venerdì 9 ottobre 2015

L’unanime stroncatura che ha subito Ignazio Marino è il segno che qualcosa di serio non va nel nostro sistema politico e nella società civile che lo esprime



A leggere i giornali di questa mattina viene da chiedersi : ma è possibile che in un paese di antica civiltà come il nostro non ci sia stato un solo commentatore dotato di sufficiente indipendenza intellettuale , magari anche solo per il gusto di fare il bastian contrario, per prendere in qualche  modo le difese di Marino.
Niente da fare da destra a sinistra, laici e clericali, da tutti quanti sono venuti  unanimi giudizi, per di più declassati a lazzi e sberleffi.
Marino poteva rimanere a Pittsburgh   in Pensylvannia  e a Filadelfia a fare il suo mestiere di chirurgo dei trapianti, invece che rispondere al desiderio di venire in Italia e per di più a Palermo per fondare un centro per trapianti di fegato nel 1999, che poi ha lasciato per tornare a Filadelfia.
Infine nel 2006 ha risposto a una insana pulsione che lo ha spinto a entrare in politica in Italia presentandosi alle politiche ed uscendone come senatore, e come tale è stato rieletto nel 2008 e come senatore si è prevalentemente occupato di sanità.
L’anno successivo partecipa alle primarie del PD per concorrere alla segreteria nazionale.
Arriverà ultimo dietro a Bersani ed a Franceschini, ma raccogliendo sempre un 12%.
Sarà rieletto nel 2013, anno nel quale partecipa alle primarie del PD per il sindaco di Roma, le vince e viene eletto sindaco.
In quella veste prende subito posizione su unioni civili e matrimoni gay.
Senza voler fare della dietrologia, forse questo è stato il primo cappio politico che si è messo al collo.
Dopo la gestione inqualificabile della destra di Alemanno, ben attenta però a compiacere i desiderata dei clericali d’oltre Tevere, le idee liberali di  Marino sui diritti civili sono state fortemente avversate.
Papa Francesco o non Papa Francesco si evidenzia che in Vaticano molti di fronte all’arretramento inarrestabile della chiesa cattolica nel resto d’Europa, hanno deciso che  l’Italia e Roma debbano essere prese come la linea del Piave da difendere con qualsiasi mezzo.
A mio avviso questo è stata la prima mossa che già due anni fa ha messo insieme lobby potenti contro Marino.
Poi si sono unite a quelle truppe quei notabili ex comunisti che oggi sono indicati come la minoranza del PD, che erano evidentemente abituati da molto tempo a entrare in ogni affare anche quando al governo di Roma c’era la destra.
Non a caso il povero Marino nei documenti molto polemici coi quali ha annunciato le sue dimissioni estorte ha usato più e più volte la parola consociativismo, che indica l’unione innaturale di forze politiche diverse e contrarie per divdersi il potere e fare affari insieme, contro la volontà di chi li ha eletti.
Purtroppo per lui, Marino ,però, ci ha messo molto del suo per farsi affondare.
L’uomo chiaramente non è affatto un “marziano a Roma” come hanno scritto quasi tutti, avendo alle spalle una carriera politica ai massimi livelli durata anni, ma sicuramente non è un buon ascoltatore né tanto meno un buon comunicatore.
Non ha saputo ascoltare e parlare con la gente di Roma, questo è indiscutibile.
Faceva lo sforzo di essere presente, ma  forse per le sue caratteristiche caratteriali, rimaneva distaccato e lontano.
Per fare politica a quei livelli occorre avere almeno in parte un po’ di carisma.
La gente a ragione o a torto ti da credito se riesci a recitare bene la tua parte e ti fai percepire come “uno di loro” che come tale è  in grado di capire i tuoi problemi.
Diventi credibile politicamente, purtroppo, anche se sei un gran mascalzone, purchè però tu sappia toccare le corde giuste, che la sensibilità della gente esige siano toccate.
Pensate un po’ a Berlusconi, maestro per vent’anni nel propinare alla gente su tutti i canali TV al suo servizio esattamente quello che loro volevano sentirsi dire.
Erano quasi tutte panzane, ma erano le panzane giuste.
Marino era lontanissimo dall’avere questa sensibilità.
Peccato perché lui non raccontava panzane, aveva detto  che avrebbe rivoluzionato il Campidoglio e lo ha fatto stoppando le camarille consociative degli affari, che si erano comprate tutti i politici comprabili, cioè praticamente tutti.
Quando la magistratura ha scoperchiato il pentolone degli appalti capitolini, quello sarebbe stato il momento del suo trionfo, ma come sempre lui non ha saputo comunicare per rivendicare in modo credibile e documentato quello che aveva già fatto lui autonomamente per fare pulizia.
Gli ha giocato contro anche l’ampiezza della corruzione che aveva infettato da chissà quanto tempo l’apparato amministrativo capitolino  e la classe politica che amministrava Roma.
Non faceva in tempo a denunciare una situazione scandalosa, che già scoppiava con gran clamore uno scandalo successivo.
La vastità della corruzione, non percepita nel resto d’Italia, e la successione temporale a mitraglia di notizie  di scandali hanno dato alla gente la sensazione palpabile che il sindaco se pure schierato dalla parte delle guardie e non dei ladri, si trovasse a gestire una situazione del tutto fuori controllo.
Di fonte a quei disastri ci vuole tempo, parecchio tempo anche solo per stoppare i ladri e cominciare a raddrizzare tutto quanto.
Marino in quella situazione anche se avesse avuto un carattere e capacità politiche del tutto diverse non avrebbe potuto  mai farcela da solo.
Avrebbe dovuto assolutamente trovare il modo di mettersi sotto l’ampio ombrello del suo partito e di farsi percepire come espressione di quel partito.
Ma purtroppo per lui il grande capo del partito e del governo Matteo Renzi, appartiene a una tipologia antropologicamente troppo diversa dalla sua.
I due sono fatti per non intendersi.
Renzi, di fatto successore di Berlusconi e contemporaneamente capo del PD, e quindi gestore di un potere enorme, prima pensa alla strategia giusta per comunicare e poi a cosa ha da dire.
Fosse stato lui al posto di Marino, i Romani  gli avrebbero già innalzato un monumento.
Ma Marino era solo Marino e se Renzi non gli telefonava, non osava telefonargli lui.
Sembrano magari stupidaggini, ma queste impuntature caratteriali sono quelle cose che fanno si che spesso la storia vada in un modo o nell’altro.
Peccato perché da un maggiore e reciproco sforzo di parlarsi e di intendersi ci avrebbe guadagnato anche Renzi, che per mesi ha dimostrato di non sapere che pesci pigliare, e che ora, scaricato ufficialmente Marino, si trova a gestire elezioni difficilissime per il Pd, che potrebbe benissimo perderle.
L’arroganza e la supponenza non si addicono a chi fa politica.
In queste condizioni la parola d’ordine probabilmente sarà : tirarla in lunga con la scusa del Giubileo, avvenimento internazionale, che deve avere la precedenza come fino a ieri è stato per l’Expo, con commissario possibilmente un magistrato o un manager di provate capacità.
Questa vicenda ha messo in evidenza anche lo stato disastrato della stampa in Italia.
Quando tutte le testate dicono la stessa cosa, c’è aria che puzza.
E poi la politica che sta cambiando con clamorosa velocità da agorà dove si incontravano partiti storici ben definiti, a “plaza de toros”, dove si esibisce o l’uomo solo al comando o l’aspirante uomo solo al comando.
Non è affatto una bella notizia e difficilmente può promettere niente di buono. 

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