Vangelo e Kalashnikov a
volte vanno d'accordo
La precisazione di papa
Francesco sulla necessita dei cristiani di contrastare un'aggressione, anche
con le armi, ha rotto finalmente la falsa convinzione, che la chiesa dovesse farsi
paladina del pacifismo assoluto senza se e senza ma.
Inutile sottolineare,
quanto questo argomento sia delicato e scivoloso, per la chiesa, per una serie
di ragioni molto serie.
Lo avevamo già notato nel precedente articolo del 28 agosto
scorso.
La chiesa al Vaticani II
ha preso per la prima volta una posizione
molto restrittiva sulla liceità del ricorso alla violenza, e questo ci
stava tutto nello spirito di quel concilio, celebrato, quando ancora la guerra
fredda era viva e vegeta, e nessuno nemmeno sognava la possibilità della caduta
del muro di Berlino ,che sarebbe avvenuta poco più di ben quattro decenni dopo.
La priorità per la chiesa,
allora, era quindi prevenire ulteriori
disastri, cioè, confronti militari fra i due blocchi e favorire invece la
distensione, il riconoscere la comune umanità al di là delle cortine
ideologiche.
Ecco allora la
pazientissima opera del Card.Casaroli nel cercare un colloquio coi governi
comunisti ed atei dei paesi satelliti dell'Unione Sovietica, cosa che dimostrò
che il dialogo è sempre possibile.
Poi il comunismo, nella
sua infelicissima realizzazione storica
all'Est è collassato su sè stesso.
Papa Wojtyla, troppo
politico e troppo nazionalista per essere un grande papa, ci mise del suo
quando incrinò lo linea del pacifismo pressoché assoluto, autorizzando l'intervento definito umanitario, di Clinton nei
Balcani, dopo le stragi di Serajevo, perpetrate dai Serbi.
Intervento tardivo, ma
pur sempre di peso, tanto che l'allora dittatore serbo è finito in carcere, per essere processato dal Tribunale Internazionale
dell'Aia.
Poi quel papa si oppose
strenuamente alle guerre dei due Bush, mettendo in dubbio la coerenza della sua
linea di pensiero in materia.
Ma proprio questo è il punto.
Giudicare quando un' intervento
è moralmente lecito è una vera impresa, perché implica necessariamente un giudizio su una
situazione concreta, non sempre di facile lettura.
Abbiamo visto. in questi
giorni, il presidente americano riprendere senza mezzi termini la Cia,
l'agenzia di intelligence, cioè di
analisi e conoscenza più importante
del mondo, per avere clamorosamente
sbagliato la sua valutazione sulla consistenza dei fanatici del Califfato
Islamico, e questo dimostra, che dare un giudizio su una situazione concreta
non è affatto facile, anche se si dispone degli enormi mezzi della Cia.
A rendere ancor più scivolosa la materia, per la chiesa, vi è poi tutto quello che c'è scritto nel
"libro nero" della storia della chiesa, in materia di incitamento
alla violenza fanatica, contro i presunti eretici, cioè contro tutti coloro che
avevano idee diverse, rispetto a quelle del gruppo al potere al vertice della
chiesa, in un particolare momento storico.
Le autorità della chiesa
hanno incitato la gente a compiere massacri ben peggiori di quelli ora
perpetrati dai tagliagole islamici.
E' vero, però , che la
medesima chiesa, nello sviluppo della sua storia, ha anche saputo ravvedersi e
riconoscere, almeno in parte, l'enormità degli errori compiuti, sacrilegamente,
in nome di dio.
Gli islamici, invece,
purtroppo per loro e per noi, sono lontanissimi perfino dal solo proporsi un cammino
di revisione e di autocritica.
A causa del peso degli
errori del passato, come si è detto sopra,
la chiesa si sforza di leggere gli avvenimenti odierni, che vedono milizie
fondamentaliste islamiche perseguitare e massacrare delle iutiere comunità cattoliche,
non come guerre di religione, ma come deviazioni di fanatici.
Ripeto, è ben comprensibile la ragione ,che spinge a non evocare
gli orrori delle guerre di religione, le crociate e le notti di San Bartolomeo,
ma temo che le cose non stiano così, e che sia
invece più ragionevole e più vicino alla
realtà, riconoscere che siamo proprio nel caso di una guerra di religione.
Ci si può salvare l'anima
dicendo che noi occidentali non ci stiamo impegnando tardivamente a combattere
una guerra di religione, perché noi non la concepiamo così, anche se i nostri attuali nemici-avversari del
Isis la concepiscono proprio così e ce lo
dicono con fin troppa chiarezza.
Ma è ovvio che teniamo
questo atteggiamento per pressanti ragioni politiche, che sono queste :
- abbiamo a casa nostra
comunità musulmane di dimensioni rilevanti e quindi non possiamo permetterci di
aizzare la gente contro di loro, nè loro contro
di noi;
- i paesi arabi del Medio
Oriente non si alleerebbero mai con noi per combattere l'Isis, se noi non spergiurassimo che non si tratta affatto di
una guerra di religione, perché alcuni di loro sono i custodi dei simboli di
quella religione.
La nascita della
coalizione internazionale, che combatte l'Isis dal cielo, e quindi
l'accettazione internazionale delle sue ragioni, anche se non benedetta dall'Onu, comporta
come corollario che i gruppi etnici minacciati si armino, perché la coalizione medesima,
offre solo l'appoggio dell'aviazione, molto utile,ma del tutto insufficiente al
fine di garantire il risultato.
E quindi si pone per la prima volta il problema, tanto delicato ,che i nostri
giornali, si direbbe che abbiano perfino paura a parlarne, delle comunità
cristiane, che si stanno muovendo per armarsi.
Vangelo e kalasnokov, che
vanno a braccetto, è una cosa della quale avremmo
volentieri fatto a meno, stante i precedenti storici e i rischi di scivolare
negli abusi del "dio lo vuole" contrapposto al grido di "Allah
uh akbar".
Spiacevole,ma ormai la
situazione è questa, ed
in questa direzione ,al di là delle benedizioni del Vaticano, che si sta
muovendo la politica , che segue appunto il filo degli interessi e delle
ragioni politiche.
Gli americani, per primi,
sanno quali incredibili errori strategici abbiano fatto loro stessi in Iraq e vedono ogni giorno, che le somme
ingentissime, che hanno investito, per mettere insieme un esercito iracheno,
siano finite nella spazzatura, o peggio nelle
mani dell'Isis.
Per questa ragione ora
premono per la creazione di una milizia nazionale, che è la
foglia di fico per legittimare le milizie etniche : quelle dei signori della
guerra e delle tribù sunnite; quelle dei Curdi; che ora stanno già facendo il massimo sforzo; le milizie sciite, in pratica, sono quello che
rimane dell'esercito iracheno; e poi si aspetta appunto che diano il loro
indispensabile contributo gli yazziri e i cristiani, non numerosissimi, ma di
dimensioni sempre significative e più che
legittimati da una storia plurisecolare.
In particolare, ci si aspetta
che i cristiani si armino per riprendere, quando ne saranno in grado, la zona
di Ninive.
E' una novità eclatante
molto significativa, che avrà le sue
conseguenze, come sempre anche in altre aree.
Si pensi sopratutto alla
Nigeria o al Sud Sudan, minacciati dalle
milizie islamiche di Boko haram.
Non ha senso che i
cristiani permettano di essere trattati come agnelli da macello, devono reagire
e svegliarsi da un torpore colpevole.
Ma questa non è la linea ufficiale
del Vaticano, il Segretario di stato Parolin, nel suo discorso all'Onu di due
giorni fa, ha puntato tutto sullo spronare quell'istituzione a scrollarsi dal
torpore e ad assumere l'iniziativa.
Bel discorso, ma del
tutto irrealistico, a meno di interpretarlo, con sottigliezza un po' farisea,
come una foglia di fico, per indicare il meglio, ma accontentandosi del
possibile e cioè della limitata coalizione internazionale già esistente.
Insomma, la chiesa è
troppo condizionata dai fantasmi delle crociate e delle guerre di religione per
promuovere apertamente e direttamente il riarmo dei cattolici la dove sono
minacciati.
Ma la realtà è quella che
è.
La guerra di religione è
cominciata, anche se a dichiararla, per fortuna, non è stata, come un tempo la
chiesa cattolica, ma il mondo islamico.
Non sarà breve e
richiede una strategia, che al momento
non c'è ancora, anche perché si sottovaluta proprio il cuore del problema : le
basi ideologiche, che non si combattono né con gli aerei , né con i kalashnikov,
ma nelle scuole e nelle moschee.
Torneremo su questo
argomento.
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