana, considerando tutto quello che è umano, come insanabilmente corrotto, e quindi non è utilizzabile per questa linea di ragionamento.
Però accettare il dibattito pubblico su questo tema, dimostra l'onestà intellettuale e diciamolo pure, il coraggio di Ratzinger, come accademico e come papa.
I papi di una volta, chi la pensava diversamente, lo mandavano al rogo, previo passaggio, tutt'altro che indolore, per gli scantinati dell'Inquisizione.
Oppure, nei tempi più moderni, li condannavano alla morte civile come è capitato per fare gli esempi più noti, a Rosmini , beatificato nel 2007, ma che vide la sua opera principale messa all'indice nel 1848, ed a Ernesto Buanaiuti, trattato molto peggio, scomunicato e privato della cattedra universitaria, dal fascismo usato come braccio secolare a causa della sua “storia del cristianesimo” del 1943.
E poi nei tempi recenti, la schiera dei teologi non allineati, condannati dal Vaticano, senza avere mai avuto l'opportunità di sostenere un pubblico confronto , è foltissima, da quelli della teologia della liberazione in poi.
Costume intollerabile in uso tuttora sotto Papa Francesco.
Ed allora perchè quest'opportunità accordata a laici ed atei, se pure attenti e interessati a studiare il fenomeno religioso, e non a chi dice cose simili, ma rivendicando di stare all'interno della chiesa?
L'esistenza ed il perdurare di questo fatto è indubbiamente un segno di forte arretratezza e di debolezza della chiesa medesima.
Papa Francesco ci prova a percorrere strade diverse, ma con che fatica e che battaglie deve affrontare quotidianamente contro chierici e laici che le stesse sgtrade non vogliono proprio percorrere.
Purtroppo c'è ed è prevalente questa mentalità nel mondo clericale : se per avvicinarci alla razionalità del mondo moderno e riacquistare credibilità, dobbiamo rinunciare anche a uno solo dei nostri dogmi e della nostra tradizione, meglio che la chiesa perisca.
Discutere con chi ragiona alla :”muoia Sansone con tutti Filistei”, è molto difficile.
Non scordiamo però che il lunghissimo papato di Woityla è stato pesantissimo nel nominare la maggioranza dei vescovi e cardinali, oggi presenti, seguendo il criterio primario, che fossero elencabili chiaramente nelle schiere dei tradizionalisti più sicuri.
Il compito riformatore di Papa Francesco è quindi difficilissimo.
Non vorrei apparire cinico, ma sarà aiutato più che da buone intenzioni, dalla debolezza umana, per la quale la probabile maggioranza dei tradizionalisti ai tempi di Woytila, si schiereranno oggi fra gli innovatori, per il servilismo, abituale in una struttura autoritaria, come è tutt'ora la chiesa e per la voglia di far carriera.
Rimane il fatto che il solo accettare o addirittura proporre forme di dibattito pubblico con non credenti in senso cattolico, è di per sé un fatto di grande peso per un papa.
Perchè il solo sedersi a un tavolo con quegli interlocutori ,significa anzitutto proclamare che si riconosce dignità agli argomenti che questi interlocutori esporranno e che il papa, ovviamente conosce bene in partenza.
Riconoscere dignità agli argomenti e a un interlocutore, significa poi, inevitabilmente, ritenere utile di prendere in considerazione quegli argomenti, rifletterci sopra e non escludere la possibilità di adottarne qualcuno o solo una parte.
Ricordiamoci che la lettura tradizionale del cattolicesimo vuole, che chi avrebbe ricevuto con la rivelazione divina la verità tutta intera e definitiva, non abbia, ovviamente, alcuna necessità di confrontarsi con argomentazioni contrarie o diverse, se non per sottolinearne la erroneità e per cercare di convertire l'interlocutore alla verità, già conosciuta.
Teniamo conto che non stiamo parlando di retorica o di accademia, ma di fatti sostanziali.
Per la chiesa solo il fatto di mettersi a discutere con chi la pensa diversamente vuol dire prima di tutto dare dignità all'interlocutore ed ai suoi argomenti, come abbiamo detto sopra, ma anche riconoscere che i propri argomenti potrebbero essere sbagliati e bisognosi di una riformulazione, anche radicalmente diversa rispetto a quella tradizionale.
I chierici, non c'è nulla da fare, sono tutt'ora indottrinati nei seminari ad acquisire la mentalità tradizionale del possesso esclusivo della verità assoluta e definitiva per rivelazione.
Andare contro corrente non è quindi affatto indolore all'interno della chiesa.
Per un osservatore esterno, è una ovvietà dare per scontato che nel mondo moderno ci si confronta quotidianamente per fare progredire il proprio pensiero, ma all'interno della chiesa cattolica non è affatto così, ci si confronta per convertire, non per riconoscere nuove “verità”.
Non facciamo i farisei, per la grande maggioranza del popolo cristiano, anche colto, il fatto che il papa spenda del tempo, mettendosi in posizione di parità con Floris d'Archais, con Odifreddi e oggi con Scalfari, addirittura per la terza volta, è una cosa che da fastidio, ma molto fastidio.
Perchè i loro preti , l'indottrinamento che hanno avuto e che coltivano a senso unico, se sono praticanti, classifica quegli intellettuali, come persone da trattare con disprezzo, con superiorità e più spesso con dileggio, magari perchè sono molto più ferrati in teologia dei loro preti e vescovi, ma magri, hanno sbagliato la citazione di una data in qualcuna delle loro opere.
E sono spesso in assoluta buona fede nel senso che la loro fede è l'adesione a un cattolicesimo con una certa lettura, quella tradizionalistica- dogmatica- autoritaria.
Cioè mettono al primo posto il così detto “depositum fidei”, che confondono con la rivelazione e che accettano solo nell'interpretazione dell'apparato clericale.
Per essere più chiari se si trovano a ragionare su un singolo precetto o presunta verità e trovano che questa sia in contrasto con la ragione, fanno prevalere, senza problemi, l'autorità della chiesa sui dettami della ragione.
Non perchè siano bigotti o ignoranti, magari sono professionisti o professori universitari, ma per loro l'adesione al cristianesimo comporta un sistema di pensiero chiuso, non sono abituati a metterlo in discussione, anzi si astengono regolarmente dal fare verifiche razionali, perchè ritengono che la
loro stabilità esistenziale che deve essere salvaguardata non ammette la discussione su quelle che fin dall'infanzia ritenevano certezze indiscutibili.
C'è al fondo la paura infantile del demonio e della dannazione eterna, che blocca il libero pensiero.
E' durissima per un papa innovatore scuotere una chiesa e un popolo in siffatte condizioni.
E' paradossale che un papa innovatore trovi l'ostacolo principale nell'arretratezza culturale del suo popolo.
E' quindi un compito immane quello di mettere mano a queste situazioni , tanto immane da non essere garantito per niente un esito favorevole.
Non per niente il numero in edicola di Internazionale riporta tradotto in italiano un saggio apparso su una rivista autorevole come New Scientist, con questo titolo : “un mondo senza dio. E' possibile che un giorno gli esseri umano smettano di credere? E se succederà, il mondo sarà un posto migliore?”.
Inutle aggiungere, che il saggio riporta statistiche dalle quali si evince un trend ,che rende verosimile il fatto che il futuro sia appunto senza dio e con un'umanità più felice di oggi, senza finire affatto in Sodoma e Gomorra.
Papa Francesco è probabilmente il massimo ,che la chiesa può esprimere in queste condizioni, purchè duri un tempo sufficiente per incidere a fondo.
Del contenuto del colloquio Papa Francesco- Scalfari ce ne occuperemo in un post successivo.

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