Noi facciamo
le riforme, gli altri non avevano fatto niente.
Oppure :
nessuno ha fatto tante riforme tutte insieme come stiamo facendo noi.
Questo è il
mantra ripetuto da Renzi e soci.
Come sempre
la realtà non è mai tutta bianca o tutta
nera e quindi anche in questo caso qualcosa di buono c’è, nel senso che le
leggi delega con le quali Renzi “fa le riforme” contengono effettivamente dei
punti innovativi:
Fermiamoci
alla riforma della pubblica amministrazione messa in cantiere l’altro ieri.
Il numero
telefonico unico (112) per tutte le emergenze.
PIN unico
per accedere ai servizi della P.A.
Il silenzio
assenso che costringerà la P.A. ad
accelerare i tempi.
Bollette e
multe pagabili col credito telefonico fino a un certo importo.
Il Pra
(pubblico registro automobilistico che passerà dall’Aci alla Motorizzazione.
I Forestali
che passeranno parte ai Carabinieri e parte ai Vigili del Fuoco.
Taglio
drastico del numero di Prefetture e di Camere di Commercio.
Ruolo unico
dei dirigenti apicali, nuove norme sui concorsi, valutazione e licenziabilità
degli stessi.
Si tratta di
innovazioni effettive, però solo enunciate.
Perché
questo è il punto.
Alla legge
di indirizzo devono seguire dei decreti
attuativi che calino nella realtà il disegno generale e senza quei decreti
attuativi quel disegno rimane un annuncio con lo stesso valore delle grida
manzoniane.
La ministra
alla partita ci dice che da mesi i suoi collaboratori stanno preparando quei
decreti, speriamo sia vero.
E poi, fatti
i decreti la riforma è fatta?
No, le cose
non funzionano così, perché una volta fatti i decreti occorre disporre di un
meccanismo con degli organi funzionanti, con il quale il governo sia in grado
di verificare l’attuazione pratica della legge.
E’ qui che
sono caduti i predecessori di Renzi, perché pare che questa classe politica (e
quella che l’ha preceduta) non si rendano minimamente conto del fatto che senza
un apparato di pubblica amministrazione efficiente e competente nessun governo
governa.
La pubblica
amministrazione non è un corpo estraneo, la pubblica amministrazione
costituisce i terminali del governo, cioè fra il governo e la pubblica
amministrazione ci deve essere un sistema di comunicazione costante.
Questo
legame organico oggi non lo avverte né la classe politica, né l’opinione
pubblica, fruitrice dei servizi della pubblica amministrazione.
Perché in
Italia, ma non solo, è particolarmente difficile vedere un politico che sappia
svestire la casacca o l’abito del partito di appartenenza, quando va ad
assumere il ruolo istituzionale del quale è rivestito (sindaco, deputato,
ministro che sia) e quindi la gente è portata, per un corto circuito logico a
riversare sulle istituzioni il discredito e la disistima che si è guadagnata la
classe politica.
Il fatto
contingente che Renzi abbia voluto assommare le cariche di Presidente del
Consiglio e di Segretario nazionale del suo partito, peggiora ulteriormente le
cose.
L’ulteriore
fatto che il medesimo Renzi si presenti
all’opinione pubblica come “l’uomo solo al comando” è ancora un ulteriore
elemento peggiorativo.
Quindi la
riforma della pubblica amministrazione non si fa proprio solo con delle leggi,
perché la pubblica amministrazione va governata giorno per giorno, minuto per
minuto.
Va governata
non significa affatto che vada occupata dai partiti, e qui sta l’equivoco.
Per
funzionare bene la pubblica amministrazione ha bisogno di consistere in un
staff di persone tecnicamente competenti e quindi che siano state assunte in ragione della loro
competenza e non imposte da dai cacicchi di partito, che siano promosse in base
alla valutazione dei loro meriti-
risultati raggiunti e non per imposizione dei medesimi cacicchi di
partito.
La pubblica
amministrazione in Italia funziona male non perché sia composta da
“fannulloni”, ma perché è stata devastata dalla intromissione dei partiti.
E’ così che
i dirigenti sono diventati degli “yes man” dei politici e non dei tecnici
dotati della dovuta autonomia di giudizio.
Per far
funzionare la P.A. occorre sganciarla dalla politica- partitica- clientelare,
ma questo evidentemente non si può fare con delle leggi.
Uno dei
pochi organismi “pubblici” italiani, dotata di prestigio anche a livello
internazionale per l’alto livello tecnico posseduto dal suo organico è la Banca
d’Italia, che è ,guarda caso, una delle pochissime istituzioni sganciate dal
potere politico e quindi dalle lottizzazioni partitiche.
E’ su un
modello simile che dovrebbe essere modellata la P.A.
Purtroppo la
“riforma” renziana è ispirata da una filosofia assolutamente inversa.
Nel senso che
di facciata vorrebbe accentuare il lato “manageriale” dell’intero organismo, ma
che contiene misure per asservire ancora di più la P.A. alla politica-
partitica.
E’ nei
dettagli, come sempre che si nasconde la coda del diavolo e in questa riforma
un dettaglio che nasconde il diavolaccio partitico è la scelta veramente folle
di escludere la valutazione del voto di laurea dal punteggio di un candidato a
ricoprire un posto dirigenziale nella P.A.
Questo
significa abbandonare di fatto il criterio più obiettivo che ci possa essere
per valutare la competenza e il merito di un candidato per lasciarlo alla mercé
del giudizio della commissione di concorso, nella quale imperano i membri
politici-partitici, fatto, che si cerca di nascondere con la solita foglia di
fico di qualche professore universitario, naturalmente scelto perché
compiacente.
Ma non
basta, l’altra pensata ugualmente folle è quella di imporre la continua
rotazione dei dirigenti apicali, in modo che nessuno di fatto abbia il tempo di
acquisire una adeguata specializzazione sul campo.
Questo
è puro populismo, dato in pasto a quella
parte dell’opinione pubblica che non è abbastanza informata per capire cosa
significa.
E così si fa
credere che ruotando i dirigenti si estirperà la corruzione.
Solo questi
due innovazioni disastrose sono sufficienti a fa pensare che ci troviamo
davanti a dei dilettanti allo sbaraglio, che buttano là provvedimenti senza
avere una minima filosofia ispiratrice.
Rimarrà
forse il 112 unico.
Dopo il
ventennio berlusconiano del resto autorevoli commentatori hanno detto che
l’unica realizzazione che la gente si ricorderà di quel periodo, lasciata ad
arricchimento dei posteri sarà la “patente a punti”.
Non
dimentichiamo poi, che parecchie delle norme contenute nella “riforma delle
P.A.” di Renzi sono costituite da norme
già in vigore a seguito delle precedenti riforme ,poi attuate solo in piccola
parte da Brunetta e prima di lui, da Bassanini.
Il primo ci
ha lasciato almeno i tornelli per fare timbrare il cartellino agli statali, ed
il secondo le “autodichiarazioni”, che non sono poca cosa, ma certo non sono
riforme della P.A.
Ci sarebbe
poi molto da dire sulla “punizione” della figura del prefetto, che invece
rappresenta anche da un punto di vista funzionale la presenza del governo nel
suo insieme a livello locale.
Ci sarebbe
da dire sulla abolizione della figura del “segretario comunale” , che garantiva
la presenza di una figura autonoma dalla politica- partitica locale, essendo
proveniente da un concorso e da una graduatoria a livello nazionale.
Almeno il
segretario garantiva un minimo di controllo di legalità preventivo sulle
delibere dei comuni.
Ora più
nulla, semmai interverrà la magistratura, ma dopo a buoi già scappati.
E poi il
caso incredibile della abolizione del Corpo Forestale dello Stato.
Una forza di
polizia a difesa del territorio e dell’ambiente che negli anni aveva raggiunto
un grado di specializzazione estremamente elevato ed apprezzato.
Non riesco a
biasimare il commento ad hoc apparso sul sito di Beppe Grillo “regalo alle eco-
mafie”.
Non
generalizziamo, ma questa riforma mi sembra veramente una bella schifezza.
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