lunedì 10 agosto 2015

Matteo Renzi e la politica estera



Non è una novità. In qualsiasi parte del mondo quando si chiede ai  cittadini – elettori  quali sono i settori nei quali vogliono vedere il loro governo più impegnato, immancabilmente rispondono : lavoro, economia, sicurezza e la politica estera rimane in coda o molto in coda.
Questo perché le implicazioni delle scelte di politica estera sulla vita di tutti giorni non si percepiscono con immediatezza, ma in realtà influenzano moltissimo i settori sopra elencati.
I politici queste cose le sanno e se ne approfittano, lasciando poco del loro tempo dedicato alla politica estera.
In Italia questo succede si direbbe per lunga tradizione, tanto che i politici arrivati a gestire le cariche più elevate, raramente hanno speso il tempo necessario per imparare l’inglese, senza la padronanza del quale non si fa proprio politica estera e al giorno d’oggi si potrebbe dire che è ben difficile fare politica in generale se non si ha lo strumento principe per ricavare informazioni dal Web.
Per loro e nostra fortuna il paese ha sempre potuto contare su un apparato tecnico, il corpo diplomatico, di grande qualità, secondo solo a quello della Banca d’Italia, che ha saputo coprire le falle della propria classe politica.
Matteo Renzi, come tutti sappiamo, disgraziatamente assomiglia a Berlusconi anche per il fatto di essere come politico praticamente figlio di nessuno.
Non è nato politicamente in una sezione di partito, non ha assimilato una ideologia, o la storia di una componente politica radicata nel paese, non ha condiviso i miti, ma anche le grandi speranze di qualcuno  dei padri della patria con le loro ben definite visioni strategiche per costruire il futuro.
Come Berlusconi si è dato qualche dritta molto generica e sembra più che altro vivere alla giornata.
Ero andato a sentirlo nei suoi giri in camper per l’Italia quando ha voluto concorrere alle primarie del PD.
Su  due ore di show, ci aveva propinato lunghi filmati di discorsi di Obama, evidentemente il suo modello di riferimento, con qualche accenno anche a Tony Blair, il suo  secondo  modello di riferimento.
Curiosamente quei filmati erano proposti nella lingua originale e quindi gli spettatori si erano convinti del fatto che Renzi con l’inglese fosse a livello di dieci e lode e non di  un misero sei, come si è verificato dopo.
Un’altra illusione sulla visione in politica sociale ed estera l’aveva data, quando appena eletto sindaco di Firenze si era recato al Convento di San Marco a meditare nella cella occupata a suo tempo da quel visionario della politica che era stato il suo predecessore Giorgio La Pira.
La Pira era proprio il contrario di Renzi, tanto la sua vita e non solo quella politica era quasi dedotta dalle grandi visioni ideali alle quali si ispirava e nelle quali credeva con estrema determinazione.
Degli anni di “preparazione alla politica” di Renzi si cita solo una militanza negli Scout.
Meglio che niente, ma non certo niente di determinante, dato che il giovane pare non sia mai andato oltre diciamo allo scout semplice e non sia mai pervenuto nemmeno alla responsabilità di guidare un gruppo.
Peccato perché vista l’estrema difficoltà che sembra incontrare nel rapportarsi ai compagni di partito che la pensano diversamente da lui, gli avrebbe fatto un gran bene vivere il confronto coi militanti che si svolgeva nelle sezioni, dove il modello dell’”uomo solo al comando”, che oggi lui impersona, avrebbe suscitato un istintivo fastidio per l’inevitabile richiamo ai rituali  del ventennio fascista.
Avrebbe capito che non si può essere di centro- sinistra legnando continuamente tutte le icone della sinistra e della sua storia politica.
Avrebbe capito che si possono perdonare alleanze spurie con le destre solo se molto delimitate e per raggiungere obiettivi importanti.
Avrebbe capito che è “nel sociale”, cioè in mezzo  alla propria gente che si trova la carica e la giustificazione per fare le proprie battaglie, non trescando continuamente con finanzieri e industriali di dubbia apertura e comprensione verso la  classe lavoratrice.
Avrebbe capito che in politica estera non basta essere amici del Presidente Usa, di turno.
Amico degli Usa “certificato” era stato in primis Giulio Andreotti , che però  non ha lasciato un  gran ricordo di sé né a livello popolare, né nei libri di storia.
Se Renzi avesse mai riflettuto seriamente su quali erano stati i principi ispiratori di Giorgi La Pira in materia di “politica mediterranea”, invece di stare a Roma, al ritorno dal Giappone, avrebbe immediatamente volato al Cairo per sedersi vicino ad Al Sissi all’inaugurazione del raddoppio del Canale di Suez la settimana scorsa.
Al fianco di Al Sissi ed al posto d’onore c’era Hollande e non poteva essere diversamente, stante il fatto che storicamente l’Egitto è entrato nella conoscenza approfondita dell’Occidente solo dopo la ben nota spedizione di Napoleone e il canale porta sempre storicamente la firma della Francia prima di ogni alta.
Ma al suo fianco avrebbero dovuto assolutamente esserci i primo ministri di Italia, Spagna e Grecia.
E’ la geografia e la geopolitica che lo impone.
Ma non c’erano ed hanno perso un’occasione storica, perché in politica i simboli contano più della realtà.
Al Sissi aveva bisogno di celebrare un momento solenne per  rilegittimarsi nei confronti del mondo e del suo popolo.
Al Sissi, politicamente rappresenta l’unica grande nazione araba che rifiuta e combatte fattivamente l’Islam estremista[GM1] .
E’ l’unico capo di governo che si è permesso di parlare di necessità di attuare una riforma radicale della religione islamica.
Nelle celebrazioni della settimana scorsa ha avuto l’accortezza di introdurre nella scenografia alcuni richiami alla storia antica del suo popolo risalenti al tempo dei faraoni.
Lunghe antiche trombe erano suonate da figuranti vestiti in costume egizio- antico.
Come si fa a non capire l’estremo coraggio di un capo arabo che osa fare una cosa considerata estremamente blasfema dall’interpretazione corrente dell’Islam politico, cioè presentare implicitamente come riferimenti politici epoche che non sono musulmane.
Questo coraggio di Al Sissi andava supportato da statisti appena appena competenti e dotati di una qualche visione.
Ma cosa parliamo a fare di Europa che non funziona e di Germania che sta sottomettendo ai suoi diktat i paesi dell’Europa meridionale, noi compresi, se quando c’è l’occasione di dimostrare al mondo che l’Europa mediterranea esiste, noi non ci siamo proprio.
Hollande, non solo era andato a sedersi al fianco di Al Sissi, ed anche questo conta, ma gli aveva appena venduto alcuni Rafales, cioè aeri caccia di ultima generazione.
Noi avevamo dato il nostro fattivo contributo alla lotta all’Isis mandando ai Kurdi nel nord dell’Iran delle casse di fucili tecnicamente scaduti, dei quali non avevano nessun bisogno, dal momento che avevano chiesto armi pesanti anti carro, e neanche glieli abbiamo dati direttamente, ma abbiamo soggiaciuto alla sceneggiata di inviarli direttamente al governo inesistente dell’Iraq perché li distribuisse benignamente lui, altro che caccia-bombardieri di ultima generazione.
Beffa nella beffa, Renzi ha mandato alla cerimonia sul Canale a rappresentarlo la Ministra della Difesa, naturalmente a mani vuote, nemmeno il Ministro degli Esteri.
Questa è politica estera da dilettanti.
Al Sissi, rappresenta oggi l’unica scelta sensata per combattere fattivamente l’estremismo islamico e diciamolo pure, per poter conservarci un qualche posto al sole in Libia, perché Al Sissi foraggia e arma l’unica forza militare di una qualche consistenza in Libia, quella del generale Kalifa Aftar.
Ma se Renzi è incapace di scegliere, non ci sarà posto per noi e per l’Eni, ma piuttosto per la Francia e per la Total.


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