venerdì 3 novembre 2017

L’uomo e l’”al di là”. E’ possibile fare qualche ipotesi plausibile in questo periodo di santi, morti halloween?





Giornali e telegiornali ci hanno informati che Papa Francesco il 24 ottobre scorso ha affrontato pubblicamente il discorso su come potrebbe essere il Paradiso, argomento che dovrebbe essere quello principe per la chiesa cattolica ,che da sempre dice che quello che succede e si fa nell’al di qui, ha sostanzialmente valore solo per quello che ci fa perdere o guadagnare nell’al di là, quando verrà il momento di andarci.
Argomento che dovrebbe essere principe si diceva, ma che non lo è affatto perché su questa questione la chiesa medesima è sempre stata estremamente prudente al limite della reticenza.
Come è possibile? Si potrebbe pensare.
La ragione di tale ritegno è semplicissima, ma allo stesso tempo sconcertante e consiste nel fatto, citato proprio dal Papa nella catechesi del 24 scorso, che

il Nuovo Testamento parla del Paradiso incredibilmente una volta sola e in modo indiretto, quando Gesù dice al buon ladrone : “in verità ti dico tu oggi sarai con me in Paradiso” (Luca 23-48).
E per di più Matteo,Marco e Giovanni non fanno cenno di questo passo nei loro Vangeli.
Inutile dire che questo vuoto nella Scrittura costituisce un punto fra i più deboli dell’intiera predicazione cristiana, tutta orientata sull’al di là.
E’ quindi una inspiegabile contraddizione il fatto che la chiesa quel luogo dell’al di là non sa come descriverlo, tanto che molti teologi, oggi ne parlano non più come di un luogo fisico, ma come di uno “status” esistenziale, un modo di essere.
Il Papa, lo abbiamo detto, ne ha parlato come “la meta della nostra speranza” e “Gesù lo promette a un povero diavolo che, sul legno della croce, gli rivolge la più umile delle richieste: ricordati di me”.

Per conquistare il Paradiso basta un umile pentimento per i nostri peccati, commenta il Papa, che poi entra direttamente nell’argomento : “Che cos'è il Paradiso? “Non è un luogo da favola e nemmeno un giardino incantato” Il Paradiso è l’abbraccio con Dio amore infinito e ci entriamo grazie a Gesù” e poi soggiunge “ Gesù ci vuole portare nel posto più bello che esiste perché nulla vada perduto di ciò che aveva già redento”. “Se crediamo in questo, conclude papa Francesco, possiamo pensare di partire da questo mondo con serenità e fiducia. “In quell’istante finalmente non avremo più bisogno di nulla, non piangeremo più inutilmente perché tutto è passato, anche le profezie, anche la conoscenza. Ma l’Amore no, quello rimane perché la Carità non avrà mai fine”.
Belle parole, immaginifiche, che come visione teologico-filosofica sposano la tesi della quale si diceva sopra del non luogo fisico, ma piuttosto dello “stato dello spirito”.

La cosa singolare è che questo spinoso argomento lo stesso papa Francesco lo aveva già trattato in altre occasioni e in particolare nei colloqui con Eugenio Scalfari, ultranovantenne intellettuale ateo - agnostico, fondatore di “Repubblica”.
Con Scalfari papa Francesco aveva ribadito il concetto che essendo tutto basato sulla misericordia di dio, in Paradiso ci andrebbero quasi tutti, purché pentiti o almeno consapevoli delle proprie mancanze, mentre coloro che nemmeno riconoscono le male azioni compiute come tali (il grande e compianto Card. Martini usava dire “ coloro che non pensano”) andrebbero incontro alla fine che probabilmente desideravano, cioè semplicemente ad una fine vera, nel senso che la loro anima si dissolverebbe nel nulla (quindi niente inferno).
Naturalmente i soliti “cattoliconi” esponenti del tradizionalismo cattolico, auto-nominatisi difensori della fede, anche contro le presunte deviazioni dottrinali del papa, si sono stracciate le vesti : “ma come ! Il papa parla di argomenti così delicati e basilari con un laico e per di più non credente?
La solita ignoranza, nel senso di non conoscenza, del tradizionalismo cattolico.
Come non ricordare che il papa più intellettualmente preparato del secolo scorso, Paolo VI amava passare lunghe ore confrontandosi in discussioni con l’amico Jean Guitton, filosofo neo-tomista, guardando dai palazzi apostolici il favoloso panorama romano, che finiva nei colli cantati da Ovidio?
O l’accademico Papa Ratzinger ,che era uso rivedersi periodicamente con quelli che considerava i suoi allievi più vicini (quasi tutti laici) per intrattenere con loro lunghe discussioni.
O Papa Woytila che per tutta la vita, a costo di alimentare anche il più maligno dei “gossip” vaticani, ha continuato a mantenere per tutti gli anni del suo pontificato un profondo sodalizio intellettuale con la sua amica di gioventù, la neuropsichiatra infantile Wanda Poltawska, ospitandola per lunghi periodi addirittura nel sacro palazzo.
E così di seguito, forse i tradizionalisti cattolici rimpiangono i tempi dei Pii XII che si auto-relegavano in una torre d’avorio, tempi finiti da un bel pezzo.

Fatto sta che il bisogno perfino dei papi di confidarsi privatamente su argomenti di fede, anzi su argomenti principe di fede come quello dell’al di là, con amici sicuri, documentano il fatto che per nessuno, compresi i papi esistono in realtà verità così evidenti da non aver bisogno di essere discusse e di sentirne in merito il parere degli amici, con buona pace degli ultra-tradizionalisti, convinti di essere gli unici ad avere la verità in tasca.
Ma torniamo a noi.

E’ bello ma obiettivamente non è molto quello che il papa ci ha detto in proposito dell’”al di là”, anche se ,quando si tratta di cose provenienti dai sacri palazzi, occorre avere l’accortezza di “leggere fra le righe” nel senso che spesso quello che non viene detto, può essere più importante di quello che viene detto esplicitamente.
Mi ha fatto pensare alla necessità di adottare questo procedimento la piccata critica alla predicazione papale della quale stiamo parlando, fatta di recente con molta cautela e rispetto formale dall’ex prefetto del sant’uffizio, Card Mueller, recentemente giubilato, che sembrava dire nella sostanza (non esplicitata) : comodo per il papa accattivarsi folle plaudenti, battendo continuamente sul solo tasto della misericordia di dio, ma il resto della dottrina, sarebbe suo dovere ribadirlo, invece che saltarlo.
Non posso dargli torto nella sostanza, se cerco di ragionare seguendo il punto vista dei tradizionalisti e degli apparati clericali, che appaiono preoccupati più della sorte della loro “bottega”, che della felicità dei fedeli, perché

dire quello che il papa ha detto a Scalfari e nella catechesi del 24 scorso significa non dire appunto, per esempio, che paradiso, inferno, purgatorio e peggio ancora limbo sono concetti finiti nella più polverosa delle soffitte e destinati a rimanerci.
E poi, non voglio essere eccessivo nel lanciarmi in deduzioni, ma se in paradiso ci vanno tutti, come in pratica ha detto il papa, fidando nella misericordia di dio, purchè abbiano un minimo di cervello e di coscienza, che ce ne facciamo dei sacramenti? E delle liturgie?
Alla fin fine i preti perderebbero il lavoro.
In questa prospettiva infatti il papa riempirà sempre più piazze, ma i presbiteri rimarranno sempre più senza lavoro e chi pensa sopratutto a questo si preoccupa con qualche fondamento.
Non se ne preoccupano affatto invece i “preti da strada” perché il loro lavoro sta aumentando, non diminuendo, ma qui proprio sta il discrimine, che probabilmente papa Francesco non riuscirà ad evidenziare prendendo il toro per le corna della curia, per non essere incornato dalla forza enorme degli apparati autoreferenziali di tutti quelli che pensano al loro servizio come impiego che non rende poi così poco, se si pensa anche solo alle entrate da 8 per mille in Italia, molto di più in Germania, eccetera.
Se poi pensiamo al valore venale dei beni immobili ecclesiastici…….dovremmo beatificare Napoleone che li aveva espropriati a favore dello stato, tanto poi di fatto sono tornati dove stavano prima.

Tutto questo per dire che il “poco” che ha espresso il papa non è poi così poco.
Poco però è e rimane dal punti di vista di una presunta spiegazione razionale dell’al di là.
E infatti chiediamocelo : pur essendo questo “poco” significativamente molto più consistente per l’umanità rispetto al puro invito alla acritica e irrazionale sottomissione al “mistero” miracolistico e sacrale dei tempi di Pio XII, basta per soddisfare la sete di conoscenza dell’uomo moderno?
Temo di no.
Papa Francesco tradisce continuamente una autentica ansia di condividere la condizione umana e l’anelito a conseguire per quanto possibile la felicità della gente e questo ovviamente va benissimo e ci rende caro questo personaggio straordinario.
Personaggio che però forse per una sua insufficiente preparazione o interesse specifico in materia di scienza sembra non comprendere quanto l’uomo moderno si sia impossessato oramai forse inconsciamente ma decisamente dei fondamentali del pensiero scientifico.

L’uomo moderno ormai ha addestrato il suo cervello a richiedere conoscenza e la “conoscenza” è in una posizione di insuperabile contrasto con la “fede” che quindi non può in alcun modo essere considerata nel mondo moderno come un merito o una virtù, ma piuttosto come una superstizione, un pregiudizio, perché non è in grado di superare la minima verifica, affidata alla critica razionale.
La fede per definizione è un’operazione di “wishfull thinking” che wikipedia traduce come : pensiero illusorio, pio desiderio, pensiero desideroso.
Chi crede per fede, crede non perché ha elaborato e ottenuto una verifica razionale, dimostrabile almeno sul piano logico, a favore delle sue credenze, ma crede solo perché “vuole” credere, facendo in qualche modo violenza alla sua sete di conoscenza di interpretazioni della realtà che siano dimostrabili da qualche evidenza.
E qui ci si arresta, purtroppo.

Il pensiero scientifico sulla base delle moderne acquisizioni non può riconoscere l’esistenza di un “al di là” ,perché non c’è allo stato delle conoscenze alcuna evidenza a favore, ed al contrario, tutte le evidenze sono a favore del no.
Per il pensiero scientifico non esiste allo stato delle conoscenze alcuna possibilità di riconoscere un’esistenza autonoma a quelle che noi intendiamo come “realtà spirituali” : pensiero, sentimenti eccetera.
Queste realtà esistono con tutta evidenza, e in un certa misura la ricerca scientifica nelle neuroscienze oggi è vicina a poter riscontrare una loro presenza empirica, attraverso l’uso di macchine sempre più sofisticate che sono in grado di evidenziare le operazioni che sta compiendo in un certo momento il nostro cervello, compreso quelle che definiamo pensiero ed espressione di sentimenti.
Si sta arrivando in qualche modo a “misurare “ il pensiero e i sentimenti.
Questo evidentemente è un bene perché consentirà di affrontare per la prima volta la cura di malattie prima ritenute non trattabili empiricamente, come i disturbi mentali, quelli che una volta erano definiti “pazzia”.

Ma nello stesso tempo questi progressi delle neuroscienze, sembrano sottolineare la dipendenza di pensiero-sentimenti dall’hardware che li produce, l’organo cervello, estremamente complesso,ma sempre più studiato e conosciuto.
Mi pare che si parli di qualcosa come formato da 100 miliardi di neuroni, che per di più non sono tanto importanti di per sé e per il fatto che sono un numero enorme, ma per il modo con il quale questi neuroni formano le famose sinapsi, cioè i collegamenti fra di loro.
Uno scienziato che parla in quanto scienziato, può anche essere credente, queste sono scelte personali,che ognuno fa come meglio ritiene, ma non potrà mai dire , sulla base dello stato delle cose attuale, che ha trovato l’evidenza di una esistenza autonoma dello “spirito”, una volta che è perito l’hardware cervello, che lo ha prodotto.
Questo è un dato di fatto che sarebbe sciocco ignorare.

Purtroppo ! E dico purtroppo perché personalmente pur essendo agnostico o meglio “beliver but non denominational” cioè credente ma non etichettabile in nessuna delle denominazioni religiose, sono fra coloro che non si ritengono assolutamente soddisfatti da una simile constatazione negativa.
Mi tocca riconoscerla sul piano razionale, perché l’evidenza è quella che è, ma continuo a chiedermi se non c’è una qualche ipotesi razionalmente plausibile che consenta di pensare ad una esistenza autonoma di pensiero e sentimenti, cioè di quello che la filosofia chiama spirito e la teologia chiama anima.
Molti scienziati pur consapevoli delle risposte delle loro discipline in questa materia hanno manifestato interesse e sensibilità nei riguardi della questione della quale stiamo parlando perché cruciale per definire la condizione umana.

E’ per esempio di estremo interesse andare a leggere i passi nei quali Darwin affronta l’argomento religione, quello stesso Darwin, che obiettivamente ha dato il colpo di grazia a tutte le mitologie religiose, era anche una persona che soffriva nel suo animo a dover riconoscere le conseguenze che avrebbero avute le sue scoperte, non fosse altro per il grande affetto che nutriva verso la moglie che non solo era credente ma che praticava una fede molto tradizionalista, lontanissima dallo spirito critico.

Albert Einstein ha ribadito più volte in modo esplicito la sua sensibilità e il suo interesse nei confronti della religione.
Bisogna intendersi però sul significato delle parole perché se Einstein rivendicava il fatto di essere credente, probabilmente questo termine per lui aveva il medesimo significato di “pensante” che troviamo nelle meditazioni del Card.Martini, come si era accennato sopra.
Il dio di Einstein è lecito trovarlo nella enunciazione filosofica di Spinoza, quel “deus sive natura” e infatti di certo era concepito come “non personale” e come collegato col cosmo, coll’universo.
Veronesi altro scienziato dotato di una sensibilità aperta a ragionare sulle ipotesi religiose diceva che l’unica forma di immortalità nell’uomo risiede nella trasmissione ai discendenti del suo patrimonio genetico e di quello che ha fatto in vita.

Insomma nel pensiero in proposito al quesito sull’”al di la” da parte degli scienziati che hanno manifestato interesse al problema, si riscontra regolarmente l’intuizione a un legame con la natura che fa pensare che se esiste un divino questo deve essere connesso con la natura stessa.
C’è un filone di pensiero che si snoda da sempre su questa strada e che parte dalla constatazione che l’universo è estremamente complesso, ma è indiscutibilmente leggibile medianti costanti matematiche e fisiche che sono interpretbili dall’uomo, che quindi ha la facoltà per svilupparne al conoscenza.

Dio è la matematica?
Per certi aspetti c’è qualcosa di razionale in questa apparentemente strana affermazione.
Affermazione condivisa filosoficamente da molti scienziati come ipotesi di spiegazione della condizione umana, che ha delle conseguenze abbastanza drastiche perché taglia fuori tutte le mitologie, le narrazioni sulle quali si basano le scritture e le dottrine di tutte le religioni.
Forse sono stati troppo sbrigativi i positivisti e gli illuministi che ritenevano le religioni frutto di pregiudizi e ignoranza che sarebbero scomparse con il diffondersi dell’istruzione.
Molte belle anime ripetono in modo acritico uno degli argomenti ritenuti forti dagli apparati clericali, che affermano : vedete la nostra chiesa ha resistito per duemila anni e questa è la prova della sua forza.
Peccato che si dimentichino di aggiungere che la forza delle chiese non è stata basata nei secoli sulla obiettiva capacità di convincere razionalmente la gente di quanto andavano predicando, ma proprio sulla forza bruta del potere laico che ha da sempre usato le religioni per legittimare il loro potere e puntellarsi.
E quindi nessuno poteva permettersi di non credere, bella forza!
Ho capito perché i preti ,anche senza leggerlo, odiano e consigliano di non leggere Dan Brawn, leggendo l’ intervista che ha fatto di prammatica per il lancio del suo nuovo romanzo “Origin” in Italia, quando lo stesso Brawn afferma candidamente di ritenere che i miti religiosi (cristiano, musulmano, buddista, induista,confuciano, shintoista eccetera) abbiano i giorni contati, cioè che in un futuro probabilmente anche prossimo non avranno più alcun credito.

Temo di essere portato a condividere la profezia di Dan Brawn anche perché sul piano storico mi sono convinto che le religioni tradizionali abbiano dato all’umanità più problemi e guai che soluzioni di problemi.
Ma questa è altra cosa rispetto all’ipotetico possibile riconoscimento di un qualche modo di potere pensare a una esistenza autonoma di pensiero e sentimenti anche quando il cervello perisce con il resto del nostro corpo.
Naturalmente non sono tanto sciocco da dire ai miei lettori che dopo tanti anni di meditazione ho formulato una mia ipotesi sul problema dei problemi.
Non ho scoperto l’acqua calda, sono solo uno dei tantissimi che da sempre pensano e ricercano possibili risposte senza andare oltre a quegli orientamenti che si sono citati sopra.

In questi giorni mi sono imbattuto per caso in una lirica del poeta senegalese di lingua francese,Birago Diop, che se pure con linguaggio appunto poetico, tratta il nostro tema con una forza espressiva veramente notevole.
La ripropongo ai miei lettori che potranno trovarla a questo Link in italiano ( http://www.la-poesia.it/poesie-africane/birago-diop-i-morti-non-sono-morti-5090-1.html) oppure (https://www.youtube.com/watch?v=pDZhi5h2Gc4) in originale recitato dall’autore.
C’è tutta la forza ancestrale della sua Africa, che è non dimentichiamolo, come risulta scientificamente dimostrato, la nostra comune patria di origine come Homo sapiens.
In francese il titolo è “le souffle des ancetres”, la manifestazione dello spirito degli antenati. Bellissimo il modo di rappresentare le realtà spirituali in una perenne natura, le credenze ancestrali che si combinano con il filone di pensiero di alcuni dei più grandi scienziati che si sono sopra citati, senza bisogno di tirare in ballo le narrazioni mitiche delle varie religioni.




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