Il
Califfato islamico minaccia il cupolone di San Pietro : alle armi! alle armi! o
no ?
Una volta
tanto non è colpa nostra e non siamo andati a cercarcela, ma certo che la
totale situazione di anarchia nella quale versa la Libia è una bella gatta da pelare.
Quando nel
2011 la Total ha spinto Sarkosy a mettere in piedi un intervento militare per
abbattere il regime di Gheddafi, l'Italia per mille ragioni non poteva starsene
in disparte, perchè, anche se lo avesse fatto, Sarkosy e Cameron avrebbero lo stesso
cercato e ottenuto l'appoggio americano per partire da soli.
Dire oggi
che quell'intervento è stato un'idiozia è perfino troppo facile.
Mai
muoversi armi in mano se non si sa con sicurezza cosa si vuole fare e chi si
vuole mettere al potere al posto di chi
si abbatte.
La storia non insegna mai nulla, ma questa
massima è la prima cosa da tenere presente oggi, quando l'ipotesi di un
ulteriore intervento militare potrebbe essere più giustificato di quanto lo fu
quello del 2011.
Disgraziatamente
oggi la situazione è estremamente complicata.
Non c'è
più un Gheddafi da abbattere e quindi non si può affatto contare come allora di
trovare in loco l'appoggio di chi era perseguitato o contrario a quel
regime.
Oggi
c'è il caos.
Ci sono due governi, uno a
Tripoli e l'altro a Tobruk, ognuno dei quali conta come il famoso fante di
picche, anche se solo uno, quello di Tobruk è internazionalmente riconosciuto
ed a lui fa capo non un esercito, del quale nessuna fazione dispone, ma almeno l'unico nucleo di milizie
organizzate sotto il comando, ironia della sorte di un generale di
Gheddafi.
Poi ci
sono i gruppi islamisti collaterali di
al Quaida a Derna, che oggi hanno giurato fedeltà al Califfato.
E
questo è il fatto più pericoloso.
In
Siria, dove pure regna il caos completo, sono presenti una costellazione di
gruppuscoli compresi quelli che si riconoscono nell'Islam fondamentalista e
terrorista, ma questi sono in lotta fra di loro.
In
Libia non è più così, in Libia il Califfato ha per tempo fiutato l'aria ed ha capito
che qui erano presenti tre elementi di grandissimo interesse per loro : un
insieme disordinato di gruppuscoli estremisti, incapaci di coordinarsi per
contare qualcosa, un sacco di armi abbastanza moderne, ammassate dal vecchio
regime e l'oro nero dei pozzi petroliferi.
L'occasione era troppo ghiotta
per non provarci, e il Califfato ha infiltrato a poco a poco suoi emissari per
contattare i gruppuscoli ideologicamente più vicini, cominciando ovviamente da
quelli di Derna e della Cirenaica e di Bengasi, tutti posti da sempre più
permeabili al fondamentalismo, che il laico Gheddafi aveva sempre tenacemente
combattuto.
Non
c'è dubbio che il Califfato, sembra
tutto una sceneggiata tenuta insieme da quattro personaggi strampalati, che in
altri tempi non sarebbero andati oltre a perdere il tempo per bar e
moschee.
Ma come sempre il caso, cioè una serie di circostanze riescono a
trasformare un ambizioso caporale in un Napoleone.
Speriamo che questo non sia il
caso dell'auto- proclamatosi Califfo Al Bagdadi, ma certo questa gente se pure
spregevole e fuori dal tempo e dalla storia non ne sta sbagliando una, nel
senso che quello che fanno sta avendo un impatto clamoroso e trascinante su una
massa enorme di arabi senza lavoro e senza la ragionevole aspettativa di
trovarne mai uno.
Il Califfo
da loro il modo di vivere pericolosamente, ma con un riferimento ideologico
scritto in uno dei venerati libri sacri dell'umanità, il Corano, per larga
parte basato sulla Bibbia ebraico- cristiana,
che se preso alla lettera giustifica le loro anacronistiche follie.
La
storia ci insegna che nulla più di un
mito religioso è efficace per fornire una solo
ida e
credibile identità a delle società che
si sentono umiliate e prive di prospettive. Sappiamo anche sempre dalla
storia e dalla psicologia ,che una forte identità in costruzione, richiede come
l'altra faccia della medaglia l'auto- creazione di un nemico da
sterminare. Gli
ebrei per i nazisti, gli Americani e gli occidentali in genere per gli
islamisti, dai Wahabiti, agli ideologi dei Fratelli Musulmani in campo Sunnita,
a Komeini in campo Shiita.
I
cristiani hanno già dato con le crociate, l'inquisizione e le guerre di religione,
ma oggi hanno imparato l'educazione alla modernità, gli Islamici no.
Non sto a ripetere che chi si appella alla presunta maggioranza di
islamici presunti moderati racconta delle fandonie, che non hanno alcun
fondamento nella realtà, anche se qualcosa ha cominciato a muoversi.
E' stata una ben piacevole sorpresa sentire il capo dello stato più
importante e popoloso del Nord Africa, l'egiziano, generale Al Sissi,
pronunciare all'università coranica sunnita più importante, al Ahzar un discorso
nel quale invocava una rivoluzione nella sua religione per non diventare stranei e irrilevanti nel mondo
moderno.
Ma, come
al solito e come è avvenuto prima nel
cattolicesimo sono state le ragioni di potere a precedere la teologia.
Ed
' stato al Sissi l'unico a mandare gli aerei a bombardare i seguaci del
Califfato a Derna senza sottomettersi prima al rito spesso farisaico della richiesta
dell'ombrello Onu.
Bene ha fatto Al
Sissi, anche perchè aveva da reagire allo sgozzamento di alcuni suoi
connazionali, se pure Copti e non Musulmani.
Ma noi che facciamo?
Noi
contiamo pochino e temo che non facciamo la minima paura ai brutti ceffi del
Califfato, ma un armamento moderno e un esercito, una marina e un'aviazione
passabile li abbiamo.
Nei loro
confronti avremmo una superiorità tecnologica assoluta.
Ma, diceva quel genio di Tolstoi
in Guerra e Pece, la guerra la vince l'esercito che è più determinato
dell'altro.
E qui cascheremmo, è inutile raccontarci della favole.
Può essere
che oltre agli armamenti, si abbiano anche dei generali preparati, ma ve
l'immaginate la gestione politica di un eventuale intervento militare?
Ho sentito
in una trasmissione televisiva di approfondimento un ex generale, che era stato anche capo di stato maggiore, dire
: saremmo tecnicamente in grado di fare un intervento militare, ma sia chiaro,
se si decidesse di andare, "à la guerre, comme à la guerre".
Il
generale voleva dire credo giustamente :
niente buffonate, se tecnicamente ci vogliono cento mila uomini , una manciata
di miliardi, e disgraziatamente, ma inevitabilmente, almeno decine di morti, si
va, se si è disposti a pagare il prezzo per quel tipo di impegno, diversamente
è meglio rimanere a casa.
E questa
è la prima ragione per non andare, se
proprio gli eventi non ci tirassero per i capelli.
La seconda
ragione per non andare è quest' altra : un intervento militare in un paese
diviso per una costellazione di milizie e per circa duecento tribù, e per di
più un intervento prevalentemente europeo (agli Usa della Libia non importa
nulla perchè hanno raggiunto l'auto- sufficienza petrolifera) avrebbe l'effetto
indesiderato di mettere d'accordo tutti quanti : gruppuscoli, milizie e tribù contro un visibile e ben
identificato nemico comune.
La cosa
più sensata al momento sembra essere
quella di cercare un mediatore di livello sufficientemente elevato per fare
dialogare i governi, milizie, tribù e stati esteri interessati a metterci le
mani : Egitto, Emirati, Sauditi, Turchia, Algeria, Lega Araba, Consiglio
Pan-Africano in chiave anti- terroristica.
E'
una bella impresa, ma è possibile e spetta in primis a noi italiani metterci in
evidenza e cercare quel ruolo per una serie di ragioni.
Siamo
la potenza ex- coloniale di riferimento,
che ha con la Libia più interessi,
conoscenze ed entrature, più di qualsiasi altra potenza.
Abbiamo gli uomini.
L'ambasciatore d'Italia che ha
dovuto rientrare in patria, era l'unico diplomatico sul campo in grado
di far dialogare i due governi contrapposti.
E' vero che ci comportiamo spesso
in modo cialtronesco, come i politici che esprimiamo, ma sarebbe stupido non
riconoscere le eccellenze, dove siamo riusciti a crearne.
Tanto per fare un esempio significativo il
banchiere centrale della Libia e il capo dell'istituto di sorveglianza libico
sono, guarda caso, due ex- funzionari dell'Eni e la stessa Eni dispone
notoriamente di un apparato che è in
grado di dialogare in modo credibile con tutte le realtà locali di quel
complicatissimo paese.
E' stato fatto in questi ultimi
giorni anche il nome di Romano Prodi, come figura di prestigio internazionale,
che possa avvalersi di tutte le entrature che l'Italia ha in loco per tentare
una mediazione.
Prodi
ha la competenza, la capacità e il prestigio per rivestire un tale ruolo, il
governo Renzi si dovrebbe impegnare a fondo per sostenere la sua candidatura, a
meno che Renzi, come al solito, non abbia paura di suscitare il fantasmi
di un suo eventuale competitore.
Per Prodi
sarebbe un'impresa ben difficile perchè in questi casi si è credibili, se si ha
qualche decina di migliaia di marines pronti a sbarcare e una selva di missili
pronti ad essere lanciati.
Ma vale
comunque la pena di provarci.
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