Chiamiamolo caso,
chiamiamola ironia della storia, ma è veramente singolare che
dobbiamo ringraziare per avere a suo tempo introdotta la giornata
della memoria con una legge ,un raffinato intellettuale “liberal”
come Furio Colombo , che l'ha ideata, e un notissimo politico di
estrazione ex- fascista come Gianfranco Fini, che è stato
determinante nel lavoro parlamentare per fare approvare quella legge
nel luglio 2000.
Tramandare la
memoria di quel “male assoluto”, causato dal nazi-fascismo è un
dovere morale essenziale, almeno per far sì che le idee che hanno
partorito quei fatti, rimangano maledette per sempre nella coscienza
collettiva, così da impedire che facciano nuovamente presa, sotto
altre forme.
Tramandare è anche
suscitare emozioni.
E questo hanno fatto
con encomiabile sacrificio personale i reduci da quei fatti, che in
tarda età si sono spesi per raccontare a innumerevoli scolaresche
in giro per l 'Italia, le storie personali, che in gioventù li
avevano portati a finire nei lager nazi-fascisti.
Oggi per ragioni
anagrafiche è divenuto estremamente problematico trovare ancora
qualcuno di quei reduci in grado di ripetere quel rito-servizio
civico.
Peccato, perché le
testimonianze dirette coinvolgendo emotivamente hanno più efficacia.
Ma di quelle persone
sono comunque rimasti gli scritti, che oggi sono diventati
testimonianze essenziali nelle mani degli storici e dei cittadini
tutti.
Ed è quindi agli
storici che oggi passa il testimone, tocca quindi a loro ed agli
insegnanti studiare, documentarsi e tramandare.
Non avranno un
compito particolarmente difficile perché la documentazione
sull'argomento è imponente.
Vengono i brividi
anche solo a rievocare queste cose, ma se oggi come si diceva la
documentazione è imponente e inconfutabile è anche a causa del
fatto che la “banalità del male” aveva indotto i nazi-fascisti
nella loro folle mentalità a considerare i lager come un qualunque
“stabilimento” e quindi a dimostrare ai posteri di essere stati
efficienti contabili dello sterminio.
Fatto sta che
avevano tenuto delle scritture persino pedanti che documentavano
tutto : ingressi e uscite da ogni campo, elenchi dettagliati degli
“effetti personali” di ognuno e via di seguito da orrore ad
orrore.
Parte di quelle
scritture ovviamente i responsabili dei campi, avevano tentato di
bruciare all'arrivo degli Alleati, ma la gran parte è stata
ritrovata dalle truppe alleate e portata in archivi ora consultabili.
Quindi se mettiamo
insieme questi archivi sui lager e le testimonianze dei reduci, su
quei fatti sappiamo moltissimo.
Come abbiamo detto
dovremo per forza maggiore rinunciare alla frustata emotiva che
derivava dal sentire i racconti dalla viva voce dei protagonisti, ma
tutto quello che fa “conoscenza” e “informazione” è lì
disponibile per essere trasmessa alle nuove generazioni, sulla base
di documentazioni particolarmente solide, e nel campo della storia
questo capita raramente.
Ecco percò che così
siamo arrivati al punto evocato dal titolo.
Reduci di serie A e
reduci di serie B.
Purtroppo è così e
i media nemmeno vanno oltre a un accenno , quando lo fanno, a questa
perdurante disparità di trattamento, profondamente ingiusta.
Tutti i riflettori
sono puntati sulle storie dei reduci dai lager, nei quali erano
finiti a causa di loro coraggiosissime e rischiosissime prese di
posizioni ,che si mettevano di traverso al nazi-fascismo.
Onore a loro ed alla
loro memoria, senza se e senza ma.
Però perché
ignorare del tutto la realtà parallela di quasi mezzo milione di
italiani ,che erano finiti in lager , di altra denominazione,
rispetto a quelli “dedicati” allo sterminio di ebrei e
anti-fascisti, ma nei quali il trattamento e le condizioni di vita
non erano certo molto migliori.
Si tratta dei
“prigionieri di guerra” la cui unica colpa era stata quella di
essere italiani, che un governo di incapaci e una monarchia di
irresponsabili aveva messo nella situazione impossibile di ex alleati
dei nazisti, divenuti nuovi nemici , dopo l'armistizio l'8 settembre
'43 e poi, disprezzati, inaffidabili collaborazionisti, dopo
l'insediamento del governo di Salò.
Erano i militari
italiani, rastrellati in massa dai Nazisti che si erano subito
indicato come obiettivo strategico la deportazione del maggior numero
possibile di loro, usando della solita lucida formidabile efficienza,
che a noi mancava cronicamente.
Stavano per perdere
la guerra i nazisti ed avevano bisogno di adibire al lavoro forzato,
quanti più prigionieri potevano, perché era loro esigenza mandare
tutti i tedeschi sui troppi fronti di battaglia.
Per decenni la
infausta “retorica resistenziale” pompata dalla propaganda del
PCI e subita spesso acriticamente da tutte le altre forze politiche,
aveva diffuso un “pensiero unico” per il quale sarebbe stato
imbarazzante parlare di quei militari in quanto sarebbero stati in
gran parte ex fascisti.
Accusa ingiuriosa,
storicamente insensata, perché come sanno anche i sassi, durante il
ventennio essere iscritti alle associazioni fasciste non era una
scelta ma un obbligo e quindi c'erano iscritti tutti d'ufficio, come
nell'iscrizione all'anagrafe.
Nei testi di storia
più datati si raccontava perfino la panzana che se questi militari
avessero aderito alla Repubblica Sociale, non sarebbero stati
deportati e sarebbero divenuti dei privilegiati.
Ma in realtà le
cose sono andate diversamente per la semplice ragione che i nazisti,
che sapevano bene quel che volevano, come detto sopra e come
documentato oggi dagli storici (si veda ad esempio il lavoro di
Gabriele Hammerman : gli internati militari italiani in Germania
1943-1945, edito dal Mulino nel 2004) era obiettivo strategico dei
vertici nazisti rastrellare il maggior numero possibile di mano
d'opera coatta, e del penoso regime di Salò non avevano il minimo
rispetto, né considerazione.
Ragione per cui nei
campi di lavoro forzato ci finivano praticamente tutti.
Orari di lavoro
impossibili, condizioni di alloggio da lager, vitto più che
precario, dato che più si avvicinava la fine della guerra, e più
mancavano provviste anche per gli stessi tedeschi.
E poi la Convenzione
di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra quasi sempre
violata perfino bloccando l'invio e il ricevimento della
corrispondenza e dei pacchi dalle famiglie.
Infine le condizioni
logistiche materiali.
Si trattava di mano
d'opera forzata impiegata per lo più in grandi fabbriche che erano
situate non in aperta campagna ma nelle grandi città, sulle quali
piovevano le bombe dei bombardamenti a tappeto decisi dagli Alleati.
Le condizioni di
vita erano quindi parecchio vicine a quelle dei lager.
Privilegi per gli
Italiani, in quanto rappresentati in parte da un governo
collaborazionista?
Si è già detto che
non ce ne sono proprio stati.
Secondo gli storici
c'è stato nella classifica dell'orrore un piccolo vantaggio di
trattamento per gli italiani nel senso che i russi e gli altri
militari dei paesi dell'Est, a causa dell'odio ideologico per il
comunismo venivano trattati come cani.
Stiamo parlando di
una prigionia- lavoro forzato durata mediamente un anno e mezzo e in
quelle condizioni non è stato uno scherzo.
Senza contare che il
rientro a casa per i fortunati sopravvissuti, come è capitato a
tutti i prigionieri di guerra è stato procrastinato a volte anche di
molto dopo la fine della guerra sia per ragioni politiche e
strategiche volute dagli Alleati, sia per le difficoltà materiali di
fare spostare un numero enorme di persone in un paese che non aveva
più infrastrutture funzionanti.
Questi militari-
prigionieri di guerra ,hanno acquisito di fronte alla storia meno
meriti rispetto ai coraggiosi che hanno sfidato apertamente il nazi-
fascismo?
Va bene, anche se
fare le classifiche delle sofferenze e delle vittime non appare cosa
né sensata, né moralmente accettabile, ma almeno che questi
italiani ,che hanno fatto il loro dovere con dignità vengano
ricordati e onorati, come si meritano.