martedì 25 agosto 2015

Il “Don Abbondio” dei funerali Casamonica scuote la credibilità della chiesa, ma non fra i “fedeli”



La vicenda dei funerali Casamonica è stato un fatto orripilante, ma è servito almeno a fare aprire gli occhi per discutere su una vasta gamma di questioni importanti, interessanti il potere civile, ma anche la chiesa.
Una di queste è senz’altro lo stato della chiesa in Italia nel senso del livello di fiducia e di credibilità sul quale può ancora o non può più contare.
Ora, qualsiasi sia la nostra posizione di adesione o meno verso la chiesa, non possiamo tacerci che su questa vicenda le figure ecclesiastiche, responsabili di quelle istituzioni ,siano riuscite a sparare una serie di scuse e giustificazioni ,che il fondatore del cristianesimo avrebbe bollato quanto meno per “farisaiche”.
Anche se facessimo finta che non mentivano, sapendo di mentire, non potremmo comunque non rilevare le evidenti contradizioni nelle quali sono incorsi.
Il meno attrezzato di furbizie ecclesiastiche, che è risultato essere il povero Don Abbondio della situazione, ha recitato la parte che riteneva fosse da lui richiesta.
Vengono alla mente inevitabilmente le formidabili parole dei “promessi Sposi” relative a casi di questo genere :”sopire, troncare, Padre molto reverendo, sopire, troncare”.
Solo che nei Promessi Sposi i due interlocutori erano il Conte Zio e il Padre Provinciale dei Capuccini, forse a quel livello il sopire ,troncare può funzionare, ma a livello di Don Abbondio
naufraga.
In prima battuta l’ argomento a giustificazione portato sia dal parroco che dal Vicariato, è stato questo : solo dio può sapere se anche il più incallito malfattore si pente all’ultimo momento e quindi la pietà vuole che il funerale religioso sia celebrato.
Il ricorso all’autorità di dio e quindi al sacro è corretto secondo la teologia tradizionale, ma di scarso senso nel mondo moderno, se usato in questo contesto.
Ma soprattutto cozza contro la logica più elementare, perché se quello fosse il criterio principe da applicare a questi casi, allora non si spiegherebbe perché è previsto dal diritto canonico che in certe circostanze gravi il funerale può venire rifiutato, tanto che è stato rifiutato proprio in quella chiesa da una presa di posizione pubblica del Vicariato nel “caso Wembly”, anche questa volta in barba ad ogni “pietà” e ad ogni logica, se si pensa che la prassi consolidata era da tempo favorevole a celebrare i funerali nei casi di suicidio.
Ammesso e non concesso affatto, che Wembly fosse un peccatore per avere chiesto di staccarlo dai macchinari che lo tenevano in vita artificialmente, perché mai ,seguendo quell’argomento prima enunciato, non avrebbe potuto pentirsi all’ultimo momento e quindi non avrebbe potuto beneficiare della “pietà” invocata dal nostro Don Abbondio?
E poi se usciamo da quegli irritanti farisaismi, che insultano l’intelligenza di tutti, come mai il parroco della chiesa nella quale per diritto canonico e cioè ,in base alla residenza, si sarebbe dovuto celebrare quel funerale, una volta interpellato dai parenti e dopo avere sentito quel cognome ben noto, si è rifiutato di celebrare il rito ?
Manzoni ,in qualche modo cerca di circoscrivere le mancanze di Don Abbondio dicendo, come è noto, che chi nasce senza coraggio, non se lo può inventare, ma il nostro parroco è ricorso ad argomenti alla Don Abbondio, addirittura caricaturali.
Nell’intervista pubblicata oggi da Repubblica esordisce dicendo che non avrebbe risposto nulla perché i suoi superiori gli avevano tassativamente imposto di non parlare più, ma poi parla eccome.
Meglio per lui se avesse taciuto.
La prima affermazione è veramente scioccante : nessuno mi aveva comunicato quale fosse l’identità reale del defunto.
Apprendiamo quindi che bisognava comunicargliela l’identità del defunto, non era lui, il parroco, che avrebbe dovuto conoscere chi a lui si rivolgeva e in caso contrario informarsi bene.
Se si fosse informato avrebbe dovuto chiedersi da buon prete-impiegato, come probabilmente si ritiene, se il suo collega che per diritto canonico era quello competente per territorio si fosse rifiutato di celebrare quel rito, come in realtà era avvenuto.
Questo sarebbe stato suo dovere, come diligente prete- impiegato.
Se poi si fosse trovato accecato dalla paura, avrebbe sempre potuto scaricare la patata bollente sul Vicariato ed aspettare la risposta di quello prima di dare il consenso.
Forse a questo ci sarebbe arrivato persino Don Abbondio, che non vi aveva ricorso perché nel ‘600 la logistica delle comunicazioni avrebbe scoraggiato il ricorso all’Arcivescovo.
Il nostro poi ha svicolato  su quello che per lui è sempre stato l’argomento che taglierebbe la testa al toro : io sono responsabile solo di quello che succede dentro la chiesa e dentro la chiesa tutto è stato ineccepibile.
Formalmente sarebbe un argomento spendibile, solo che forse ritenendolo debole lo ha rafforzato con particolari ridondanti, come : c’era pieno di confessati (come se fossimo ancora ai tempi di Carlo Borromeo quando si compilava il certificato di confessione, con valore anche nel civile) e tanti si sono comunicati.
Ma poi il cadutone si verifica nell’ultima risposta.
Domanda : e i cartelloni che raffiguravano il defunto praticamente nelle vesti da papa?
Il nostro risponde che non aveva paura, ma che i collaboratori l’avrebbero consigliato di non toglierli “per non fare innervosire nessuno”.
Hai hai, qui cade tutto.
Allora sapeva di chi si trattava e che sarebbe stato meglio non fare ” innervosire” gente di tale fama, perché quelli “menano” se si è fortunati, se no finisce peggio.
Trovare un Don Abbondio, non è bello, ma nel numero ce né e ce ne saranno sempre, come capita in qualsiasi ambiente sociale.
Però  ai guai procurati da quel tipo di preti  dovrebbe sopperire, in una grande citta ,una organizzazione che evidentemente non c’è.
Consultare il Vicariato in casi dubbi dovrebbe essere stabilito come un obbligo tassativo, a ognuno le proprie responsabilità.
Il nostro parroco non ha certo esercitato la virtù della prudenza, ma forse un po’ di coraggio l’avrebbe trovato se ci fossero regole che automaticamente coprono i poveri parroci avocando la competenza all’autorità superiore, in casi di potenziali pericoli per i parroci stessi.
Questa vicenda ha diviso come sempre il mondo cattolico.
Si sono visti “fedeli” sul sagrato della chiesa la domenica successiva con cartelli che esprimevano la loro indignazione, ma c’erano anche parecchi “fedeli” senza cartelli che intervistati dicevano che secondo loro il parroco aveva fatto bene a fare quello che ha fatto.
E anche questo non mi sorprende, perché questa di prendere le parti del proprio prete a prescindere da qualsiasi “prova” di comportamento non corretto è il modo di fare tipico di chi è abituato a “sacralizzare” tutto ciò che si riferisce alla chiesa andando ben oltre la teologia o il semplice buon- senso.
Per questo tipo di fedeli, qualsiasi evento che possa turbare o scuotere la propria fede, va allontanato alla svelta.
Perfino nei casi più eclatanti di pedofilia si sono viste schiere di “fedeli” difendere strenuamente il proprio prete, perché era il loro prete-impiegato che avrebbe loro aperto le porte del paradiso al momento opportuno.
Papa Francesco ha chiaramente ancora molto lavoro da fare.


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