giovedì 6 agosto 2015

Renzi e la riforma della pubblica amministrazione





Noi facciamo le riforme, gli altri non avevano fatto niente.
Oppure : nessuno ha fatto tante riforme tutte insieme come stiamo facendo noi.
Questo è il mantra ripetuto da Renzi e soci.
Come sempre la realtà  non è mai tutta bianca o tutta nera e quindi anche in questo caso qualcosa di buono c’è, nel senso che le leggi delega con le quali Renzi “fa le riforme” contengono effettivamente dei punti innovativi:
Fermiamoci alla riforma della pubblica amministrazione messa in cantiere l’altro ieri.
Il numero telefonico unico (112) per tutte le emergenze.
PIN unico per accedere ai servizi della P.A.
Il silenzio assenso che costringerà la P.A.  ad accelerare i tempi.
Bollette e multe pagabili col credito telefonico fino a un certo importo.
Il Pra (pubblico registro automobilistico che passerà dall’Aci alla Motorizzazione.
I Forestali che passeranno parte ai Carabinieri e parte ai Vigili del Fuoco.
Taglio drastico del numero di Prefetture e di Camere di Commercio.
Ruolo unico dei dirigenti apicali, nuove norme sui concorsi, valutazione e licenziabilità degli stessi.
Si tratta di innovazioni effettive, però solo enunciate.
Perché questo è il punto.
Alla legge di indirizzo devono seguire dei  decreti attuativi che calino nella realtà il disegno generale e senza quei decreti attuativi quel disegno rimane un annuncio con lo stesso valore delle grida manzoniane.
La ministra alla partita ci dice che da mesi i suoi collaboratori stanno preparando quei decreti, speriamo sia vero.
E poi, fatti i decreti la riforma è fatta?
No, le cose non funzionano così, perché una volta fatti i decreti occorre disporre di un meccanismo con degli organi funzionanti, con il quale il governo sia in grado di verificare l’attuazione pratica della legge.
E’ qui che sono caduti i predecessori di Renzi, perché pare che questa classe politica (e quella che l’ha preceduta) non si rendano minimamente conto del fatto che senza un apparato di pubblica amministrazione efficiente e competente nessun governo governa.
La pubblica amministrazione non è un corpo estraneo, la pubblica amministrazione costituisce i terminali del governo, cioè fra il governo e la pubblica amministrazione ci deve essere un sistema di comunicazione costante.
Questo legame organico oggi non lo avverte né la classe politica, né l’opinione pubblica, fruitrice dei servizi della pubblica amministrazione.
Perché in Italia, ma non solo, è particolarmente difficile vedere un politico che sappia svestire la casacca o l’abito del partito di appartenenza, quando va ad assumere il ruolo istituzionale del quale è rivestito (sindaco, deputato, ministro che sia) e quindi la gente è portata, per un corto circuito logico a riversare sulle istituzioni il discredito e la disistima che si è guadagnata la classe politica.
Il fatto contingente che Renzi abbia voluto assommare le cariche di Presidente del Consiglio e di Segretario nazionale del suo partito, peggiora ulteriormente le cose.
L’ulteriore fatto che il medesimo Renzi  si presenti all’opinione pubblica come “l’uomo solo al comando” è ancora un ulteriore elemento peggiorativo.
Quindi la riforma della pubblica amministrazione non si fa proprio solo con delle leggi, perché la pubblica amministrazione va governata giorno per giorno, minuto per minuto.
Va governata non significa affatto che vada occupata dai partiti, e qui sta l’equivoco.
Per funzionare bene la pubblica amministrazione ha bisogno di consistere in un staff di persone tecnicamente competenti e quindi che siano  state assunte in ragione della loro competenza e non imposte da dai cacicchi di partito, che siano promosse in base alla valutazione dei loro meriti-  risultati raggiunti e non per imposizione dei medesimi cacicchi di partito.
La pubblica amministrazione in Italia funziona male non perché sia composta da “fannulloni”, ma perché è stata devastata dalla intromissione dei partiti.
E’ così che i dirigenti sono diventati degli “yes man” dei politici e non dei tecnici dotati della dovuta autonomia di giudizio.
Per far funzionare la P.A. occorre sganciarla dalla politica- partitica- clientelare, ma questo evidentemente non si può fare con delle leggi.
Uno dei pochi organismi “pubblici” italiani, dotata di prestigio anche a livello internazionale per l’alto livello tecnico posseduto dal suo organico è la Banca d’Italia, che è ,guarda caso, una delle pochissime istituzioni sganciate dal potere politico e quindi dalle lottizzazioni partitiche.
E’ su un modello simile che dovrebbe essere modellata la P.A.
Purtroppo la “riforma” renziana è ispirata da una filosofia assolutamente inversa.
Nel senso che di facciata vorrebbe accentuare il lato “manageriale” dell’intero organismo, ma che contiene misure per asservire ancora di più la P.A. alla politica- partitica.
E’ nei dettagli, come sempre che si nasconde la coda del diavolo e in questa riforma un dettaglio che nasconde il diavolaccio partitico è la scelta veramente folle di escludere la valutazione del voto di laurea dal punteggio di un candidato a ricoprire un posto dirigenziale nella P.A.
Questo significa abbandonare di fatto il criterio più obiettivo che ci possa essere per valutare la competenza e il merito di un candidato per lasciarlo alla mercé del giudizio della commissione di concorso, nella quale imperano i membri politici-partitici, fatto, che si cerca di nascondere con la solita foglia di fico di qualche professore universitario, naturalmente scelto perché compiacente.
Ma non basta, l’altra pensata ugualmente folle è quella di imporre la continua rotazione dei dirigenti apicali, in modo che nessuno di fatto abbia il tempo di acquisire una adeguata specializzazione sul campo.
Questo è  puro populismo, dato in pasto a quella parte dell’opinione pubblica che non è abbastanza informata per capire cosa significa.
E così si fa credere che ruotando i dirigenti si estirperà la corruzione.
Solo questi due innovazioni disastrose sono sufficienti a fa pensare che ci troviamo davanti a dei dilettanti allo sbaraglio, che buttano là provvedimenti senza avere una minima filosofia ispiratrice.
Rimarrà forse il 112 unico.
Dopo il ventennio berlusconiano del resto autorevoli commentatori hanno detto che l’unica realizzazione che la gente si ricorderà di quel periodo, lasciata ad arricchimento dei posteri sarà la “patente a punti”.
Non dimentichiamo poi, che parecchie delle norme contenute nella “riforma delle P.A.”  di Renzi sono costituite da norme già in vigore a seguito delle precedenti riforme ,poi attuate solo in piccola parte da Brunetta e prima di lui, da Bassanini.
Il primo ci ha lasciato almeno i tornelli per fare timbrare il cartellino agli statali, ed il secondo le “autodichiarazioni”, che non sono poca cosa, ma certo non sono riforme della P.A.
Ci sarebbe poi molto da dire sulla “punizione” della figura del prefetto, che invece rappresenta anche da un punto di vista funzionale la presenza del governo nel suo insieme a livello locale.
Ci sarebbe da dire sulla abolizione della figura del “segretario comunale” , che garantiva la presenza di una figura autonoma dalla politica- partitica locale, essendo proveniente da un concorso e da una graduatoria a livello nazionale.
Almeno il segretario garantiva un minimo di controllo di legalità preventivo sulle delibere dei comuni.
Ora più nulla, semmai interverrà la magistratura, ma dopo a buoi già scappati.
E poi il caso incredibile della abolizione del Corpo Forestale dello Stato.
Una forza di polizia a difesa del territorio e dell’ambiente che negli anni aveva raggiunto un grado di specializzazione estremamente elevato ed apprezzato.
Non riesco a biasimare il commento ad hoc apparso sul sito di Beppe Grillo “regalo alle eco- mafie”.

Non generalizziamo, ma questa riforma mi sembra veramente una bella schifezza.

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