giovedì 18 febbraio 2021

Klaus Bergdolt : la grande epidemia (la peste nera del 1348) – recensione

 





In un momento nel quale ancora non ci è dato di sapere quando finalmente usciremo dalla pandemia causata dal Covid 19, ha veramente grande interesse questo libro che ci presenta le vicende legate alla pandemia per eccellenza, quella della così detta peste nera.

Non quella resa celebre dal Manzoni e riferita al ‘600, ma quella che fa da sfondo alle novelle del Decamerone del Boccaccio ,originatasi intorno al 1346 e conclusasi intorno al 1350.

L’autore non è uno storico di professione, ma un medico che ha a lungo studiato quegli eventi e che come un ottimo divulgatore ce li descrive documentandoli nel miglior modo possibile e cioè riportando in modo continuo brani dei testi del tempo.

Ne viene quindi fuori un ottimo lavoro che poco si distingue da quello che avrebbe potuto fare uno storico accademico.

Da medico il Bergdolt ci chiarisce il fatto che all’epoca la classe medica seguiva le teorie di Galeno e di Ippocrate basate sul concetto della “ fisiopatologia umorale”.

Esistono quattro umori corporei che corrispondono ai quattro elementi antichi acqua aria fuoco terra.

Ai quattro elemento corrispondono i quattro umori : sangue,bile gialla,bile nera,flegma.

Dai quattro elementi deriverebbero anche i quattro temperamenti fondamentali dell’uomo :sanguigno,collerico,malinconico,flemmatico.

In base alla teoria umorale le malattie interverrebbero quando uno o più dei quattro fluidi va in eccesso o in deficienza.

La medicina si è basata su queste teorie fondamentali dal tempo dei greci fino all’età moderna.

Quando scoppiò l’epidemia di peste nera i sintomi erano quelli che tutti abbiamo letto a scuola quando il Manzoni ci descrive l’autodiagnosi che è stato costretto a farsi Don Rodrigo.

Bubboni sotto le ascelle e in zona inguinale, febbre, perdita di appetito, non solo mal di testa, ma anche perdita della lucidità di giudizio fino a vaneggiare.

Oggi sappiamo che la causa di quella epidemia era da ricercare nel batterio Yersinia Pestis, che sempre oggi sarebbe facilmente controllabile con l’uso di antibiotici, batterio che veniva trasmesso precipuamente dalle cimici dei topi.

C’era però anche una variante meno diffusa che si diffondeva per via aerea e che minacciava i polmoni.

Allora non c’era altra possibilità che cercare di spiegarsi le cose ricorrendo alla fisiopatologia umorale e cercare di spiegare quel disastro come un eccesso di umori negativi che si sarebbero introdotti nel corpo umano o attraverso “miasmi” da acqua inquinata da sostanze in putrefazione o addirittura assumendo cibi vicini alla putrefazione.

Si misero quindi al bando carni non ben conservate e sopratutto il pesce che ha carni più difficili da conservare,

Come si vi vide il pericolo sito nell’acqua stagnate.

Mezzi di cura fu subito chiaro che la classe medica non era in grado di offrirne per niente.

Si ricorreva a salassi e clisteri come lo si faceva per qualsiasi altra malattia.

Terribile poi il ricorso a sostanze di molto dubbio significato come le pillole a base di estratti di carne di serpente,vipera e rospo unite a qualche erba.

Chiaramente si ricorreva ancora a residui di ciarlatanerie magiche.

L’idea di sostanze disinfettanti era molto vaga e come protezione si ricorreva praticamente solo all’aceto misto ad acqua.

Pur essendo del tutto disarmati di fronte alla pandemia quanto alle possibilità di cura, va detto che molto più efficaci erano le misure di prevenzione e profilassi che già allora venivano indicate.

Isolamento degli infetti, pronto allontanamento dei cadaveri e rapida sepoltura, distruzione degli indumenti degli infetti.

La teoria umorale pur non avvicinandosi alla causa vera della malattia conduceva però per deduzione logica a metter in atto misure che riteniamo tutt’oggi efficaci, come appunto l’isolamento, il distanziamento, il prediligere luoghi non affollati.

Venivano raccomandati dei grandi fuochi per purificare l’aria come anche il semplice cambiare l’aria nei luoghi chiusi.

Purtroppo però non conoscendo la causa vera del morbo legata alle pulci, non si era capito che le condizioni igieniche erano fondamentali e quindi ad esempio si distruggevano sì gli indumenti vestiti dagli infetti al momento del decesso, ma ci si appropriava di vestiti e oggetti che rimanevano nelle case rimaste abbandonate.

Difficile quantificare il numero dei deceduti anche perché c’era la tendenza dei cronisti ad amplificare i numeri, ma si ritiene verosimile calcolare fra un terzo e il 50% il numero delle vittime a seconda anche delle zone.

Allora come oggi l’agente infettivo viaggiava sulle vie di comunicazione e quindi col metro di allora sulle grandi distanze voleva dire tramite porti, marinai e mercanti.

I pochi che chiusero le porte delle città per primi come ad esempio Milano si salvaguardarono almeno temporaneamente.

La diffusione delle vittime portò alla diffusione di un clima di terrore e disperazione al qual si reagiva in modi opposti.

Pochi trovarono nella fede religiosa la spinta a dedicarsi all’aiuto degli altri a rischio della vita.

Ma questi erano una ristrettissima minoranza.

Molti non vedendo la possibilità di prevedere più niente per il futuro e si abbandonarono ai piaceri della vita che potevano afferrare.

La maggioranza anche delle figure pubbliche fece una pessima mostra di sé.

Chi poteva semplicemente fuggiva in campagna o altrove.

Fuggirono i medici, fuggirono gli impiegati pubblici,fuggirono i preti, fuggirono i notai e i pochi che rimanevano ne approfittavano per prestare i loro servigi a prezzi salatissimi.

L’autore non trascura anche di rilevare le conseguenze economiche sociali che provocava il fatto di trovarsi di fronte a una riduzione forzata della popolazione come abbiamo detto fra un terzo e un mezzo.

Questo significò per i sopravvissuti un forte incremento di beni e di ricchezza ereditando i possedimenti dei defunti.

L’autore però mestamente ci dice che risulta che per lo più questo incremento di ricchezza venne sperperato per godersi la vita e nulla più.

Ci fu ovviamente un problema demografico al quale si cercò di sopperire prendendo per buoni come sostituti anche chi non era abbastanza qualificato.

Questo successe nelle corporazioni artigiane che assunsero riducendo i loro rigidi protocolli.

Successe anche che i vescovi allargarono molto i loro criteri di giudizio e quindi divennero preti molti giovani che di teologia non sapevano quasi nulla e che ignoravano il latino.

L’autore sottolinea però il fatto che gli anni della peste nera fecero da detonatore a una spinta al cambiamento che stava maturando e che avrebbe portato allo spirito del Rinascimento ponendo fine al Medioevo.

Notevole perché poco conosciuta la parte nella quale l’autore parla diffusamente del meccanismo che di fronte al terrore per un pericolo che non si sa come contrastare perché non si capisce quale sia il vero nemico, si è portati a inventarsi il nemico ricercandolo nelle minoranze poco integrate.

A causa di questa logica perversa in quegli anni si verificarono pogron che letteralmente sterminarono le comunità ebraiche dell’Europa di allora.

E’ documentato che fu il peggiore genocidio prima di quello ordito dai nazisti.

E il fine immediato di quei massacri fu veramente abietto perché in realtà tutto era architettato col fine di impossessarsi dei beni degli ebrei.




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