mercoledì 29 settembre 2021

Tomaso Montanari : Chiese chiuse – recensione

 






L’autore è un giovane storico dell’arte, il cui livello accademico è facile da tracciare indicando anche solo i due punti fondamentali della sua traiettoria : laurea alla Normale di Pisa, eletto Rettore dell’Università per Stranieri di Siena nel giugno 2021.

Così come è facile individuare il suo orientamento nella professione indicando due eventi che lo videro protagonista : Presidente del Comitato tecnico scientifico per le Belle Arti del Ministero per i Beni Culturali e membro del Consiglio Superiore dei Beni Culturali fino alle dimissioni che dà nell’agosto 2021 per divergenza assoluta dalla linea del Ministro Dario Franceschini.

Un’altra chicca nella sua carriera esce fuori quando si ritrova a dovere interrompere la sua collaborazione al maggiore quotidiano italiano dopo avere pubblicato un capitolo tagliente sulla politica relativa ai Beni Culturali portata avanti dall’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi.

Ha poi arricchito il suo carnet con diverse reprimende da Matteo Salvini e da Vittorio Sgarbi.

Dalla pagina a lui dedicata su Wilkipedia troviamo una sintesi della sua linea :” tema privilegiato per lui è la denuncia del degrado e dell’incuria in cui versa il patrimonio artistico e storico italiano...(denuncia che si allarga ) allo sfruttamento economico e commerciale, riservato a una nicchia ben collaudata di formidabili poteri opachi.

La reazione di Montanari è quella di opporre un nuovo sguardo alle arti riconoscendo la loro funzione di civilizzazione da mettere a disposizione del pubblico più vasto”.

Ecco detto questo il lettore penso abbia avuto modo di avere davanti a sé i tratti fondamentali del nostro autore che tra l’altro ha avuto la non comune opportunità di permettersi di rifiutare la carica di Ministro del Beni Culturali ,perché non riteneva di potere essere ministro in un governo a partecipazione leghista-salviniana.

Chiariteci le idee sull’autore vediamo ora di focalizzare la nostra attenzione sul libro e quindi sulle chiese o meglio sulle chiese chiuse proprio come recita il titolo.

L’autore si proclama personalmente cattolico addirittura praticante, anche se il personaggio in tonaca che cita più spesso oltre a Papa Francesco è Don Lorenzo Milani, il prete di Barbiana, del quale mostra di condividere largamente il pensiero.

Come storico dell’arte riconosce gli sforzi che la Chiesa Italiana ha fatto e fa per conservare il patrimonio artistico, ma non equivochiamo, queste lodi riguardano le chiese aperte al culto.

Fine.

Perchè l’autore medesimo cita una agghiacciante pronuncia della Segnatura Apostolica (organismo di livello appena seguente a quello papale come autorità) con la quale in parole povere si dice che quando l’autorità ecclesiastica decide di chiudere una chiesa al culto, per quella struttura il discorso è chiuso, cioè la Chiesa non se ne occupa più, anche se il linguaggio curiale è il solito dire e non dire.

La sorte di questi monumenti è segnata.

Triste sotto molteplici punti di vista ma è così.

Teniamo conto che il fenomeno chiese chiuse è di dimensioni numeriche spesso drammatiche.

L’autore fa l’esempio di una città capoluogo di provincia della Lombardia che si ritrova con 60 chiese delle quali ben 42 chiuse.

Personalmente ho sempre avuto un grande interesse per la storia e al di là del considerare secondo le convinzioni personali le chiese case di Dio o semplici monumenti, sono sempre stato affascinato dalla monumentalità, dal silenzio delle chiese nel quale si è costretti ad ascoltare proprio il silenzio per concentrarsi sulle pietre che sono lì a raccontare la loro storia, spesso ricchissima.

L’autore è molto abile a citare le sue vivissime impressioni fino da bambino vissute nelle visite alla chiese ,alternandole alla lettura spesso di enormi capolavori ma ancora più spesso di opere d’arte non meno penetranti anche se di autori locali mai pervenuti alla conoscenza del grande pubblico.

Mi ha fatto grandissimo piacere notare e condividere la passione umana dell’autore che ci invita a riflettere a un fatto che spesso non siamo portati a realizzare.

Si tratta dell’evidenza che sotto le pietre delle chiese che calpestiamo ci sono i resti mortali dei fedeli che prima della riforma napoleonica sui cimiteri venivano sepolti proprio nelle chiese e nelle loro adiacenze.

Per la qual cosa anche se non riteniamo che quei luoghi siano sacri per noi, non possiamo disconoscere il fatto che sono le vestigia di una religione civile che è quella che ci mette in comunicazione con l’umanità che condividiamo con quei nostri predecessori di molte epoche storiche.

Ecco perché le chiese chiuse sono molto di più che semplici monumenti pur riconosciuti come beni culturali.

Il numero totale delle chiese italiane ci dice l’autore non è ancora statisticamente accertato del tutto perché l’organismo preposto a censirle non ha ancora concluso definitivamente il suo lavoro, ma il grosso è stato fatto, abbastanza comunque a ritenere vicino alla realtà il numero di 85.000.

Come si vede il fenomeno è eclatante.

L’autore purtroppo si ferma qui, ma sarebbe stato a mio avviso più utile per rendere il discorso più attinente alla realtà andare oltre e confrontare questo enorme numero di chiese con il numero delle persone che istituzionalmente dovrebbero occuparsene e quindi indicare anche il numero dei sacerdoti oggi presenti mettendo questo accanto a quello delle chiese.

Lo faccio io perché mi sembra indispensabile per rendere il discorso più chiaro al lettore.

Quelle 85.000 chiese sono divise per 25.610 Parrocchie e per 226 diocesi.

I sacerdoti risultavano essere nel 2018 54.606 dei quali 35.388 diocesani e 19.218 religiosi.

Se teniamo conto del fatto che l’età media del clero italiano è di 60 anni, cioè l’età della pensione fino all’altro ieri ci appare chiaro che non c’è nemmeno un prete abile per due chiese.

E questa è la prima ragione che spiega il fenomeno eclatante della chiese vuote.

La seconda causa è evidentemente quella dovuta all’avanzare veloce della secolarizzazione, che porta i fedeli a mettere sempre meno un piede nella chiesa istituzionale.

Illuminato il fenomeno nella sua cruda realtà, vediamo come lo affronta l’autore.

Abbiamo premesso le linee di fondo del pensiero in materia di Montanari.

No alla mercificazione delle chiese.

Che significa a suo parere nò assoluto alle biglietterie all’ingresso delle chiese.

L’autore non vede bene nemmeno una divisione delle competenze e dei luoghi che salvi capra e cavoli del tipo di qua i turisti di là i fedeli per la semplice ragione che ritene che il fedele abbia tutto il diritto di usufruire della visione dei capolavori o meno presenti nelle chiese per favorire le sue meditazioni, tenendo conto del fatto elementare che i costruttori, gli artisti e i vescovi dell’epoca per queste precise ragioni avevano edificato quelle chiese e realizzato quelle opere d’arte.

Non per farne un museo né un’experience (proiezioni di opere d’arte).

Capisco che la radicalità del pensiero di Montanari sia un po scioccante, ma va riconosciuto che la sua linea di pensiero è di una linearità logica difficilmente discutibile.

La chiesa per sua natura è fatta per essere luogo pubblico accessibile gratuitamente a tutti.

Sarà anche radicale Montanari, ma non manca di interrogarsi su come trovare possibili soluzioni.

La soluzione pratica che nelle conclusioni enuncia Montanari è interessante, anche se lo avete capito è uno che tende ad andare di accetta più che di cesello.

Butta là Montanari.

Ma se le la chiesa istituzionale arrivata dove è arrivata, cioè non lo dice lui ma tanto vale che lo dica io arrivata alla quasi irrilevanza completa, finalmente facesse un atto di coraggio e rinunciasse all’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, potrebbe avvalersi dell’opera di quei docenti che di fatto dipendono dall’autorità ecclesiastica, per impiegarli a riaprire le chiese che nel tempo sono state chiuse per attività civili di interesse pubblico sempre di carattere culturale magari con un occhio aperto al settore degli immigrati con corsi di italiano e di cultura civica accompagnati a corsi di storia delle religioni, divenendo strumenti di integrazione culturale.

Lasciando spazi all’esercizio ed all’educazione alla spiritualità in una ispirazione mi pare intenda di carattere non solo multiculturale ma anche multiconfessionale.

E’ un libro breve ma intenso, lo consiglio vivamente.





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