venerdì 24 marzo 2017

Contrattaccare il terrorismo islamico si può



Westminster bridge è un luogo simbolico del nostro Occidente come il Colosseo o la Torre Eiffel e qui ha colpito ancora la Jihad.
Fra le tante cose nuove che siamo costretti ad apprendere ed apprendere in fretta al giorno d’oggi c’è anche questo concetto del tutto inedito della “guerra asimmetrica”.

Il terrorismo islamico è oggi uno degli esempi più eclatanti di “guerra asimmetrica”, fenomeno del tutto inedito
Perchè questo “modus operandi” del terrorismo islamico è proprio una tipica manifestazione di guerra asimmetrica.
Dagli esordi dell’umanità alle guerre mondiali si schieravano le armate contrapposte sul campo e vinceva il più forte.
Se schierassimo le nostre armate, come stiamo facendo del resto se pure con molto ritardo , con mille incoerenze,e per interposta persona, contro il presunto califfato di Al Bagdadi, il poveretto non avrebbe scampo, ma non siamo più ai tempi di Napoleone e il poveretto non è per niente uno sprovveduto.
Le sue idee vengono dal più oscuro dei Medioevi, ma lui e i suoi uomini sanno servirsi con maestria delle moderne tecnologie ed usando quelle, l’aspirante califfo ha appreso bene il nuovo concetto di guerra asimmetrica, nella quale si può anche essere militarmente schiacciati dalla strabocchevole superiorità degli avversari, ma essere ugualmente in grado di fare grossi danni all’ avversario.
Non vorrei apparire cinico, ma cosa sono i danni provocati dai Jihadisti a confronto dei danni provocati dai bombardamenti a tappeto dagli alleati in Germania e in Italia durante al seconda guerra mondiale?

Non conta tanto il danno tecnico-militare che provoca un’azione terroristica quanto l’impatto psicologico che provocano quei fatti nella nostra percezione
Tecnicamente ben poca cosa, ma il nostro Al Bagdadi ha capito la sottile filosofia che sta dietro al concetto di “guerra asimmetrica” e sa che non conta il danno che fa “tecnicamente” una delle sue azioni terroristiche, ma che conta enormemente di più la percezione che la gente, cioè noi, ricaviamo da quelle azioni, cioè la sensazione di insicurezza, di paura ed al limite la sensazione di essere di fronte a un fenomeno ineluttabile e incontrollabile, qualsiasi sia la nostra capacità di contrasto.
Purtroppo noi oggi viviamo in un mondo che ha “mitizzato” alcune della parole chiave che fanno parte dei nostri valori condivisi, stravolgendoli e dogmatizzandoli fino a rischiare di ritorceli contro noi stessi.

Facciamo attenzione a non impiccarci con alcuni dei nostri stessi valori irrinunciabili se li prendiamo fondamentalisticamente come dogmi e non li valutiamo invece criticamente
Si è così formato nostro malgrado un pensiero dominante falsamente liberale che è decaduto a zuccheroso “buonismo” non più appoggiato ad alcuna seria riflessione intellettuale.
Pensate alle prediche della Boldrini a favore dell’accoglienza dei migranti “a prescindere” da qualsiasi considerazione pratica e realistica sui numeri, e capirete a cosa mi riferisco.
Pensate alle esternazioni non troppo ponderate dello stesso Papa Francesco per cercare di convincerci che negli atti di terrorismo islamico non c’entrano nulla le guerre di religione, perché non c’entrerebbe nulla la religione, contro ogni evidenza, e capirete cosa voglio dire.
Pensate alla cocciutaggine con la quale gli intellettuali “liberal” , ma non solo, d’oltre Oceano criticano come barbare e primitive le prime mosse di Trump, che tenta di arginare in modo concreto, anche se un po’ rude , l’ingresso negli Usa di potenziali terroristi islamici, invocando il sacro principio della “libertà religiosa”, diritto umano inviolabile, ma che come ogni cosa di questo mondo deve essere soggetto al vaglio critico e razionale sulle sue eventuali derive se predica comportamenti sanguinari e totalitari.
Cioè, voglio dire, Al Bagdadi probabilmente non è affatto una mente geniale, ma certo ha capito quali sono le nostre debolezze intellettuali e comportamentali e ci sguazza dentro.
Ed allora bastano pochi individui senza né arte né parte, persone che una volta si definivano dei “falliti” nella vita, per offrire loro gli allori di una presunta gloriosa opportunità di riscatto immolandoli in un momento da leoni.
L’individuo che con due coltelli e un suv ha seminato il terrore sul ponte di Westminster, facendo 5 morti, lui compreso, e una ventina di feriti è in modo addirittura iconico un esponente di queste categoria di falliti in cerca di un riscatto.
E di questi presunti “soldati” Al Bagdadi o chiunque altro ne può trovare quanti ne vuole, perché questi tipi umani non hanno bisogno di alcun costoso addestramento militare, hanno solo bisogno di un percorso di indottrinamento in dottrine religiose malsane, ma pur sempre religiose, checchè ne dica il Papa, o i pochi imam occidentalizzati.
La vecchia retorica fascista sulla “bella morte” ,non era poi un vecchio arnese folkloristico alla Farinacci, ma si fondava su alcuni fondamenti dell’animo umano, che nascondono le mille sfaccettature del più nobile antico “mito di Ulisse”.
Un momento da eroi, riduce la durata della vita, ma varrebbe di più di una lunga vita da conigli.
Questi luciferini teorici del terrore, come Al Bagdadi, nelle loro lunghe meditazioni formative, quando si sono trovati per anni ospiti delle galere nostre o dei loro confratelli musulmani non si può negare che abbiano imparato un sacco di cose, a volte non abbastanza assimilate da ben più rispettabili accademici.

Nella guerra asimmetrica nella quale i Jihadisti ci hanno ingaggiato l’aspetto culturale ha più peso di quello militare
La completa vittoria nella “guerra asimmetrica” nella quale ci hanno ingaggiato, volenti o nolenti i Jihadisti, si avvicina quando i nostri politici o comunque le nostre figure istituzionali si lasciano andare alla affermazione della resa, ammantata da presunte analisi geopolitiche,quando affermano con sicumera che il flusso migratorio, abnorme nei numeri che oggi subiamo, sarebbe un fenomeno assolutamente non contrastabile, ineluttabile e quindi non governabile.
Ma certo che la stragrande maggioranza dei poveracci che rischiano le loro vite per migrare in Europa non sono minimamente terroristi, ma la vicina fine della guerra in Iraq e in Siria metterà in mobilità migliaia di Jihadisti ben addestrati e ancora meglio indottrinati, che troveranno facilissimo intrufolarsi in quegli enormi flussi.
Ecco ,se fosse vero che quei flussi sono ingovernabili, allora vorrebbe dire che gli Al Bagdadi hanno già vinto, perché lo ripeto, la guerra asimmetrica in corso fra Jihadisti e resto del mondo non ha solo un aspetto militare, nel quale è inevitabile che vinciamo noi, ma ha anche e sopratutto un aspetto culturale il quale è paradossale ma rappresenta il campo nel quale stiamo rivelando debolezze impreviste.
Rischiamo di strangolarci usando in modo improprio alcuni dei valori più sacri del nostro Olimpo ideologico, se li usiamo in modo fondamentalista, dogmatico e non critico.
Questo lo avevano già capito gli Al Banna (ideologo dei Fratelli Musulmani) i Komeini (teorico e eroe della rivoluzione iraniana shiita) il wahabita Osama bin Laden e compagni di Al Quaida ed oggi Al Bagdadi e compagni dell’Isis.

Il “caso Birmingam” spiega tante cose
Siamo noi che dobbiamo ancora capire chi abbiamo di fronte, con quali idee e con quale strategia.
Forse ci può aiutare e molto, andare a veder quello che si sta profilando come il terreno di cultura che ha prodotto l’individuo che ha eseguito l’atto terroristico sul Westminster bridge.
Bisogna andare a Birmingham, seconda città per dimensione del Regno Unito, che ospita non a caso la più grande comunità musulmana d’Inghilterra, di origini prevalentemente asiatica.
Si parla di ben 250.000 persone su un 1.100.000 abitanti.
Ebbene proprio a Birmingham, città di quel terrorista, è avvenuto pochi anni fa un episodio poco noto, ma assolutamente di prima grandezza per capire in cosa si concretizza la strategia a lungo termine dei Jihadisti, in Occidente.
Si tratta del tentato “golpe culturale” ,denominato “cavallo di Troia”, con il quale le componenti più fondamentaliste di quella comunità hanno tentato di infiltrare le scuole di quella regione con insegnanti musulmani di orientamento wahabita.
E’ incredibilmente la stessa filosofia, che era stata genialmente esposta dallo scrittore francese Michel Houlleebecq nel suo romanzo “sottomissione” del 2015, nel quale si ipotizzava l’arrivo al potere in Francia di un partito islamico, che avrebbe subdolamente usato della sua vittoria per infiltrare il sistema educativo francese con insegnati fondamentalisti, che in pochi anni avrebbero indottrinato tutta una generazione all’islam radicale.
Houlleebecq aveva capito che la strategia dei Jihadisti era basata non tanto sulle armi ma sulla cultura.
L’operazione che i Jihadsti avevano architettato a Birmingham non era fantasia da romanzo era pura realtà, che regolarmente non era stata né capita né pubblicizzata per quello che valeva.
In compenso, va detto, i servizi inglesi, dimostrandosi all’altezza della loro fama, hanno contrattaccato usando la stessa tattica del “nemico”,assumendo un numero pare molto elevato di cittadini inglesi di religione islamica e di origine per lo più pakistana per infiltrarli in quella società inserendoli nelle professioni più comuni, sotto copertura.
E’ quindi urgente che da noi si capisca si rifletta e si studi la valenza dirompente di questa strategia Jihadista.

O ci decidiamo a combattere frontalmente il wahabismo e i suoi finanziatori o è come se ci fossimo già arresi
Ed altrettanto urgente è che ci si svegli da quella posizione di “bella addormentata” che coglie tutti i nostri politici e uomini di affari quando si lasciano inebetire dai mucchi di dollari che la medioevale monarchia sudita e i non meno medioevali sceicchi del Golfo ci sbattono in faccia per fare ricchi investimenti da noi, senza che si rifletta minimamente sul fatto che quelle mani sono sporche dal fiume di denaro che quelle stesse persone hanno versato a fiumi per diffondere l’ideologia wahabita, che è alla base culturalmente del fenomeno Jihadista.
Il fenomeno Jihadista non ha solo un aspetto militare, che è di relativamente facile soluzione, ma ha una base culturale che è più subdola e pericolosa, ed è su questa che non si è ancora contrattaccato.
Ed anche la fase militare rischia di diventare più un danno che un rimedio se non ci si chiarisce per quale assetto politico ci si muove militarmente.
Vale a dire quale assetto politico si prevede in Iraq dopo la probabile presa di Mossul e quale assetto politico si prevede in Siria dopo la probabile caduta di Raqqa?
Uno dei più lucidi esperti di geopolitica come Lucio Caracciolo, direttore di Limes ha scandalizzato
i media quando ha affermato che anche con i Jihadisti a un certo momento si dovrà pure trattare, proprio perché realisticamente pensava che le azioni militari non servirebbero a nulla se non si ha prima chiaro per esempio come si pensa di tutelare in Iraq la popolazione sunnita, oggi oppressa dalla maggioranza sciita e che per questa ragione ha di fatto simpatizzato fino ad ora con i Jihadisti.
E quale assetto si intende dare a una Siria ora di fatto divisa in diverse zone di influenza, quando si saranno cacciati i Jihadisti da Raqqa.




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