Un saggio di questo tipo mancava completamente in Italia.
I media sono bravissimi nell’alimentare con abbondanza di particolari la eterna commedia del masochismo nazionale.
Siamo il paese più corrotto del mondo.
Le nostre scuole sono le peggiori d’Europa.
La nostra economia è sul baratro del fallimento.
I nostri politici non parliamone.
Facciamo schifo.
Nessuna delle affermazioni sopra riportate può essere dimostrata come vera ricorrendo ad analisi e numeri facendo il confronto con la situazione di altri paesi nei medesimi settori, ma incredibilmente ci piace stracciarci le vesti in pubblico e piangerci addosso.
Roger Abravanel ci dice e ci dimostra con questo saggio che noi come paese non siamo affatto nelle condizioni sopra descritte, perché abbiamo eccellenze assolute, ma che obiettivamente abbiamo una economia che non cresce da ben quarant’anni (dalla fine del “miracolo economico nato nei primi anni 60).
E perché siamo fermi da quarant’anni?
Perchè abbiamo una classe dirigente nell’economia e nelle istituzioni legata a una cultura di tipo medioevale, che non ha più corso nel mondo moderno.
Siamo il paese governato da quella che Abravanel chiama l’Aristocrazia 1.0.
Imprenditori che non hanno ancora capito che essendo finito il Medioevo non ha alcun senso fare le capriole per piazzare i propri figli a succedere loro alla guida dell’azienda, perché nel mondo moderno le aziende che funzionano e che crescono sono guidate da manager professionisti super-specializzati e dotati delle dovute doti di leadership ,che si acquisiscono non dimostrando cieca fedeltà al padrone, ma uscendo dalle severissime selezioni delle migliori università del mondo.
Il padrone-fondatore si trovi la corretta posizione nel consiglio di amministrazione, ma lasci la gestione dell’azienda alle figure più adatte.
L’autore non a caso è il distillato della “tecnocrazia” globale ricoprendo la posizione di Director Emeritus di MacKinsey, una delle principali società globali di consulenza manageriale ,membro dei Consigli di Amministrazione di diverse Società ,editorialista del Corriere.
Ha scritto diversi saggi di successo focalizzando il fatto che a seguito di mutamenti epocali l’economia moderna è divenuta principalmente economia della conoscenza, basata sulla meritocrazia.
I paesi che dispongono di istituzioni meritocratiche perché hanno da tempo o da sempre acquisito come valore la meritocrazia saranno vincenti, quelli che che questo insieme di valori non hanno recepito sono destinati a seguire la sorte dell’Argentina, inanellando un default dietro l’altro.
Meritocrazia significa passare per istituzioni scolastiche strutturate in modo da selezionare i migliori seguendo ben inteso criteri obiettivi ormai diventati standard nel mondo moderno.
I migliori che vengono selezionati devono avere degli incentivi per sottoporsi a un sistema meritocratico che impone loro sacrifici e grosso impegno.
E qui veniamo al nocciolo del problema.
Per farla breve questi incentivi consistono né più né meno che nella possibilità concreta di far parte sul lavoro dell’Aristocrazia 2.0 che aspira ad avere come incentivo della super selezione alla quale si è sottoposta i migliori stipendi del mondo.
E se la super preparazione si accompagna alla capacità di esprimere idee creative che possano esprimersi in innovazioni tecnologiche questa nuova aristocrazia ha aperta la strada per cimentarsi in start up sfruttando il fatto di essere inserita in un network capace di interessare finanziatori.
Da qui possono partire storie di successo fino ad arrivare alle vette dei giganti digitali di Silicon Valley seduti ora su patrimoni mai visti prima, corrispondenti al Pil di interi stati.
Come dicevamo qui siamo arrivati al nocciolo del problema che è di carattere eminentemente culturale e che per il nostro paese è un ostacolo non da poco.
Se guadagnare soldi anche in quantità iperbolica ci fa schifo come idea, nel senso che sotto sotto la giudichiamo una cosa immorale, allora siamo fregati irrimediabilmente nel mondo moderno.
C’è nel nostro paese un pregiudizio radicatissimo.
Nel nostro DNA culturale pare che ci sia scritta la nota affermazione di Proudon : la proprietà è un furto.
Nel senso che di fronte alla ricchezza acquisita ci viene in prima approssimazione, di pancia, da pensare che chi l’ha acquisita ha in qualche modo barato, è andato per vie traverse, ha commesso sicuramente qualche reato, se proprio non ha rubato.
Inutile ricorrere ai pregiudizi morali inculcati nei nostri antenati fin dalla scolastica di San Tommaso, contro il prestare a interesse o al semplice far profitto, dato che degli articoli di fede non è rimasto molto nell’attuale società secolarizzata.
Fatto sta però che la nostra società negli ultimi decenni rifiuta la meritocrazia perché culturalmente rifiuta l’incentivo economico come un valore e al contrario lo bolla come un disvalore per ragioni morali.
La meritocrazia porterebbe all’aumento delle disuguaglianze, questo è forse l’argomento principe, molto usato perché parzialmente fondato, ma solo parzialmente.
Ecco allora che in Italia non si può dire che le università non sono tutte uguali, anche se, se ne misuriamo i risultati con criteri obiettivi come quelli delle classifiche di Alma Laurea, vediamo che c’è grandissima differenza fra le eccellenze e le mediocri.
Il 10 dato nelle scuole superiori del Sud vale come il 7 dato nelle scuole del Nord da sempre, ma non si può dirlo, però le valutazioni secondo standard internazionali come i test Invalsi lo dimostrano.
La magistratura italiana è la più inefficiente del mondo, ma se uno lo dice rischia l’incriminazione da parte di un potere uscito da tempo da ogni logica di divisione e di equilibrio fra i poteri essendo del tutto autoreferenziale e privo di ogni tipo di bilanciamento e di controllo.
Il mantra secondo il quale saremmo uno dei paesi più corrotti del mondo, affermazione del tutto non dimostrabile ma condivisa in modo assurdo , ha portato a instaurare un regime iper-garantista lastricato di controlli preventivi e successivi assurdi.
Oggi la pubblica amministrazione è completamente bloccata non perché sia valida l’ennesima panzana ,anche questa largamente condivisa, secondo la quale i dipendenti pubblici sarebbero troppi e quasi tutti fannulloni, ma perché il potere abnorme e senza controlli della magistratura penale, amministrativa e contabile costringe il pubblico funzionario a cautelarsi evitando di firmare atti per i quali potrebbe essere chiamato in un tipo di giudizio con tempi infiniti e senza controlli né sanzioni per i giudici in caso di sentenze sbagliate che possono causare la rovina del poveretto che rimane invischiato nell’ingranaggio.
Allora meglio l’immobilismo, meglio non fare niente.
Ecco, al giorno d’oggi non si può competere in queste condizioni col resto del mondo che ha la meritocrazia come suo valore fondante tenendoci una classe dirigente di Aristocratici 1.0, bisogna uscirne.
Come? Abravanel lo dice, ma io non ve lo dico se no c’è il rischio che non leggiate il libro che invece merita assolutamente di essere letto.
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