La lunga marcia di Papa Francesco
Ieri è apparso su Repubblica il
resoconto del terzo colloquio fra l'ateo- credente, ma non nella
dogmatica cristiana, Eugenio Scalfari, novantenne fondatore di quel
giornale e Papa Francesco.
Scalfari stesso si premura di chiarire
come mai a suo parere questo Papa, trovi interessante e opportuno
confrontarsi con lui e dice che al papa non interessa nulla che lui
sia giornalista, ma che il suo interesse starebbe proprio nella
possibilità di parlare con un ateo, nel senso che non crede nel dio
cristiano, ma credente, nel senso che è molto interessato alla
dimensione spirituale dell'uomo ed alla religione, che ammira Gesù
Cristo per il suo messaggio, che ritiene validissimo e da seguire, ma
che non lo crede figlio di dio.
Su questa premessa ci sarebbe da dire
moltissimo.
Prima di tutto perchè costituisce una
novità assoluta di questi ultimi anni.
Prima che Papa Francesco si avviasse su
questa strada, c'erano stati di ancora maggiore rilievo il colloquio
del Cardinale Ratzinger, Prefetto dell'ex Sant'Uffizio con uno dei
più lucidi e preparati intellettuali laici, Floris D'Arcais, in un
gremito teatro di Roma e poi i colloqui fra Papa Ratzinger e un altro
intellettuale laico, pure ben preparato nella teologia cattolica.
Come mai questo interesse per il modo
di pensare del mondo moderno ,ben rappresentato da quei due
intellettuali, e sopratutto, come mai rischiare di avventurarsi in
quello, che paradossalmente non è concesso nemmeno ai teologi
cattolici non perfettamente allineati, cioè il pubblico confronto
delle tesi, con il rischio di dimostrare la povertà dei propri
argomenti.
Come a mio avviso, ma non solo a mio
avviso, è regolarmente capitato nei confronti sopra elencati.
Nel caso di Ratzinger, intellettuale
puro, prestato a fare quello che non era attrezzato per fare, e cioè
la gestione della chiesa, la cosa è perfettamente comprensibile e
coerente con la sua linea di pensiero, illustrata inequivocabilmente
nei suoi scritti.
Ratzinger si è sempre speso, come
intellettuale, per cercare (senza riuscirci) di dimostrare quello che
aveva voluto dimostrare, pure senza riuscirci, otto secoli prima,
quel gigante del pensiero cattolico, che era stato Tommaso D'Acquino
e cioè la non conflittualità fra ragione e fede cristiana.
Il pensiero di Ratzinger ha mille
limiti, ma quello più evidente è quello di porsi come fondamentale
il problema di conciliare ragione e fede, facendo riferimento ad
Agostino, invece che a Tommaso.
Agostino non attribuiva alcuna priorità
alla ragione umana, considerando tutto quello che è umano, come
insanabilmente corrotto, e quindi non è utilizzabile per questa
linea di ragionamento.
Però accettare il dibattito pubblico
su questo tema, dimostra l'onestà intellettuale e diciamolo pure, il
coraggio di Ratzinger, come accademico e come papa.
I papi di una volta, chi la pensava
diversamente, lo mandavano al rogo, previo passaggio, tutt'altro che
indolore, per gli scantinati dell'Inquisizione.
Oppure, nei tempi più moderni, li
condannavano alla morte civile come è capitato per fare gli esempi
più noti, a Rosmini , beatificato nel 2007, ma che vide la sua opera
principale messa all'indice nel 1848, ed a Ernesto Buanaiuti,
trattato molto peggio, scomunicato e privato della cattedra
universitaria, dal fascismo usato come braccio secolare a causa della
sua “storia del cristianesimo” del 1943.
E poi nei tempi recenti, la schiera dei
teologi non allineati, condannati dal Vaticano, senza avere mai avuto
l'opportunità di sostenere un pubblico confronto , è foltissima, da
quelli della teologia della liberazione in poi.
Costume intollerabile in uso tuttora
sotto Papa Francesco.
Ed allora perchè quest'opportunità
accordata a laici ed atei, se pure attenti e interessati a studiare
il fenomeno religioso, e non a chi dice cose simili, ma rivendicando
di stare all'interno della chiesa?
L'esistenza ed il perdurare di questo
fatto è indubbiamente un segno di forte arretratezza e di debolezza
della chiesa medesima.
Papa Francesco ci prova a percorrere
strade diverse, ma con che fatica e che battaglie deve affrontare
quotidianamente contro chierici e laici che le stesse sgtrade non
vogliono proprio percorrere.
Purtroppo c'è ed è prevalente questa
mentalità nel mondo clericale : se per avvicinarci alla razionalità
del mondo moderno e riacquistare credibilità, dobbiamo rinunciare
anche a uno solo dei nostri dogmi e della nostra tradizione, meglio
che la chiesa perisca.
Discutere con chi ragiona alla :”muoia
Sansone con tutti Filistei”, è molto difficile.
Non scordiamo però che il lunghissimo
papato di Woityla è stato pesantissimo nel nominare la maggioranza
dei vescovi e cardinali, oggi presenti, seguendo il criterio
primario, che fossero elencabili chiaramente nelle schiere dei
tradizionalisti più sicuri.
Il compito riformatore di Papa
Francesco è quindi difficilissimo.
Non vorrei apparire cinico, ma sarà
aiutato più che da buone intenzioni, dalla debolezza umana, per la
quale la probabile maggioranza dei tradizionalisti ai tempi di
Woytila, si schiereranno oggi fra gli innovatori, per il servilismo,
abituale in una struttura autoritaria, come è tutt'ora la chiesa e
per la voglia di far carriera.
Rimane il fatto che il solo accettare o
addirittura proporre forme di dibattito pubblico con non credenti in
senso cattolico, è di per sé un fatto di grande peso per un papa.
Perchè il solo sedersi a un tavolo con
quegli interlocutori ,significa anzitutto proclamare che si riconosce
dignità agli argomenti che questi interlocutori esporranno e che il
papa, ovviamente conosce bene in partenza.
Riconoscere dignità agli argomenti e a
un interlocutore, significa poi, inevitabilmente, ritenere utile di
prendere in considerazione quegli argomenti, rifletterci sopra e non
escludere la possibilità di adottarne qualcuno o solo una parte.
Ricordiamoci che la lettura
tradizionale del cattolicesimo vuole, che chi avrebbe ricevuto con la
rivelazione divina la verità tutta intera e definitiva, non abbia,
ovviamente, alcuna necessità di confrontarsi con argomentazioni
contrarie o diverse, se non per sottolinearne la erroneità e per
cercare di convertire l'interlocutore alla verità, già conosciuta.
Teniamo conto che non stiamo parlando
di retorica o di accademia, ma di fatti sostanziali.
Per la chiesa solo il fatto di mettersi
a discutere con chi la pensa diversamente vuol dire prima di tutto
dare dignità all'interlocutore ed ai suoi argomenti, come abbiamo
detto sopra, ma anche riconoscere che i propri argomenti potrebbero
essere sbagliati e bisognosi di una riformulazione, anche
radicalmente diversa rispetto a quella tradizionale.
I chierici, non c'è nulla da fare,
sono tutt'ora indottrinati nei seminari ad acquisire la mentalità
tradizionale del possesso esclusivo della verità assoluta e
definitiva per rivelazione.
Andare contro corrente non è quindi
affatto indolore all'interno della chiesa.
Per un osservatore esterno, è una
ovvietà dare per scontato che nel mondo moderno ci si confronta
quotidianamente per fare progredire il proprio pensiero, ma
all'interno della chiesa cattolica non è affatto così, ci si
confronta per convertire, non per riconoscere nuove “verità”.
Non facciamo i farisei, per la grande
maggioranza del popolo cristiano, anche colto, il fatto che il papa
spenda del tempo, mettendosi in posizione di parità con Floris
d'Archais, con Odifreddi e oggi con Scalfari, addirittura per la
terza volta, è una cosa che da fastidio, ma molto fastidio.
Perchè i loro preti ,
l'indottrinamento che hanno avuto e che coltivano a senso unico, se
sono praticanti, classifica quegli intellettuali, come persone da
trattare con disprezzo, con superiorità e più spesso con dileggio,
magari perchè sono molto più ferrati in teologia dei loro preti e
vescovi, ma magri, hanno sbagliato la citazione di una data in
qualcuna delle loro opere.
E sono spesso in assoluta buona fede
nel senso che la loro fede è l'adesione a un cattolicesimo con una
certa lettura, quella tradizionalistica- dogmatica- autoritaria.
Cioè mettono al primo posto il così
detto “depositum fidei”, che confondono con la rivelazione e che
accettano solo nell'interpretazione dell'apparato clericale.
Per essere più chiari se si trovano a
ragionare su un singolo precetto o presunta verità e trovano che
questa sia in contrasto con la ragione, fanno prevalere, senza
problemi, l'autorità della chiesa sui dettami della ragione.
Non perchè siano bigotti o ignoranti,
magari sono professionisti o professori universitari, ma per loro
l'adesione al cristianesimo comporta un sistema di pensiero chiuso,
non sono abituati a metterlo in discussione, anzi si astengono
regolarmente dal fare verifiche razionali, perchè ritengono che la
loro stabilità esistenziale che deve
essere salvaguardata non ammette la discussione su quelle che fin
dall'infanzia ritenevano certezze indiscutibili.
C'è al fondo la paura infantile del
demonio e della dannazione eterna, che blocca il libero pensiero.
E' durissima per un papa innovatore
scuotere una chiesa e un popolo in siffatte condizioni.
E' paradossale che un papa innovatore
trovi l'ostacolo principale nell'arretratezza culturale del suo
popolo.
E' quindi un compito immane quello di
mettere mano a queste situazioni , tanto immane da non essere
garantito per niente un esito favorevole.
Non per niente il numero in edicola di
Internazionale riporta tradotto in italiano un saggio apparso su una
rivista autorevole come New Scientist, con questo titolo : “un
mondo senza dio. E' possibile che un giorno gli esseri umano smettano
di credere? E se succederà, il mondo sarà un posto migliore?”.
Inutle aggiungere, che il saggio
riporta statistiche dalle quali si evince un trend ,che rende
verosimile il fatto che il futuro sia appunto senza dio e con
un'umanità più felice di oggi, senza finire affatto in Sodoma e
Gomorra.
Papa Francesco è probabilmente il
massimo ,che la chiesa può esprimere in queste condizioni, purchè
duri un tempo sufficiente per incidere a fondo.
Del contenuto del colloquio Papa
Francesco- Scalfari ce ne occuperemo in un post successivo.
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