giovedì 26 gennaio 2023

Gherardo Colombo : Il perdono responsabile. Perchè il carcere non serve a nulla - prefazione di Luigi Manconi - Editore Ponte alle Grazie Adriano Salani - recensione

 


Che scherzi che ci combina la vita, contradditoria come l’essere umano.

Appare infatti come uno scherzo del destino che il magistrato che professa la filosofia del diritto più limpidamente garantista, tutta diretta al recupero del reo nella società ,come Gherardo Colombo,sia diventato famoso in quanto membro del pool di Milano nei processi di Tangentopoli ,che sono stati gestiti seguendo la filosofia esattamente contraria ,cioè quella ispirata al giustizialismo (manette facili e sbattere in carcere buttando via la chiave).

Gruppo di magistrati spronati e spinti da una ondata di opinione pubblica, mai vista prima in Italia ,che sembrava ripercorrere gli atteggiamenti delle famose “Tricoteuses” che facevano la maglia fra un’esecuzione e l’altra nella Parigi della Rivoluzione del 1789, come se fossero spettatrici di uno spettacolo di intrattenimento ,si direbbe oggi.

Nel libro del quale parliamo, Colombo non usa una sola volta nè il termine giustizialismo, né quello di garantismo, immagino con l’intento di evitare accuratamente di spingere opposte tifoserie a scontrarsi su argomenti ,che richiedono invece la pacatezza della riflessione dello studio e del discernimento.

Colombo propone un argomento non facile di filosofia del diritto e di etica, ma lo fa in modo assolutamente piano ed evidente.Il discorso è scorrevolissimo e cerco di riassumerlo in quattro parole.


In Italia arrivano mediamente la bellezza di 3 milioni di notizie di reato all’anno all’autorità competente.

Una volta espletate le procedure previste dalla legge si opera una scremature radicale che mediamente porta alla condanna nell’8% dei casi.

La percentuale sembrerebbe piccola ma Il risultato pratico è che ci ritroviamo sempre mediamente con circa 60.000 persone in carcere e leggermente meno dello stesso numero, condannati a misure alternative.

Sono chiaramente numeri considerevoli, che corrispondono alla popolazione di un capoluogo di provincia, per ciascuna categoria.

Ma il numero al quale guardare con la massima attenzione è questo : fra coloro che hanno espletato la pena ,cioè che ,come si dice normalmente, “hanno pagato il loro debito con la società”, ben il 70% torna a delinquere.


Ecco la riflessione non può che partire da qui tenendo conto che questa non è una affermazione ideologica, ma è semplicemente un dato di fatto.

Ora ,a me sembra, che chiunque di fronte a queste cifre non possa che rimanere scioccato e riflettere sul fatto che se, prima di esserne a conoscenza, magari era fra coloro che pensavano, che il reo debba essere allontanato dalla società per pagare a causa del reato commesso, contribuendo così al ristabilimento della sicurezza nella società, ora è costretto a ripensarci.

Se il 70% dei reclusi ,dopo “aver pagato il loro debito” ,tornano a delinquere, è chiaro ed evidente che la galera non è servita a nulla, lo stato ha buttato via soldi ,tempo ed energie per non ottenere proprio un bel nulla e la sicurezza non è stata affatto rafforzata, nè ristabilita.


Al di la di ragionamenti etici o ideologici ,ui è l’aritmetica che impone di fermarsi a ragionare ,cercare di liberarsi di pregiudizi, calmare l’emotività, che suscitano questi argomenti e partire dai numeri , dai fatti per concordare sul fatto che questo modo di procedere ,giusto o sbagliato sbagliato che sia ,non serve affatto a raggiungere il risultato voluto e che quindi risulta ragionevole e doveroso trovare altri sistemi per raggiungere lo scopo che ci si era prefissi.


La parte più alta e sostanziale del libro è quella che mette a confronto due visioni etico-filosofiche opposte della giustizia e della pena.


Quella che ispira da noi l’orientamento prevalente di tipo vendicativo (volgarmente carcere e buttare la chiave) , mirante a escludere il reo dalla società, infliggendogli una sofferenza e “mettendo in pausa” la sua dignità personale ,per tutto il periodo della pena ,nella convinzione che questa sofferenza “retribuisca” la società, per il danno subito e che il ricordo della punizione servirà sia come deterrenza per il reo spingendolo a non delinquere di nuovo, sia ad intimorire gli altri (“beccarne uno per educarne altri cento”).


Contrapposta alla visione sopra descritta sta quell’altra ispirata all’orientamento diretto alla riconciliazione riparativa, cioè diretta alla rieducazione e riabilitazione del reo, per riconciliarlo quanto prima con la società.


Il primo orientamento è basato su una concezione dell’uomo di tipo strumentale (l’uomo vale per quello, che fa e non per quello che è)

Il secondo è basato sul riconoscimento del valore primario dei diritti umani ,per il quale l’uomo vale per quello che è ,cioè ha una dignità inviolabile di per sè e quindi se devia va recuperato quanto prima.

Colombo, è inutile dirlo, sostiene il secondo modello pur riconoscendo che risulta minoritario e bisognoso di un cambiamento culturale non facile.


Se si sposa il secondo modello, allora tutto il sistema della giustizia penale dovrebbe essere ricostruto basandolo su processi di mediazione, operati da una terza , qualificata per mettere in contatto offeso e colpevole dell’offesa in un procedimento diretto a una riconciliazione, da raggiungere, attraverso una forma di riparazione.

Ecco, capisco che questo modo di ragionare non è particolarmente popolare nel nostro paese ,ma forse la descrizione delle reali condizioni della vita carceraria ,che Colombo espone, sono a mio parere sufficienti per aprirci le menti.

Ottimo libro per di più scorrevole e breve.


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