L’ultimo libro di Vito Mancuso segna il definitivo e formale distacco dell’autore dal Cristianesimo e se si pensa che questo filosofo teologo è stato a suo tempo ordinato sacerdote si capisce quanto questo significhi in termini anche di coraggio personale.
Anche se bisogna aggiungere che l’abito talare l’ha vestito per ben poco tempo fino a quando ha dovuto riconoscere che dei dogmi del “depostum fidei” erano più quelli che gli apparivano privi di un minimo fondamento logico, di quelli che condivideva e ne ha tratto le dovute conseguenze.
Per sua fortuna incassando l’appoggio non solo morale di quella grande anima del suo Arcivescovo di allora, che era quel Cardinale Martini che aveva troppo stima dei soggetti pensanti, per non capire che la vivissima intelligenza di quel suo giovane prete, andava coltivata anche a costo di perdere un chierico per guadagnare un intellettuale che prometteva molto se lasciato alla sua libertà di ricerca.
Oggi si definisce post-cristiano riconoscendo con questa onesta dichiarazione l’enorme peso che l’eredità della cultura cristiana, impastata nelle nostre radici lascia a chiunque viva nei paesi occidentali e questo succede anche per chi non è mai stato sacerdote e magari non ha neanche avuto simpatia per questa categoria di persone.
Mancuso con questo libro dice in modo articolato che è ormai giunto il tempo di distinguere bene fra religione e spiritualità proprio per non rischiare di buttare via come si dice anche il bambino con l’acqua sporca.
Fuor di metafora, se le religioni sembrano non avere verosimilmente una possibilità di futuro, sarebbe una follia lasciare affondare questo nostro mondo nel nichilismo senza fare alcuno sforzo per riaffermare il primato dell’etica e della giustizia attraverso appunto il coltivare la spiritualità senza bisogno di appoggiarla ad alcun apparato delle religioni storiche.
Basterebbe appoggiarci all’altrettanto enorme eredità della filosofia classica, visto che anche lei per nostra fortuna impasta le nostre radici.
Ma opportunamente Mancuso, come altri grandi intellettuali di formazione cattolica,allarga il campo visivo verso le tradizioni religiose e culturali orientali che possono fornire altrettanti validi punti di riferimento.
Non per mettere insieme una improbabile nuova religione con elementi multicolori di tipo sincretistico, ma per lasciare alla libertà di ricerca individuale la facoltà di prendere spunti di meditazione o di riferimento anche in queste importantissime culture oltre che nella filosofia classica.
Ecco allora venire fuori i quattro maestri che sono in ordine di apparizione del libro : Socrate, Buddha, Confucio e Gesù.
Attenzione, Gesù, cioè il personaggio storico Joshua ben Jossef e non il Cristo della fede, costruito a tavolino da San Paolo e arraffato da Costantino per farne instrumentum regni con quella montagna di dogmi sopravvenuti e accumulati per secoli che col Gesù storico hanno poco a che fare.
Di fronte a tali nomi sarebbe penoso se cercassi di fare un riassuntino.
Abbiamo davanti un libro di oltre cinquecento pagine di limpido e illuminante pensiero e quindi non immiseriamone il contenuto.
Mi limiterò quindi ad accennare al particolare “taglio” col quale l’autore affronta i quattro maestri.
Mancuso ha avuto la fortuna di iniziare la sua attività accademica al fianco di due filosofi e spiriti liberi come lui del calibro di Massimo Cacciari e di Roberta de Monticelli, ma i suoi libri non sono saggi accademici e il suo successo editoriale è dovuto anche a questo.
Questo libro, pur essendo documentatissimo e dotato di una bibliografia e note di ottimo livello è scritto per essere letto dal grande pubblico.
Socrate
Ne consegue che non ci parla di Socrate come fanno i manuali di storia della filosofia di cara e simpatica memoria dei nostri studi liceali, ma per la verità riesce a dirci quello e anche qualcosa di più, e sopratutto riesce a presentaci la figura storica di quello che è riconosciuto come il padre della nostra cultura occidentale.
Figura storica nel senso di storia viva come fortunatamente la si intende oggi.
Di Socrate ci dice come era di persona bello o brutto, per intenderci era più che brutto.
Ci dice, udite udite che in vita sua aveva anche dovuto lavorare e duramente come facciamo tutti per sbarcare il lunario come non era affatto costume dei grandi intellettuali dell’antichità.
Moglie e figli.
Cosa mangiava, che attitudini sessuali aveva (singolari si direbbe).
E ovviamente sopratutto come la pensava.
Navigava alto, se no non sarebbe stato Socrate, ma amava perdutamente l’uomo e l’umanità e credeva fortemente nella capacità di noi tutti di elevarci con lo studio per arrivare alla vita più degna che si possa vivere sulla terra per gustare il massimo di felicità conseguibile.
Se c’è stato un maestro nella storia e per di più con la convinzione di avere avuto dal Cielo la missione del maestro come un comandamento, questi era lui.
Buddha
Personalmente non avevo una grande conoscenza delle filosofie orientali se non quella derivante dalla lettura di alcuni libri del Dalai Lama e quindi ho trovato di grandissimo interesse la decisione di Mancuso di inserire fra i maestri proposti alla meditazione dei suoi lettori ben due delle figure fondamentali di quell’universo culturale : Buddha e Confucio.
Il libro del quale parliamo da la precedenza al più radicale dei due.
Il forte interesse che si è manifestato negli anni recenti per il Buddismo qui in occidente sopratutto fra i giovani e gli scienziati ha colto di sorpresa i nostri preti, che hanno reagito affrettandosi a dire con tono condiscendente che il Buddismo non è nemmeno una religione, ma solo una morale e che Buddha nemmeno credeva in dio.
Giudizi sommari e superficiali per disfarsi di un concorrente con poco sforzo.
Ma Buddha merita di più perché il suo pensiero è tutta una tensione per aiutare l’umanità a non essere infelice.
Come per Socrate anche per Buddha il punto di partenza è l’uomo e la sua condizione, che lo stesso Buddha vede con preoccupata costernazione come una preda della sofferenza che cerca di avvilupparlo da tutte le parti.
Concentrato in questa ottica constata che il problema di dio è secondario e quindi lascia sospeso il giudizio sulla sua esistenza e consistenza.
Il modo di ragionare di Buddha pragmatico e filosofico, riscuote con tutta evidenza una particolare simpatia da parte dell’autore, perché chiaramente lo aiuta nella sua transazione da un cattolicesimo istituzionale dal quale sentiva l’esigenza di staccarsi per le troppe falle logiche del suo costrutto.
Lo si capisce per esempio quando dice che la presunta rivelazione cristiana, i tre sola di Lutero (sola fides ,sola gratia, sola scriptura) o il principio di autorità (dio,creazione,sacrificio di Gesù,resurrezione e divinizzazione, chiesa gerarchica e dogmi) sarebbero dei non sensi assoluti per il pensiero del Buddha basato sulla assoluta libertà di pensiero, fiducia nella capacità dell’uomo di raggiungere il superamento della sofferenza fino al Nirvana con le sue sole forze.
Non è agevole accostarsi al Buddismo per chi proviene da una diversa tradizione culturale, ma la cosa può diventare addirittura entusiasmante quando si scopre come ha fatto Mancuso che risolve i problemi fondamentali dell’uomo senza passare per rivelazioni,dogmi,scritture, istituzioni, chiese.
Il “ gnothi sauton” conosci te stesso inciso sul frontone del tempio di Delfo, divenuto il mantra del pensiero occidentale lo ritroviamo nella sostanza alla base del pensiero buddista che si situa temporalmente quasi nel medesimo periodo storico.
Ma non nel cristianesimo che arriva quattro secoli dopo e che pone il suo fulcro tutto sul dio personale e creatore che non pare avere una buona opinione della sua creatura uomo ,che infatti senza la sua grazia si perderebbe miseramente.
Non mi avventuro nelle descrizioni della ruota della vita che gira e ritorna, la ruota del Karma,che trova nello stesso asse la ruota dentata del Dharma che l’uomo può far muovere se lo vuole a spirale verso l’alto uscendo dai cicli delle rinascite per conquistare l’illuminazione del nirvana.
O nell’altro concetto chiave del buddismo della genesi interdipendente, linguaggio al quale non siamo abituati ma nel cui significato ci ritroviamo immediatamente quando ne scopriamo la incredibile vicinanza con il “panta rei” tutto scorre di Eraclito.
Buddha lascia in sospeso il problema dell’esistenza di dio perché ritiene che la eventuale risposta non servirebbe a risolvere il vero problema pratico dell’uomo e cioè il superamento della sofferenza, ma chiaramente dichiara la non esistenza dell’anima.
Questa affermazione mette in crisi uno dei capisaldi della nostra cultura occidentale e quindi è opportuno il chiarimento che ne dà Mancuso quando sostiene che Buddha coerentemente col suo pensiero nega l’esistenza di quello che si può definire io psichico,in quanto entità in costante trasformazione rivolto alla prioritaria ricerca del piacere narcisistico che è considerata la principale fonte di sofferenza per il buddismo , ma non nega certo l’esistenza di un sé capace di esercitare la sua libera volontà firmando ogni proprio atto con “l’intenzione” altro concetto chiave di questa filosofia.
L”impermanenza” di ogni sostanza non toglie il fatto che il concetto di Karma o azione si fonda sulla convinzione che ogni nostra azione o pensiero da qualche parte rimane incancellabile aumentando o diminuendo l’energia positiva che le nostre azioni buone o cattive generano secondo l’intenzione che le ha fatte nascere.
Confucio
E veniamo a Confucio, personaggio che ha ispirato la bellezza di venti secoli di impero cinese ma che in occidente non trova colpevolmente posto nei manuali di filosofia.
Mancuso dice che se Socrate rappresenta la figura del maestro e Buddha quella del medico, Confucio non può essere visto se non come il politico.
La sua è infatti una religione civile.
Come gli altri due maestri sopra citati , ma come vedremo non Gesù, Confucio nutre grande fiducia nella capacità dell’uomo di scandagliare la propria interiorità per trovare lì la capacita di migliorare e realizzare sé stesso con le sue sole forze senza ricorrere ad alcuna rivelazione né all’autorità di alcun dio esterno.
Come Buddha Confucio è un pragmatico che crede nella libertà dell’uomo e della ricerca.
Quella che la tradizione orientale chiama il Tao, la via, per Confucio sta principalmente non nella meditazione ascetica come in Buddha, ma nello studio sistematico.
Confucio per usare un termine oggi di moda dovrebbe essere ritenuto il precursore del concetto di meritocrazia.
A differenza di Buddha non crede nell’uguaglianza degli uomini,perchè studiando ne scopre le evidenti diversità e su questa base insegnava che attraverso lo studio sistematico è possibile per tutti raggiungere l’aristocrazia dello spirito, che è il suo ideale.
Confucio non è certo animato da idee liberali o progressiste.
Il suo ideale non è un futuro progressivo, ma il mito di un passato ritenuto meglio del presente perché idealizzato.
Vede l’individuo capace di realizzare sé stesso solo come parte di un insieme di una relazione proficua con gli altri.
La priorità è una società ben gestita politicamente, non l’individuo.
La buona gestione della politica la si ottiene applicandosi a interpretare i rapporti sociali seguendo quelli che Confucio chiama i “riti”.
Che non sono cerimonie liturgie laiche o semplici manifestazioni di conformismo, ma sono un usufruire della saggezza antica praticando i rapporti sociali manifestando gentilezza e uniformandosi alle norme di condotta riportate dalla tradizione.
Come ad esempio il lutto di tre anni, norme abbastanza dettagliate perfino nell’alimentazione anche se Confucio mangiava di tutto e per di più sembra che alzasse un po il gomito nel bere birra o qualcosa di simile.
Ma il suo insistere nell’osservanza dei riti è forse accostabile all’invito di Aristotele di perseguire la virtù facendone un “abitus”, cioè l’indicazione di un mezzo utile per praticare la virtù in modo sistematico.
Per la verità devo ammettere che non mi risulta del tutto chiaro dall’esposizione in proposito di Mancuso cosa Confucio intendesse per riti, forse non è agevole ricavarne il concetto dai “dialoghi” che sono l’opera dalla quale ricaviamo le basi del pensiero di Confucio.
Mancuso li commenta asserendo che Confucio era sì un politico conservatore per definizione, ma che che i riti non erano invito al conformismo e che il suo essere conservatore non riduceva la sua assoluta fiducia nelle capacità di ognuno di elevarsi alla nobiltà che intendeva a livello spirituale e quindi non per nascita o per ricchezza.
Il suo ideale era l’armonia e per un politico questa andava declinata come società ordinata, pacifica.
Gesù
Ed eccoci al quarto maestro che stante il passato personale e professionale di Mancuso non poteva che essere Gesù.
Si è accennato sopra come l’autore si pone oggi col cristianesimo, cioè nel senso di un superamento
definitivo.
Ho trovato di particolare interesse questo ultimo capitolo anche perché nessuno di noi può ignorare l’enorme influenza che il cristianesimo ha avuto sulla nostra storia e quindi più o meno direttamente a seconda della storia di ognuno anche su noi stessi.
Temo però che la lucida analisi di Mancuso sulla distinzione netta fra Gesù di Nazaret e il Cristo della chiesa risulti difficile da affrontare sia per i pregiudizi che la gran parte di noi ha assorbito dall’indottrinamento subito non solo da fanciulli, sia diciamolo pure per la pacchiana e spesso voluta ignoranza delle più elementari nozioni di teologia della quale si soffre in Italia.
Ma lo sforzo di Mancuso è ugualmente meritorio.
Mancuso ricorre a un esempio visivo efficacissimo quello della piramide rovesciata, questa è l’operazione che ha operato la chiesa nella storia.
Al vertice c’è il Gesù storico.
Il suo pensiero è semplice e lineare e lo si può elencare in pochi concetti fondamentali :
il discorso della montagna, il padre nostro, il famoso precetto detto della regola aurea (non fare gli altri quello che non vorresti che fosse fatto a te) e poco altro.
Punto fermo la sua convinzione che quello che chiamava il Regno di Dio fosse imminente e consistesse in qualcosa di assolutamente drammatico e tragico.
Chi non si fosse convertito in fretta si sarebbe dannato eternamente.
Il Gesù vero quello della storia credeva nell’inferno, perché nel suo riferimento che era l’ebraismo c’era un dio che privilegiava la giustizia all’amore e quindi non era disposto a concede più di un’altra occasione a chi si fosse comportato moralmente da reprobo.
Prevedendo come imminente la fine di questo mondo con un intervento diretto di dio che non avrebbe distrutto il creato ma avrebbe distrutto questa era del mondo per farne partire un’altra nella quale non ci sarebbe però stato posto per chi non si fosse convertito in tempo.
Il pensiero del Gesù vero era assolutamente radicale e apocalittico perché vedeva vicina la fine del mondo così come era e quindi non riteneva che avesse senso procreare o fare sesso, fare soldi, fare carriera eccetera.
Purtroppo però Gesù si sbagliava perché il mondo non sarebbe finito.
Sbagliandosi ha messo in grave difficoltà i discepoli che si ritrovarono spiazzati.
Cosa potevano fare?
Ammettere l’errore del maestro profeta e andare avanti a predicare il suo messaggio non parlando più di imminente fine del mondo o come?
Sappiamo solo che Giacomo uno dei capi più carismatici del primi cristiani proponeva di andare avanti a usare il contenuto della predicazione di Gesù per farne la base di una nuova setta nell’ambito dell’ebraismo.
Prevalse invece nell’ambito delle prime comunità la costruzione mentale di Paolo di Tarso che si inventò l’idea della divinizzazione di Gesù per farne il Cristo cominciando a costruirci sopra i primi gradoni della piramide.
Il messaggio allora non era più : attenzione sta per arrivare la fine del mondo ed è imminente l’avvento del Regno di Dio, convertitivi altrimenti per voi sarà pianto e stridor di denti,
ma diventa : la salvezza per voi è già venuta dal sacrificio dell’agnello di dio morto in croce e resuscitato per liberarvi dai vincoli del peccato originale dei vostri progenitori che fra l’altro ha fatto sì che nella condizione umana apparisse la morte, ma questa salvezza vi può venire dispensata solo se seguirete le prescrizioni della gerarchia della chiesa.
Purtroppo con l’invenzione del cristianesimo è anche cominciata la strumentalizzazione della religione che divenne ben presto con Costantino instrumentum regni e da qui la degenerazione nel corso della storia con il libro nero del cristianesimo (persecuzione dei presunti eretici, crociate,guerre di religione,inquisizione, schiavismo tollerato pedofilia,ecc.).
Così la salvezza non è più opera della libertà umana come aveva insegnato Gesù, ma diviene un atto unilaterale di dio e sulle capacità dell’uomo incombe un cupo pessimismo (nel quale sguazzerà Sant’Agostino altro costruttore della piramide).
Mancuso non mi convince sinceramente quando dice : dopo la manifestazione dell’errore di Gesù di credere fermamente nella prossimità della fine del mondo, cosa dovevano fare le prime comunità cristiane per sopravvivere? Hanno sbagliato a seguire l’invenzione di San Paolo del cristianesimo ?
Cioè la fondazione del cristianesimo ha rappresentato un tradimento del messaggio di Gesù?
Mancuso risponde con un incomprensibile no,e dice che si trattò di un processo necessario.
Qui non riesco proprio a seguirlo anche perché questa sua opinione non viene appoggiata da alcuna adeguata spiegazione e mi sembra in evidente contrasto logico con tutto il discorso che aveva prima fatto sul Gesù storico, che chiaramente considera come quello autentico.
Peccato perché l’analisi complessiva della figura di Gesù che troviamo in questo libro costituisce una buona sintesi della lettura ormai seguita da decenni da gran parte degli studiosi e il contrasto fra il Gesù storico e l’invenzione ex novo del cristianesimo col Gesù della fede era stata delineata in modo netto e ben appoggiato da documentazione adeguata.
Tra l’altro Mancuso nella elaborazione della sua teologia per alcune migliaia di pagine delle opere precedenti aveva finalmente fatto ampio ricorso ai dati scientifici incontestabili che contrastano in modo insuperabile con la dogmatica cattolica (la piramide) non ultima l’evoluzione con la datazione della storia dell’universo dal big bang a noi.
Questo processo ha evidenziato il fatto che l’apparizione del Sapiens è avvenuta in un’epoca estremamente recente se ci riferiamo al metro da usare guardando a queste epoche e che il racconto fondamentale nella dogmatica cattolica che fa derivare l’apparizione della morte come conseguenza del presunto “peccato originale” , con l’apparizione del Sapiens non ha il minimo senso dato che è assolutamente certo che le cose stanno diversamente nel senso che la vita e la morte sono nate insieme nella dialettica che tiene insieme l’universo.
E quindi se la “creazione” della morte come una pena accessoria del peccato originale è un’invenzione senza fondamento ,allora anche il peccato originale è un’invenzione senza fondamento,la divinità di Gesù, il suo sacrificio morte e resurrezione, la fondazione della chiesa, gerarchia e sacramenti sono tutte cose prive di fondamento.
Oh, queste cose non le dico io, le scrive Mancuso e quindi come faccia a poi a dire che l’invenzione del cristianesimo da parte di san Paolo e seguaci non sia da intendersi come un tradimento del messaggio del Gesù storico proprio non lo capisco.
Il Gesù storico non è stato il figlio di dio, non è stato il Cristo della fede, ma un profeta (che significa uno che parla in nome di dio) escatologico – apocalittico che usava un linguaggio molto duro e diretto con un registro di fondo fortemente radicale e rivoluzionario che essendo ben radicato nella tradizione culturale ebraica aveva come riferimento il dio biblico che metteva la giustizia davanti all’amore e che quindi aveva ben chiara l’idea della dannazione eterna dei reprobi.
Non era affatto il dolciastro “buon Gesù” della nostra infanzia e dei nostri nonni.
Facciamocene una ragione e seguendo l’indicazione di Mancuso consideriamo il Gesù storico un valido maestro fra altri altrettanti validi maestri, Socrate,Buddha e Confucio.
Senza dimenticarci che come Mancuso sussurra dobbiamo sempre e comunque riferirci al quinto maestro che è nel nostro io più profondo che dobbiamo imparare a conoscere e a costruire.
E così torniamo al nosce te ipsum di Socrate.
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