giovedì 30 ottobre 2014

Renzi sta attuando una svolta verso un autoritarismo morbido



Può anche  essere  che il paese sia talmente mal ridotto dal richiedere una nuova struttura del potere  orientata ad un autoritarismo morbido, per non affondare, ma certo la cosa è scivolosa e comporta dei rischi dei quali è bene essere consapevoli.
Questo è il terzo post successivo, che mi trovo a scrivere su questo argomento, ma credo che sia necessario approfondire  bene gli aspetti di questa  tendenza in atto.
Del resto ieri il  Corriere della  Sera ha pubblicato, e con più rilievo del solito, un articolo del liberale  storico Piero Ostellino di una pesantezza  veramente inusitata sulla svolta autoritaria  morbida, che Renzi sta imprimendo al paese.
Ostellino esprime la sua totale contrarietà a Renzi ed ai suoi  metodi, io invece comincio a pensare che  la situazione del  paese sia talmente grave da indurre  a tollerare anche una  tendenza  a  un autoritarismo morbido, se non c’è altro mezzo  per contrastare chi non vuole cambiare  nulla  e si mette di traverso a qualsiasi riforma seria.
Certo bisogna tenere gli occhi aperti , rimanere vigili e reagire se il “ragazzotto fiorentino”, come lo chiama Ostellino, dovesse allargarsi troppo e  uscire dai binari essenziali del metodo democratico.
Le cose che Ostellino imputa a Renzi come  errori imperdonabili, sono le stesse che avevamo elencato nei due post precedenti.
- la  pratica distruzione del PD per ridurlo ad un partito personale, vendendo la “rottamazione” della vecchia e storica classe politica come una comoda scusa per  prendersi tutto il potere, comporta una cosa grave e impoverente, che consiste nell’abbandono delle radici di due tradizioni e culture politiche, quella ex comunista e quella cattolico-popolare.
Nessuno rimpiange vecchie figure politiche  (D’Alema, Bindi, Bersani ecc.) che non hanno grandi realizzazioni da elencare a propria gloria.
Ma solo  degli  sciocchi  incolti potrebbero dire che le  culture politiche che costoro evocano, sono da buttar via e da dimenticare, perché tutti sanno, che se chi fa politica non ha  riferimenti di cultura poliitca precisi, non ha nemmeno una strategia politica  a lungo periodo ed allora vive alla giornata ed il suo far politica si riduce alla conquista ed alla conservazione di un potere personale e di gruppo;
-l’analoga e speculare distruzione del  sindacato
Tutti sappiamo che il sindacato come è interpretato dalla triplice (GCIL,CISL,Uil) sta attraversando una crisi strutturale pesante perché trova il suo punto di forza nei pensionati che non sono più lavoratori, tutela solo i già tutelati e non si occupa  abbastanza dei giovani precari, che ovviamente non pensano nemmeno di iscriversi a sindacati che per loro non sono di nessun aiuto.
Ma ridicolizzare il sindacato significherebbe ignorare  la storia di progresso che gli sta dietro.
Senza il sindacato  nessuno altro avrebbe provveduto a strapare a una classe imprenditoriale spesso  incapace di guardare lontano condizioni di lavoro adeguate e nessuno avrebbe fatto in loro vece quell’opera di educazione alla democrazia della quale una classe lavoratrice di educazione un tempo parecchio bassa aveva assolutamente bisogno.
E quindi va anche bene troncare il costume  anomalo della concertazione del passato, quando i sindacarti erano elevati al rango di forze politiche, perché quello non è il loro ruolo, ma c’è modo e modo di fare le cose.
Chi pure in modo inadeguato porta avanti una tradizione storica di progresso, va trattato riconoscendogli la dignità che tale tradizione  richiede.
Se si irride alla storia ed ai suoi valori è finita.
- i metodi sbrigativi alla Renzi, saranno anche apprezzati da un’opinione pubblica sfiduciata e stanca dal modo di muoversi a vuoto della vecchie classi politiche ,ma rimangono discutibili.
Va bene vendersi all’opinione pubblica ed ai media internazionali come l’”energetic italian Prime Minister”,  titolo che in passato non si ricorda sia stato attribuito ad altri.
Bisognerebbe risalire forse a Fanfani, ma in un contesto radicalmente diverso.
Se per fare risaltare la figura del premier occorre circondarlo da una  corte di ministri e graziose ministre “senza né  arte né parte”, il gioco diventa un po’ sporco e sarebbe meglio farla finita.
Se nessuno di  questi  membri del governo si dimostra in grado di esercitare la delega nella materia della quale è ministro o sotto- segretario, perché, se lo facesse, rischierebbe regolarmente di essere stroncato, cinque minuti dopo, da uno sbrigativo twitter del capo, questo governo non sta certo dando un esempio di organizzazione aziendale.
Concedetemi la battuta sproporzionata,ma almeno Mussolini, che come autocrate  ci sapeva fare,  aveva avuto l’intelligenza di correre il rischio di avvalersi della collaborazione di pesi massimi come Giovanni Gentile, che nel loro campo lo mettevano necessariamente in ombra e in secondo piano.
Renzi non ha ancora capito che non si fa così.
Se un certo livello di autoritarismo, decisionismo o chiamatelo come volete, oggi diventa probabilmente indispensabile per contrastare caste, corporazioni, eccetera, che si opporranno strenuamente a qualsiasi cambiamento ,occorre però esercitarlo in modo non macchiettistico, diversamente Renzi rischia di cadere nel ridicolo a scapito dell’autorevolezza.
A differenza di quanto pensa  Ostellino, però non trascurerei l’indubbio favore popolare che incontrano alcune posizioni decise che Renzi ha assunto.
Verso la casta della magistratura  per esempio; verso i sindacati, anche se non avrebbe guastato  usare un minimo di garbo; ma soprattutto verso la tecnocrazia di Bruxelles, in questo caso la mancanza di garbo di Renzi ha colto  la mia completa approvazione e il loro totale stupore, perché era dai tempi ormai lontani del sanguigno Marcora, ministro dell’agricoltura degli anni ultimi anni ‘60 ,primi 70 che gli italiani non osavano tanto.
Gli 80 € e l’anticipazione del TFR sono meglio che niente, in tempi di crisi.
Ricorrere a decreti e voti di fiducia è inevitabile in queste situazioni.
Che Renzi  occupi la TV in pianta stabile, peggio del peggiore Berlusconi, è cosa che  disgusta, ma se gli italiani non leggono i giornali e vedono solo la Tv, occorre farlo.
Fare un accordo col solo Berlusconi, disgusta ancora di più,  ma se Renzi non ha la maggioranza deve andare a cercare i voti dove li trova, e francamente, intorno al tavolo del Nazareno,col cappello in mano c’era più Berlusconi che Renzi.
Il tutto però “sub conditione” ,e cioè, che dagli annunci si passi a realizzare alcune riforme di peso.
Con decreto , voto di fiducia, qualche voto indecente del “soccorso  azzurro”  berlusconiano, se indispensabile, purché si facciano queste riforme.
Ostellino, sul piano della analisi politica,  ha ragioni  da vendere.
Ma purtroppo, la classe dirigente italiana non ha avuto l’opportunità di studiare ad Oxford.
La nostra classe dirigente è quella dei comandanti Schettino.
In queste condizioni,  è probabilmente indispensabile introdurre una dose sensata di autoritarismo.




martedì 21 ottobre 2014

Per sbloccare il sistema occorre ripristinare l’autorità dello stato, oggi i governi non vanno da nessuna parte, perché non comanda più nessuno




Quand’anche ci fossero i soldi per far fronte alle necessità più sentite (disoccupazione, infrastrutture, ambiente, scuola ecc.), qualsiasi governo non combinerebbe pressoché nulla, perché il sistema è ormai bloccato (burocrazia, corruzione, giustizia che non funziona ecc.).
In altre parole e per condensare il concetto con poche parole, anche se imprecise, nessun governo non può combinare pressoché nulla, perché in Italia non comanda più nessuno, e  non comanda  più nessuno perché il potere reale è stato  suddiviso in troppi pezzi, per un malinteso senso di iper -democrazia e di iper- garantismo.
L’introduzione poi di un iper-federalismo, assurdo , sproporzionato e pasticcione con la riforma costituzionale del 2007, ha definitivamente messo il sistema k.o.
Ma è già da prima e cioè fino dallo stallo dei grandi  partiti di massa, cioè fino dagli anni 70 in poi, che è  cominciato il declino del sistema per incapacità di governare alcunché.
E così, strada facendo, tutti i problemi si sono incancreniti ed ora in qualsiasi settore si mettano le mani, occorre affrontare problemi sistemici.
Non è vero che oggi la società e la politica sono diventati “liquidi” a causa della fine delle ideologie e perché le distinzioni fra destra e sinistra non avrebbero più alcun significato.
Sembra che abbiano perso significato, perché la gente ha avuto modo di verificare il fatto  che, governi la destra o la sinistra, non cambia nulla, perché nessuno è più in grado di governare, non perché  siano finite le distinzioni e la diversità dei valori di riferimento fra destra e sinistra.
Si arriva così all’assurdo, che conferma pienamente quello che stiamo dicendo, che visto l’impasse, destra e sinistra si mettono a governare insieme, e che anche in queste incongrue coalizioni, nessuno riesce a combinare più nulla.
Che il sistema sia  bloccato per cause sistemiche lo si è visto in questi giorni, quando si sono verificati nuovamente gravi danni, a causa dei periodici allagamenti di vaste zone del paese.
È tempo perso, al fine della risoluzione dei problemi, andare a cercare nei singoli territori le cause ultime di quei disastri (inerzia dei responsabili, sentenze dei Tar che bloccano gli appalti , mancanza di finanziamenti ecc.).
Perchè con questo sistema non si va più da nessuna parte.
Di fronte ai disastri, come quelli degli ultimi giorni,  si sente dire dai  vari  bar sport ai  salotti televisivi, che quando questi eventi si verificano in Cina, generalmente, i problemi vengono risolti con opere sollecite ultimate in tempi record.
Verissimo, ma questo si verifica non perché la Cina disponga di capacità superiori alle nostre.
L’Italia ha infatti imprese di costruzione per grandi opere al top mondiale, quanto a capacità tecniche e organizzative, tanto che queste imprese vincono regolarmente appalti di grandi opere pubbliche in tutto il mondo.
Non è quello che ci manca, quello che ci manca è la capacità di decidere, di governare, che invece per esempio la Cina possiede.
In quel  paese si riesce a decidere in poco o pochissimo tempo e poi a governare l’attuazione dei deliberati con altrettanta velocità.
Si noti l’importanza di avere ben chiaro il concetto ,che per governare, occorre padroneggiare bene due fasi ugualmente essenziali  : quella della decisione politica che sfocia nell’adozione di atti legislativi, e poi la capacità   di gestire l’attuazione dei deliberati.
Da noi, quand’anche un governo riesca, faticosamente, a fare uscire dal consiglio dei ministri una qualunque riforma, regolarmente annacquata e divenuta incoerente o monca per accontentare tutti, questi stessi governanti, di grande prosopopea, ma spesso del tutto ignari  del funzionamento della macchina amministrativa, si limitano a  fare leggi.
Ma non sanno poi governare per esempio l’emissione dei regolamenti attuativi, lasciati all’assurdo “concerto” di diversi ministeri, regioni, conferenze dei comuni eccetera, eccetera.
Figurarsi poi se sanno seguire l’attuazione vera e propria, impartendo ordini alla casta dei direttori generali dei ministeri,ormai divenuta indipendente e potere a sé.
E così, passano anni,con un nuovo decreto in vigore, nel senso che è pubblicato in gazzetta ufficiale, ma che non sarà mai attuato,anche solo per la pratica macchinosità di questi “concerti”.
Poi bisogna vedere se il decreto sarà coperto da un finanziamento effettivo e non di fantasia e quand’anche superi tutte le burocratiche strettoie, per fare qualsiasi opera di un qualche rilievo occorre,,n caso di opere,fare un appalto.
Occorre quindi che organi tecnici dell’amministrazione preparino un capitolato e si arrivi alla gara.
Spesso, essendo questa classe politica corrotta fino al midollo, ci si cura solo che il capitolato venga cucito su misura della ditta, che si vuole far vincere, annullando così il senso della gara.
Ma anche ammettendo che la corruzione non si intrometta, ecco che tutto rallenta,  un po’ perché l’amministrazione stessa non dispone più di organi tecnici adeguati, un po’ perché le leggi sugli appalti, sono state combinate in modo pazzesco, con un regolamento di seicento e rotti articoli.
In questo labirinto, scritto volutamente in sanscrito, gli unici che ci sguazzano sono i legali, i commercialisti ed i consulenti delle ditte, che ci mettono del loro per ricorrere ai Tar e bloccare tutto.
Perchè sui seicento articoli, appena nominati, anche un avvocaticchio di provincia non fa fatica a trovare l’articolo  il comma o il codicillo ,per giustificare una causa.
E tutto si ferma, dopo avere transitato a velocità da lumaca per anni.
E così non si fa nulla, anche quando i soldi ci sono, e spesso ci sono, come nel caso dei lavori di sistemazione del corso del Bisagno a Genova.
Poi bisogna porre rimedio al balletto  dei ricorsi ai Tar.
Sacrosanto, ovviamente, garantire la tutela giurisdizionale, ma fissando tempi stretti quando ci sono in ballo opere di primaria importanza ed, a maggior ragione, se sono attinenti alla sicurezza del paese.
Non sto  certo a tessere le lodi del sistema politico decisionista, anche perché semidittatoriale, della Cina, sto solo dicendo, che se il nostro sistema è inceppato da decenni, occorre prenderne atto, farsene una ragione e attuare i correttivi  necessari, superando tabù e pregiudizi.
L’aveva capito la DC di De Gasperi nell’ormai  lontanissimo 1952, che occorreva dare al  governo quel potere di governare, che la costituzione repubblicana, costruita nel timore di impedire il ritorno dell’autoritarismo fascista, aveva di fatto negato, quando tentò di far passare ,senza riuscirci, una legge elettorale con premio di maggioranza.
Da allora è prevalso il mito della costituzione più bella del mondo da tenere imbalsamata per sempre, in un mondo che corre a perdifiato.
Quel volpone di Berlusconi disse e ridisse, durante il suo ventennio, di non avere il potere sufficiente per governare, forse anche per giustificare i suoi scarsi o nulli risultati, ma non ebbe mai il coraggio di fare proposte di leggi  costituzionali di riforma.
Renzi, almeno, ci sta provando, sia pure con un testo molto discutibile (quello che prevede l’abolizione del Senato elettivo) ,ma questo è almeno il segno, che c’è finalmente  la consapevolezza del problema.
Nella prassi, poi, Renzi e Napolitano hanno introdotto di fatto anche di più che riforme costituzionali, per rafforzare il potere del premier a danno di quello del parlamento.
Non c’è da scandalizzarsi, perché a questo punto, la direzione sembra quella giusta.
Oramai i governi, governano per decreti o quasi e raramente passano per il parlamento presentando disegni di legge, che richiedono un iter ben più lungo.
Ma è essenziale prendere coscienza, che quando si è fatta una legge, anche per decreto, si è ancora ben lontani  dall’aver  fatto una riforma.
Perché se l’apparato amministrativo non la applica, a causa del fatto che una classe politica impreparata, non è in grado di governarlo, la riforma è come se non esistesse.
Sono perfino ridicoli, nella loro insipienza, quei governanti, che, pensano di rendersi popolari con l’opinione pubblica, danno dei fannulloni agli impiegati pubblici e additando al disprezzo della gente  la pubblica amministrazione.
Come fanno a non capire, che, senza una pubblica amministrazione forte, preparata e motivata, anche finanziariamente, il paese non si può governare, ma si fanno solo proclami e grida manzoniane.
L’Italia non ha una scuola superiore di pubblica amministrazione, di un qualche livello, e questo è significativo del fatto che il problema non è ancora stato realizzato dalla classe politica.
Purtroppo, come si  diceva sopra, il colpo di grazia alla funzionalità dell’apparato amministrativo è stato dato da una legislazione folle sul federalismo, per rincorrere le idee confuse e incolte della Lega.
Ora bisogna ristabilire l’autorità e le competenze dello stato, per esempio  riducendo in modo drastico il  numero delle regioni,   da 15 a 10; abolire le 5 a statuto speciale; ridurre in modo ancora più drastico il numero dei comuni da 9.000 a 1.000.
Queste cose, fra l’altro,  c’erano nel programma di Renzi ai tempi (vicini) delle elaborazioni dei suoi programmi alla, ormai famosa, Leopolda a Firenze.
Occorrerebbe tirarli fuori.
I disastri ambientali ed i non minori disastri provocati dalla corruzione negli appalti delle grandi opere, fanno pensare, che la situazione dello stato, come decisore, sia diventata tanto miserevole, da dover richiedere sempre di più interventi in deroga alla intricatissima normativa vigente, con decreti ad hoc, che nominino commissari “ad acta” per la realizzazione delle singole opere.
Rischioso e scivoloso,certo, come insegna  l’esperienza del famoso, ed anche lui, energetico, Bertolaso a suo tempo capo di una Protezione Civile tuttofare, ma, a questo punto, o si fa così o si finisce nella palude.
Attenzione però, con tutti i suoi limiti e difetti, Bertolaso era un manager tecnico, non un politico.
E infatti occorre questo genere di commissari, non un politico mascherato da commissario, come insensatamente si era fatto a Genova,  nominando commissario per i Bisagno, niente meno che il presidente della regione, cioè praticamente il committente.
Questo fatto evidenzia bene da solo la spaventosa confusione di idee di questa classe politica.
Renzi, se ne sarà capace, ha ancora qualche mese di tempo per dimostrare se vuole davvero intraprendere la strada, che si è accennata sopra.
Se tutti gli altri starnazzano, può essere anche, perché hanno capito, che potrebbe veramente cambiare il sistema, se Renzi riuscisse.
Quando nell’articolo del 25 settembre scorso, mi ero chiesto : “meglio Renzi, o meglio la Troika?” si era nella stessa  linea di pensiero, nel  senso, che si ponevano come alternative possibili due “commissari”, uno interno e l’altro esterno, dando, in ognuno dei due casi,  come scontato che il sistema attuale va comunque superato o bypassato.

Si era detto allora, Renzi non mi è simpatico, e in effetti tuttora non mi entusiasma, ma questo non mi impedisce di augurargli di riuscire, solo però se sarà capaci di porsi come un “commissario generale”,incaricato di riformare radicalmente il sistema. 

mercoledì 15 ottobre 2014

Il sistema democratico così com'è non funziona più, e i nuovi partiti personali non sembrano in grado di risolvere gran che



In tutto il mondo, non solo in occidente, il sistema politico democratico classico non funziona più come dovrebbe.
Ne avevamo parlato diffusamente nel precedente articolo del 19 giugno 2013.
In Occidente ce ne accorgiamo di più, perchè è qui che è nata la democrazia ed è qui che si sono combattute guerre sanguinosissime per difenderla e riconquistarla.
In Inghilterra, dove la moderna democrazia moderna “parlamentare rappresentativa” è nata, qualcosa non funziona più come prima, se è vero che il sistema, nato come bipartitico, per definizione, si è frammentato e ha dato vita a governi di coalizione debolucci, con maggioranze esigue, quando le regole del gioco del sistema bipolare che  si basano sul sistema elettorale maggioritario a collegio uninominale  avrebbero dovuto evitare che si verificassero.
Negli Usa, paese che è nato copiando le regole della democrazia inglese, rafforzate dalla filosofia illuminista, e che quindi riproduce, come in Inghilterra, il classico sistema maggioritario a collegi uninominali, è rimasto un bipartitismo stretto, ma anche qui qualcosa si è incrinato.
Si vedono infatti tutti i giorni situazioni incoerenti, come quella nella quale si trova il  povero Obama, che è costretto a tentare di governare,  pur non avendo la maggioranza e quindi deve ogni volta prodursi in estenuanti trattative coi Repubblicani per fare passare le poche leggi che riesce a esprimere.
In Francia, la situazione di stallo, nella quale si trova a tentare di governare, il povero Hollande è addirittura imbarazzante, dato che il gradimento verso il presidente nel paese è ai minimi storici   cioè intorno al 20% e se si andasse a votare domani le elezioni le vincerebbe quel Front National, che tradotto in italiano sembra essere un insieme fra il vecchio Msi e la Lega.
Si salva in teoria la Germania, ma solo in teoria, perchè anche lì qualcosa non funziona più come dovrebbe.
Sopratutto perchè il sistema bipartitico classico c'è, ma solo di facciata, per il fatto che fra la CDU, cioè i democristiani della Merkel, che sono tutt' ora il primo partito, e l'SDP, cioè i socialdemocratici, non c'è quasi più nessuna differenza e quindi l'opposizione ,non trovando rappresentanza, dove dovrebbe, cioè nell' SDP, si divide e si frammenta fra Verdi, Sinistra dura e pura, Anti Unione Europea e infine cominciano ad avere un certo peso perfino i Neonazisti.
Finora la Germania ha dimostrato di saper fare un sistema più solido degli altri cugini europei, ma ora che l'economia comincia ad arretrare, staremo a vedere.
C'è qualcosa di comune alle situazioni di debolezza, che abbiamo sopra passato in rassegna ed è una inedita debolezza di quasi tutti i governi delle maggiori democrazie, dovute sopratutto al fatto che quasi ovunque si crea frammentazione.
Si riesce sempre meno  ad avere due schieramenti contrapposti, che possano fare funzionare le istituzioni, rappresentando la  maggioranza e l'opposizione, ad un dato  momento, ed ove questa situazione si presenta ancora, come in America, per la prima volta si verifica una contrapposizione radicale, per la quale le due parti, Democratici e Repubblicani, non riescono a trovare un terreno comune, bloccando il sistema.
Noi italiani, come al solito, siamo i primi della classe nel mettere in scena il massimo di scollamento e disfunzionalità del sistema.
Sono saltati i canali tradizionali di mediazione fra la gente e le istituzioni, cioè quei partiti, che pur con tutti i loro difetti, avevano consentito alla gente medesima di sentirsi rappresentata  e di selezionare una classe politica.
In loro vece sono sorti i così detti “partiti personali”, cioè quelli nei quali l'unico visibile è il leader, e tutti gli altri diventano come i cortigiani al tempo delle signorie.
Ha cominciato Berlusconi, poi Bossi, poi Di Pietro, poi Grillo, ed oggi Renzi.
La prima impressione è che si sia perso qualcosa di importante, perchè prima, coi partiti di massa, chi voleva partecipare, poteva.
Andava in sezione, ascoltava, diceva la sua, contribuiva in qualche modo a costruire la linea del partito ,anche e non ultimo, votando le cariche interne, a tutti livelli.
Accanto agli organismi di partito, in senso stretto, i maggiori partiti avevano le organizzazioni collaterali, da quelle di categoria a quelle sportive e di intrattenimento, in modo che i militanti si sentissero parte di qualche cosa.
Tutto questo è quasi del tutto finito e il risultato è che la gente si sente sola e abbandonata e cerca di sostituire le organizzazioni, che non ci sono più con lo scatolone televisivo.
Ma è una tristezza, perchè le regole del gioco dello scatolone televisivo sono quanto di più diseducativo e antidemocratico si possa immaginare, perchè tutto va in una direzione sola e cioè   dall'alto (chi produce i programmi) al basso (il telespettatore), ma non c'è, proprio non c'è, niente che possa funzionare nel senso  contrario, per lasciare interferire lo spettatore.
Il suo parere viene umiliato al numerino, che misura il famoso "share", il numero in percentuale di chi ha seguito il programma, punto, fine.
Un po’ poco, per dire la propria.
E in ogni caso così non si vota proprio.
Grillo e Casaleggio hanno tentato qualcosa di più, e in teoria di meglio, inducendo la gente a utilizzare il web, come moderno mezzo di partecipazione politica.
Con questo strumento sarebbe possibile, in teoria, sia dire la propria, sia votare le cariche politiche del movimento.
Vero, ma funziona?
L'idea è buona ed è probabile che in questo senso sarà il futuro della partecipazione politica, ma i mezzi per far funzionare questo nuovo mezzo di partecipazione, sono ancora tutti da costruire.
Quelli sperimentati oggi dai 5Stelle hanno dimostrato più difetti che pregi.
Soprattutto, perchè la base è troppo ristretta, occorrerà quindi trovare qualcosa di più adeguato dei quattro "iscritti certificati" del Movimento 5Stelle.
Renzi c'ha provato anche lui a dilagare sul web usando fino allo sproposito ed alla noia i messaggini di 140 caratteri (due righe dattiloscritte) di Twittwer.
Qui la base è molto più larga, anzi è troppo larga.
Ma sopratutto è un po' un insulto all'intelligenza della gente, costringerla a condensare il proprio pensiero in un messaggino di due righe scarse di testo.
E comunque, anche con questo sistema non si vota.
Ecco allora l'innovazione -mito delle primarie.
Quello che è rimasto dei partiti più grandi si sono detti : quand’anche avessimo ancora le sezioni, non ci verrebbe più nessuno ed allora l'appuntamento vero, con la nostra gente, sia solo quello delle grandi occasioni con le primarie per scegliere i nostri candidati sindaci, presidenti di regione e primo ministro.
Sì, questa è indiscutibilmente una forma di democrazia evoluta, ma anche questa è tutta in fieri.
Non è generalizzata, per esempio Berlusconi ritiene di non potersi abbassare al vaglio del giudizio dei suoi, e le regole sono scritte di volta in volta.
Fra i 5Stelle possono partecipare solo gli iscritti certificati, che sono quattro gatti.
E poi è  un sistema un po "cesarista", cioè è orientato tutto all'elezione "del nostro duce" .
E' un sistema come un  altro,  ma con qualcosa di sgradevole, che mette troppo in luce solo il capo e riduce la squadra a scudieri del capo.
In tutte queste nuove forme c'è di buono il tentativo di trovare tipi nuovi di partecipazione politica, ma ci sono due fantasmi che si aggirano lamentandosi, fra di loro, perchè queste nuove forme li ignorano.
Sono anzitutto l'anima dei vecchi partiti, fatta di ideologia, di idee forti, di ispirazioni filosofiche e culturali precise e coerenti.
Non mi sembra che si possa fare a meno di questo, perchè se si prova a farlo, come hanno fatto i personaggi sopra citati, si nota immediatamente una quasi totale mancanza di un disegno coerente e a lungo periodo.
Va bene fare questo e quello, ammesso, che siano capaci di realizzarlo, ma per andare dove?
Facciamo anche finta che destra e sinistra siano concetti superati ,e non è vero, ma quand'anche ragionassimo in questo modo, che tipo di società vogliamo costruire?
Questa è la domanda alla quale al di là di slogan, retorica e belle parole, Berlusconi, Bossi o chi per lui, Grillo e Renzi sarebbero in gravi difficoltà a rispondere.
E poi l’altro fantasma è la tutela delle minoranze, vera cartina di tornasole della democraticità o meno di un partito.
Da Berlusconi non sono ammesse e quando qualcuno fa il “controcanto” Berlusconi lo caccia.
Bossi ai suoi tempi ha cacciato una schiera di dirigenti che si arrischiavano a contraddirlo.
Renzi cerca di ridicolizzarli e comunque di metterli in soffitta.
Per ora non ha cacciato nessuno, ma tutto è in movimento.



giovedì 9 ottobre 2014

la storia sta giocando dei brutti scherzi ai Curdi



Oggi i Curdi vengono cacciati o massacrati dall'Isis  sulle stesse terre,fra Turchia e Siria,  dove i loro bisnonni  avevano massacrato gli Armeni cent'anni fa, quando agivano come  volenterosi ausiliari dei Turchi  Ottomani, nella primavera del 1915, facendo per loro, gran  parte del "lavoro sporco" nell'esecuzione del genocidio armeno.
Sembra che si stia così attuando a loro danno quella che Dante nella Divina Commedia ha indicato come la "pena del contrappasso", cioè il punire un peccato con un' altro dello stesso tipo.
Colpisce la singolarità della cosa, anche se ovviamente, non ha alcun senso pensare che la storia possa infliggere ai Curdi  una presunta giusta punizione,un  secolo dopo,  dal momento che i figli e tanto meno i nipoti e i pronipoti  degli aguzzini di allora,  hanno alcuna colpa, se non quella di essere Curdi, che non è e non può essere una colpa.
Bene ha fatto, però, l'inviato  del Corriere in Medio Orente, Luca Cremonesi, a mettere in evidenza questa circostanza sul suo giornale di oggi, anche perché nessuno ne aveva ancora parlato.
Se si va a vedere sulla carta geografica, è impressionante vedere che molte delle città e villaggi al confine, o vicine al confine fra Siria e Turchia, dove avvengono i combattimenti più sanguinosi fra i Curdi e i fanatici dell'Isis, sono addirittura sovrastate dall'altura del Mussa Dagh, divenuta montagna sacra per gli Armeni, seconda sola nella loro epica al monte Ararat.
Purtroppo, le vicende inerenti alla storia degli Armeni sono poco note, ma almeno un famoso romanzo di Franz Werfel  "i 40 giorni del Mussa Dagh", tutt'ora reperibile in libreria,  ha narrato  le vicende dell'eroica resistenza, che un gruppo di 5.000 Armeni ha sostenuto contro Turchi e Curdi, in quel 1915, fino ad essere salvati da un incrociatore francese.
Per gli Armeni quell'episodio riveste un importanza simbolica non dissimile di quella che è stato la resistenza all'assedio della fortezza di Masada per gli Ebrei, a conclusione della prima guerra giudaica contro i Romani nel 73 d.C.
Il Mussa Dagh si trova nella parte più meridionale e più ad Ovest della Turchia, nella provincia di Hatay, che ha per capitale   proprio quell' Antiochia, che compare ampliamente nelle Lettere di Paolo e che, tra l'altro, era la patria della santa martire cristiana  Margherita di Antiochia, che per intricate ragioni storiche, è tuttora la venerata patrona di Santa Margherita Ligure.
Alla caduta dell'Impero Ottomano nel 1922, questa provincia è stata assegnata alla Turchia, ma la Siria non ha mai riconosciuto quell'annessione di un territorio, che considerava come proprio.
E quindi, come si vede, i contrasti fra Turchia e Siria hanno radici storiche ben più profonde dell'attuale odio del presidente turco Erdogan, nei confronti del sanguinario dittatore siriano Assad.
In quegli infelici anni del primo conflitto mondiale, gli Armeni si trovarono ad essere l'etnia più in pericolo.
I Turchi, o meglio alcuni militari del movimento dei Giovani Turchi, che poi costruiranno la Turchia moderna , probabilmente ossessionati dalla minaccia proveniente  dal grosso e potente vicino russo, sopravvalutarono  il ruolo degli Armeni, che combattevano con la divisa della Russia ancora zarista  e quindi ingigantirono la loro capacità di attrarre dalla loro parte gli Armeni residenti in Turchia, per farne una quinta colonna.
Questo ovviamente non giustifica affatto il genocidio, ma almeno spiega uno dei moventi.
l'altro movente, che per gli storici armeni è stato quello fondamentale ,è invece costituito da motivazioni abbastanza abbiette, come l'invidia, che suscitava una classe armena medio alta di artigiani e funzionari, e poi l'idea folle di sterminarli, per appropriarsi barbaramente dei loro averi, cioè  nè  più nè meno di quello che, vent'anni dopo, fecero i nazisti con gli ebrei.
Ora tocca all'etnia curda ricoprire il ruolo  degli armeni della situazione.
E i fanatici islamici dell'Isis non sono certo, nei loro confronti ,meno feroci di quanto erano stati i Turchi e i Curdi del 1915 contro gli armeni.
E questa volta, le fobie che avevano portato i Giovani Turchi a vedere nell'etnia armena, una quinta colonna, che minava l'unità della Turchia, si sono tutte rivolte contro l'etnia curda.

Quei carri armati turchi schierati alla frontiera Siriana che invece di fermare l'avanzata dell'Isis contrastano solo i Curdi ,che vorrebbero andare a dar manforte ai loro fratelli assediati è davvero una pessima immagine di sè e del suo paese, che l'attuale capo della Turchia offre al mondo.

giovedì 2 ottobre 2014

Vangelo e Kalashnikov a volte vanno  d'accordo



La precisazione di papa Francesco sulla necessita dei cristiani di contrastare un'aggressione, anche con le armi, ha rotto finalmente la falsa convinzione, che la chiesa dovesse farsi paladina del pacifismo assoluto senza se e senza ma.
Inutile sottolineare, quanto questo argomento sia delicato e scivoloso, per la chiesa, per una serie di ragioni molto serie.
Lo avevamo già notato nel precedente articolo del 28 agosto scorso.
La chiesa al Vaticani II ha preso per la prima volta una posizione  molto restrittiva sulla liceità del ricorso alla violenza, e questo ci stava tutto nello spirito di quel concilio, celebrato, quando ancora la guerra fredda era viva e vegeta, e nessuno nemmeno sognava la possibilità della caduta del muro di Berlino ,che sarebbe avvenuta poco più di ben quattro decenni dopo.
La priorità per la chiesa, allora,  era quindi prevenire ulteriori disastri, cioè, confronti militari fra i due blocchi e favorire invece la distensione, il riconoscere la comune umanità al di là delle cortine ideologiche.
Ecco allora la pazientissima opera del Card.Casaroli nel cercare un colloquio coi governi comunisti ed atei dei paesi satelliti dell'Unione Sovietica, cosa che dimostrò che il dialogo è sempre possibile.
Poi il comunismo, nella sua infelicissima  realizzazione storica all'Est è collassato su sè stesso.
Papa Wojtyla, troppo politico e troppo nazionalista per essere un grande papa, ci mise del suo quando incrinò lo linea del pacifismo pressoché assoluto, autorizzando  l'intervento definito umanitario, di Clinton nei Balcani, dopo le stragi di Serajevo, perpetrate dai Serbi.
Intervento tardivo, ma pur sempre di peso, tanto che l'allora dittatore serbo è finito in carcere, per essere processato dal Tribunale Internazionale dell'Aia.
Poi quel papa si oppose strenuamente alle guerre dei due Bush, mettendo in dubbio la coerenza della sua linea di pensiero in materia.
Ma proprio questo è il punto.
Giudicare quando un' intervento è moralmente lecito è una vera impresa, perché implica necessariamente un giudizio su una situazione concreta, non sempre di facile lettura.
Abbiamo visto. in questi giorni, il presidente americano riprendere senza mezzi termini la Cia, l'agenzia di intelligence, cioè  di analisi e conoscenza più importante del mondo, per avere  clamorosamente sbagliato la sua valutazione sulla consistenza dei fanatici del Califfato Islamico, e questo dimostra, che dare un giudizio su una situazione concreta non è affatto facile, anche se si dispone degli enormi mezzi della Cia.
A rendere ancor più scivolosa la materia, per la chiesa, vi è poi tutto quello che c'è scritto nel "libro nero" della storia della chiesa, in materia di incitamento alla violenza fanatica, contro i presunti eretici, cioè contro tutti coloro che avevano idee diverse, rispetto a quelle del gruppo al potere al vertice della chiesa, in un particolare momento storico.
Le autorità della chiesa hanno incitato la gente a compiere massacri ben peggiori di quelli ora perpetrati dai tagliagole islamici.
E' vero, però , che la medesima chiesa, nello sviluppo della sua storia, ha anche saputo ravvedersi e riconoscere, almeno in parte, l'enormità degli errori compiuti, sacrilegamente, in nome di dio.
Gli islamici, invece, purtroppo per loro e per noi, sono lontanissimi perfino dal solo proporsi un cammino di revisione e di autocritica.
A causa del peso degli errori del passato, come si è detto sopra, la chiesa si sforza di leggere gli avvenimenti odierni, che vedono milizie fondamentaliste islamiche perseguitare e massacrare delle iutiere comunità cattoliche, non come guerre di religione, ma come deviazioni di fanatici.
Ripeto, è ben comprensibile la ragione ,che spinge a non evocare gli orrori delle guerre di religione, le crociate e le notti di San Bartolomeo, ma temo che le cose non stiano così, e che sia invece più ragionevole e più vicino alla realtà, riconoscere che siamo proprio nel caso di una guerra di religione.
Ci si può salvare l'anima dicendo che noi occidentali non ci stiamo impegnando tardivamente a combattere una guerra di religione, perché noi non la concepiamo così, anche se i nostri attuali nemici-avversari del Isis la concepiscono proprio così e ce lo dicono con fin troppa chiarezza.
Ma è ovvio che teniamo questo atteggiamento per pressanti ragioni politiche, che sono queste :
- abbiamo a casa nostra comunità musulmane di dimensioni rilevanti e quindi non possiamo permetterci di aizzare la gente contro di loro, nè loro contro di noi;
- i paesi arabi del Medio Oriente non si alleerebbero mai con noi per combattere l'Isis, se noi non  spergiurassimo che non si tratta affatto di una guerra di religione, perché alcuni di loro sono i custodi dei simboli di quella religione.
La nascita della coalizione internazionale, che combatte l'Isis dal cielo, e quindi l'accettazione internazionale delle sue ragioni,  anche se non benedetta dall'Onu, comporta come corollario che i gruppi etnici minacciati si armino, perché la coalizione medesima, offre solo l'appoggio dell'aviazione, molto utile,ma del tutto insufficiente al fine di garantire il risultato.
E quindi si pone per  la prima volta il  problema, tanto delicato ,che i nostri giornali, si direbbe che abbiano perfino paura a parlarne, delle comunità cristiane, che si stanno muovendo per armarsi.
Vangelo e kalasnokov, che vanno a braccetto, è una cosa della quale avremmo volentieri fatto a meno, stante i precedenti storici e i rischi di scivolare negli abusi del "dio lo vuole" contrapposto al grido di "Allah uh akbar".
Spiacevole,ma ormai la situazione è questa, ed  in questa direzione ,al di là delle benedizioni del Vaticano, che si sta muovendo la politica , che segue appunto il filo degli interessi e delle ragioni politiche.
Gli americani, per primi, sanno quali incredibili errori strategici abbiano fatto loro stessi  in Iraq e vedono ogni giorno, che le somme ingentissime, che hanno investito, per mettere insieme un esercito iracheno, siano finite nella spazzatura, o peggio nelle  mani dell'Isis.
Per questa ragione ora premono per la creazione di una milizia nazionale, che è la foglia di fico per legittimare le milizie etniche : quelle dei signori della guerra e delle tribù sunnite; quelle dei Curdi; che ora stanno già facendo il massimo sforzo; le milizie sciite, in pratica, sono quello che rimane dell'esercito iracheno; e poi si aspetta appunto che diano il loro indispensabile contributo gli yazziri e i cristiani, non numerosissimi, ma di dimensioni sempre significative e più che legittimati da una storia plurisecolare.
In particolare, ci si aspetta che i cristiani si armino per riprendere, quando ne saranno in grado, la zona di Ninive.
E' una novità eclatante molto significativa, che avrà le  sue conseguenze, come sempre anche in altre aree.
Si pensi sopratutto alla Nigeria o al Sud Sudan,  minacciati dalle milizie islamiche di Boko haram.
Non ha senso che i cristiani permettano di essere trattati come agnelli da macello, devono reagire e svegliarsi da un torpore colpevole.
Ma questa non è la linea ufficiale del Vaticano, il Segretario di stato Parolin, nel suo discorso all'Onu di due giorni fa, ha puntato tutto sullo spronare quell'istituzione a scrollarsi dal torpore e ad assumere l'iniziativa.
Bel discorso, ma del tutto irrealistico, a meno di interpretarlo, con sottigliezza un po' farisea, come una foglia di fico, per indicare il meglio, ma accontentandosi del possibile e cioè della limitata coalizione internazionale già esistente.
Insomma, la chiesa è troppo condizionata dai fantasmi delle crociate e delle guerre di religione per promuovere apertamente e direttamente il riarmo dei cattolici la dove sono minacciati.
Ma la realtà è quella che è.
La guerra di religione è cominciata, anche se a dichiararla, per fortuna, non è stata, come un tempo la chiesa cattolica, ma il mondo islamico.
Non sarà breve e richiede  una strategia, che al momento non c'è ancora, anche perché si sottovaluta proprio il cuore del problema : le basi ideologiche, che non si combattono né con gli aerei , né con i kalashnikov, ma nelle scuole e nelle moschee.
Torneremo su questo argomento.