venerdì 12 febbraio 2021

Giordano Bruno Guerri : Il bosco nel cuore. Lotte e amori delle brigantesse che difesero il Sud – recensione

 






Un libro, tanto per cambiare, controcorrente.

E ce n’era bisogno, perché a scuola a chi non è più giovanissimo come chi scrive, testi e professori  presentarono un Risorgimento mitizzato e a senso unico, fatto di eroi e patrioti dalla parte di chi aveva fatto l’unità d’Italia e dall’altra la caricatura di un Sud arretrato e affamato da un monarchia da operetta.

Poco e quel poco con imbarazzo si diceva dell’altro sovrano del Centro Sud che era il Papa.

Possiamo capirli, come facevano i professori a parlar male del papa essendo impiegati pubblici vincolati dal Concordato fascista tra l’altro tutt’ora in vigore?

Meglio tacere!

Così generazioni di italiani per esempio non hanno mai letto nè conoscono nulla di uno dei documenti pontifici più oscurantisti, reazionari ed indegnamente anti- scientifici e anti-moderni come è stato “Il Sillabo” di Pio IX.

Tra l’altro non è un mistero che regnante Benedetto XVI il cui orientamento tradizionalista tutti conoscono quasi per incanto le voci relative ai papi ed alla chiesa cattolica su Wikipedia sono state riscritte abilmente da chi vi si è dedicato su ispirazione del Vaticano di allora.

Ne consegue che anche la voce su Wikipedia relativa a Pio IX lo descrive quasi come un illuminato progressista.

Attenzione quindi quando si parla di storia bisogna verificare tutto, per valutarne l’attendibilità.

Poi intorno agli anni 80 è invece fiorita tutta una pubblicistica pseudo-storica apertamente revisionista filo-borbonica e papalina non caso sostenuta dai “movimenti” cattolici tradizionalisti allora particolarmente in voga.

Il nostro autore è uno storico accademico di professione oltre che saggista che ha scritto questo libro con lo scrupolo dello storico ma con il chiaro intento di uscire dall’equivoco dei pregiudizi ideologici e delle opposte narrazioni per avvicinarsi per quanto possibile alla realtà storica.

Oggi la sensibilità e il livello culturale fortunatamente è maturato in modo sorprendente nel campo del rispetto dei diritti umani.

Ne consegue che se per far due nomi i generali Cialdini e Parravicini mandati da Cavour per schiacciare il brigantaggio si trovassero ai nostri tempi sarebbero inevitabilmente chiamati a comparire di fronte alla Corte dei diritti umani di Strasburgo per rispondere da una consequenziale accusa addirittura di genocidio, né più è meno di come è capitato al serbo Milosevic.

I due alti ufficiali piemontesi sono stati terribilmente efficienti ed erano coperti dal potere politico , ma le nefandezze sono e rimangono nefandezze anche quando si raggiunge in relativamente breve tempo lo scopo che appunto il potere politico del tempo desiderava.

Gli Italiani degli anni 60 del milleottocento erano solo 20 milioni.

E quindi parlare di migliaia di morti e decine di migliaia di prigionieri fra le file borboniche deportati nella fortezza sabauda di Ferrarelle a 60 km da Torino a 1700 metri sulle Alpi e nei campi di concentramento per lo più del Piemonte medesimo significa parlare di cifre enormi.

Guerri mette in evidenza l’insensibilità umana, la limitatezza culturale e gli errori politici compiuti dalla classe politica piemontese.

Non si può negare che c’era in loro un pregiudizio culturale che vedeva il Meridionale come un cittadino limitato da tendenze negative innate.

Semplicemente perché il confrontarsi con qualsiasi “diverso da tè” non era contemplato, questi non concepinvano il dialogo,ma vedevano come unica possibile soluzione la via dell’assimilazione degli altri nel proprio universo di vissuto culturale.

Se gli antichi Romani avessero ragionato come la nostra classe politica risorgimentale non sarebbero mai diventati gli imperatori del mondo.

E infatti il bilancio di quella classe politica piemontese è stato un successo ma solo di facciata che nascondeva un autentico disastro sociale ed economico se facciamo attenzione al fatto che nel secolo successivo 10 milioni di Meridionali sono stati costretti all’emigrazione, una follia assoluta.

Il libro è specificatamente dedicato alle brigantesse, personaggi oggi ben poco conosciuti, ma che allora erano diventati leggendari.

La loro storia è solo in piccola parte una storia di emancipazione femminile anche perché un numero così esiguo di personaggi non giustifica l’esistenza di alcun sottostante movimento sociale.

Secondo Guerri le loro storie sono piuttosto la descrizione iconica della rivolta interiore della cultura profonda meridionale offesa dall’ottusità di chi ha rifiutato di confrontarsi con e rispettare le loro culture secolari.

Cosi come la rivolta generata dal al tradimento della parola data, operata dai Piemontesi.

Garibaldi in buona fede da parte sua aveva riempito le sue file con molta gente locale che aveva creduto alle sue promesse di diminuire o abolire la tassa sul sale e sul macinato, ma anche di dividere i latifondi fra i contadini.

Non è un caso che Garibaldi sia poi diventato nella storia d’Italia la prima icona delle sinistre progressiste.

Ma Garibaldi era Garibaldi e a Torino e poi a Roma non comandava lui.

Cavour era un grande proprietario terriero e la pensava in modo un po tanto diverso.

Di Garibaldi si è servito per il lavoro più difficile e poi se ne è sbarazzato.

Almeno questo lo avevamo capito fin dai tempi della scuola.

Però i contadini meridionali hanno creduto a Garibaldi, lo hanno preso sul serio e per lui hanno combattuto, non certo per perpetuare il latifondo e la miseria delle classi lavoratrici.

Non hanno combattuto certo per la Monarchia sabauda.

Ma se la sono trovata davanti come un muro.

Anche se ci sono state atrocità da tutte e due le parti.

Una parte se pure minoritaria delle bande dei briganti era composta da autentici delinquenti e parte dei sopravvissuti non a caso sono finti a rimpolpare mafia drangheta e camorra.

Ma quelle brigantesse erano la quintessenza del Meridione tradito che ebbe l’ardire di ribellarsi.

I boschi della Sila e della Ciociaria erano abbastanza fitti per ospitare una guerra per bande.

Quei piemontesi erano determinati, erano tanti ,organizzati, armati e capaci di fare un uso abbastanza sofisticato per i tempi dell’ “intelligence”.

Capaci di giostrare appoggiandosi ai rancori ed alle invidie di quelle società paesane.

Usando gli antichi mezzi dei soldi per avere delazioni e tradimenti.

Non ostante la spietatezza e la indubbia abilità dei generali piemontesi i briganti e le brigantesse sono comunque riusciti a fare ballare bene le truppe regolari per almeno cinque anni che non è poco.

A loro è mancata totalmente l’apertura mentale verso l’altro, il diverso da sé, come si è detto sopra.

Gli eroi della patria hanno vinto ma ci hanno lasciato in eredità enormi problemi tutt ‘ora non risolti.




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