venerdì 26 gennaio 2018

Per la giornata della Memoria il Presidente Mattarella ha tenuto un discorso sul fascismo, alto e nobile, ma sinceramente non condivido alcune considerazioni storiche ,sul fascismo come male assoluto, che mi sembrano parziali e perfino fuorvianti





Che da un politico italiano, se pure nel ruolo di supremo garante delle istituzioni potesse venire un tipo di discorso così alto e nobile nelle intenzioni è cosa di una tale rarità che veramente stupisce, perché, purtroppo per noi,non ne siamo proprio abituati.
Invito pertanto i lettori a leggerlo nella sua integrità, perché lo merita:
Su questo blog della giornata della Memoria se ne è parlato più volte ma sopratutto nel post del 27 gennaio 2015, al quale rimando i lettori che volessero approfondire l’argomento.
Non mi sembra il caso quindi di ripetere i perché che inducono a celebrare ancora quelle memorie, e come sarebbe opportuno celebrarle e come non celebrarle, perché esprimano ancora tutta la loro carica educativa e di arricchimento dello spirito civico.
Solo che a scrivere spirito civico mi tremavano un po’ le dita, perché questa espressione in Italia ed oggi in particolare sembra da noi cosa di Marte, ma non della nostra esperienza quotidiana.
Siamo a meno di un mese e mezzo dall’appuntamento con la cabina elettorale, questa considerazione ci sia da monito quando dovremo scrivere qualcosa sulla scheda, non prendiamo la cosa alla leggera, perché se invece di pensare alle solite frignacce per schieramento, abitudine o paure varie, ci limitassimo a scegliere persone integre e capaci di cose alte, come dimostra di essere Sergio Mattarella, allora sì che potremmo dire di avere fatto il nostro dovere.
Torniamo al discorso presidenziale.
I media in coro, essendo costretti a sintetizzare hanno riportato quasi esclusivamente le affermazioni che costituiscono il cuore di quel discorso e in particolare queste frasi :

Sorprende sentir dire ancora oggi, da qualche parte, che il Fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori : le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione. Perchè razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta e inevitabile conseguenza”.
Chi ha studiato storia alle superiori con un professore particolarmente bravo, od ancor meglio nei corsi universitari, non potrà non cogliere in queste frasi così esplicite il fatto che il Presidente, con questo discorso sceglie di fare sua una delle due correnti storiografiche principali,che da sempre dividono appunto la storiografia sul fascismo e che sono queste :

-quella che considera il fascismo medesimo come una “rivoluzione” e cioè una discontinuità con la storia patria precedente e quella risorgimentale in particolare, come parentesi storica, come malattia morale prodotta dalle conseguenze della prima guerra mondiale (Benedetto Croce , Luigi Salvatorelli)

-e quella invece che considera il fascismo come una continuità con la storia precedente o anzi come “rivelazione” di quello che sarebbe stato lo spirito italico precedente, dell’arretratezza italiana e quindi come autobiografia della nazione. ( Piero Gobetti)

-Antonio Gramsci e con lui la storiografia marxista ha invece interpretato il fascismo come suprema reazione armata del capitalismo contro il proletariato, risposta borghese alla potenziale rivoluzione proletaria, non condividendo né la prima né la seconda tesi.

-Una ulteriore tesi è quella sostenuta da Ernest Nolte che intende il fascismo ed il nazionalsocialismo sopratutto come una reazione alla rivoluzione russa comunista;

-Complessa è la tesi storiografica del nostro maggiore storico del fascismo Renzo DeFelice, che semplicisticamente viene spesso accostato alla tesi del fascismo come rivoluzione, per il fatto che accentua i caratteri specifici del fascismo italiano, non assimilabile col nazional-socialismo.
Il fascismo sarebbe rivoluzionario nel senso che aveva la pretesa di costruire un “uomo nuovo”,in continuità con l’illuminismo, appoggiandosi su un ceto medio per niente in crisi ed anzi voglioso di essere protagonista di progresso, il fascismo quindi non era reazionario (ritorno al passato) come era il nazional-socialismo, DeFelice sostiene anche la tesi che il fasismo almeno nel primo decennio aveva ottenuto un tale ampio consenso da non avere bisogno della repressone degli oppositori.

Mi sono dilungato in una se pure brevissima sintesi sulle diverse posizioni della storiografia sul fascismo per chiarire il fatto che il fascismo è stato un fenomeno molto complesso, cioè è stato tante cose insieme.
Il Presidente Mattarella (o meglio lo staff che gli ha preparato il discorso) ha sposato in modo netto l’impostazione della prima corrente storiografica e questa è la ragione per la quale il suo discorso per quanto alto e nobile non mi sembra accettabile nelle tesi storiche che sostiene.

La storiografia più recente e quindi dopo DeFelice si guarda bene dall’affrontare il problema con l’accetta e quindi non si ritiene affatto tenuta a scegliere una sola delle tesi sopra elencate, ritenendo che nessuna di esse definisca in modo esaustivo un fenomeno complesso come il fascismo.

Ne è la prova il recentissimo testo di Guido Melis sullo stato fascista che è di particolare interesse proprio perché sottolinea non solo la complessità, ma le contraddizioni del fenomeno fascista.
Elenco alcune delle concusioni del ponderoso lavoro di Melis :
-il fascismo non ha inventato ma ha ereditato del clima del dopo guerra (I guerra mondiale) il culto del capo e la tendenza a obbedire a un capo, secondo Melis sia per “spirito di trincea”, sia in seguito alla nuova organizzazione sociale appena formatesi a seguito dell’industrializzazione;

-si è trovato ad operare con un apparato statale vecchio di stampo ottocentesco e questo lo ha spinto
a presentarsi come rivoluzionario o comunque portatore di riforme, molte delle quali non riuscirà ad attuare ma riuscirà pure qualche grossa novità ad imporla e Melis cita la nuovissima figura dello “stato imprenditore”;

-il regime totalitario non è mai stato tecnicamente totalitario ad esempio come quello nazional-socialista tedesco se non altro perché ci è sempre stata una “diarchia” la chiama Melis con il potere della Corona;
-ma non basta secondo Melis il regime è sempre stato molto meno monolitico e molto più pluralista di quel che si crede comunemente;

-perchè? Perchè dice Melis, immagino facendo sobbalzare sulla sedia la maggioranza di quelli che parlano di fascismo per sentito dire ma che non l’hanno mai studiato seriamente, Mussolini in realtà è stato pochissimo il decisionista che si dice, ma è stato molto di più un mediatore che cerca il compromesso;

-Mussolini secondo Melis era condannato da una sua irrefrenabile tendenza al tatticismo, che lo spingeva a giocare gli uni contro gli altri ed alla fine a cercare e trovare un compromesso.
Sembra davvero un’altra storia quella delineata da Melis.
Un’altra storia che però è in linea con molte delle intuizioni portate dalle correnti storiografiche sopra velocemente riassunte.

A questo punto si capisce perché al di là dal rendere onore alle più che lodevoli intenzioni del Capo dello Stato nel pronunciare quel discorso, non si può non biasimare in parte chi nel suo staff gli ha proposto scelte storiografiche non necessarie, sommarie e francamente superate da tempo nella storiografia.

Tra l’altro non dimentichiamoci che il fascismo, in quanto storia d’Italia, si portava dietro alcune pesantissime arretratezze culturali che non erano quindi “fasciste” ma che erano lì, disgraziatamente già metabolizzate nel patrimonio culturale della gente di allora.

Citiamone doverosamente due o tre:
-l’Italia non aveva avuto la possibilità di usufruire del salto verso la “modernità” e il “pensiero critico” portati dalla Rivoluzione Francese;

ancora prima l’Italia non aveva potuto usufruire della cultura anti-autoritaria ,critica e orientata a far conto sulla responsabilità personale delle quali il Nord Europa era stato arricchito con la Riforma Protestante, che da noi non ha mai varcato le Alpi, salvo una piccola ed eroica presenza nelle poche valli Valdesi;

-l’Italia subiva il condizionamento pesante, pesantissimo sul piano dello sviluppo culturale, della presenza massiccia con totale copertura territoriale di una chiesa cattolica che era ancora ai tempi del Sillabo di Pio IX cioè dogmaticamente schierata contro i diritti umani ed i valori democratici in blocco;

-le leggi razziali è vero sono state la peggiore ignominia a carico del fascismo e di Casa Savoia, ma non si venga a dire che la segregazione e la persecuzione degli ebrei se le è inventate il fascismo.

Si dica almeno che la responsabilità storica della cultura antisemita è in gran parte a carico da sempre della chiesa cattolica, che aveva inventato i ghetti , la cultura antisemita, cioè la fola della presunta responsabilità collettiva del popolo ebraico come presunto popolo deicida.

Non è Mussolini che aveva stabilito il rito col quale il rabbino capo doveva recarsi in San Pietro nelle liturgie pasquali a porgere al Papa il deretano per ricevere un bel calcione “in espiazione”.
Se si vuole che le giornate della Memoria seminino “cultura civica”, preoccupiamoci di essere molto più precisi nel parlare di quel periodo storico.
Vogliamo che abbiano una valenza didattica per le giovani generazioni? Benissimo, ma allora preoccupiamoci che questi giovani abbiano i dati per capire.
E’ facile oggi addossare a Mussolini ed ai suoi tutte le nequizie della storia.
E’ invece considerato ancora antipatico rinfacciare alla chiesa le sue spesso enormi magagne.
Peggio ancora è considerato politicamente scorretto rinfacciare agli italiani in quanto portatori di una cultura consolidata difetti atavici ereditati dall’ottocento e oltre, che Mussolini si era trovato davanti.
Lo storico Melis, sopra citato conclude ovviamente che la “rivoluzione fascista” è fallita, ma questo non vuol dire che il fascismo storicamente non voleva un ritorno al passato, ma ha cercato di
portare avanti un cambiamento verso il progresso.
Ha fallito ed ha fatto cose inqualificabili, ma di quelle di farina del suo sacco ce n’era solo una parte.

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